La visione della crescita possibile

07.09.2013 13:18
Categoria: Articoli giornale

In tempi di politici che spesso fanno spettacolo, un uomo di spettacolo offre lo spunto per una riflessione su una politica che recuperi "visione". Deaglio su "La Stampa" del 5 settembre.

Bersani sarà pure un po’ «spompo» come dice Matteo Renzi nel suo toscanismo; c’è da dire che di sicuro non è il solo. Dalle centinaia di voci del congresso del Pd sono emerse moltissime istanze ma quasi nessuna nuova proposta, Renzi incluso, e nulla che assomigliasse a un programma di governo per tempi lunghi. Neppure dall’unica voce che da sempre parla per il Pdl si sono sentite novità, né c’era da aspettarselo visto che quella voce dedica le proprie energie soprattutto a cercar di sanare il proprio passato.

Quando una classe politica, come quella italiana, è priva di «visions» (un termine inglese che si dovrebbe propriamente tradurre con intuizioni, progetti) il Paese ricorre a ciò che ha: artisti, poeti, cantautori. Non dobbiamo quindi stupirci che, nella sua intervista a Massimo Gramellini, pubblicata su «La Stampa» del primo settembre, Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, uno dei più noti cantautori italiani, abbia detto cose che i politici non sanno più dire.

«Basta conservare, è ora di reinventarsi», questa è la sintesi dell’intervista in cui Jovanotti dice che la crescita, bestia nera degli ecologisti e di molta sinistra, è in realtà «bellissima». Anche se crea forti squilibri di reddito e fa sorgere le baraccopoli fianco a fianco dei quartieri ricchi, la crescita è preferibile alla conservazione così com’è che è poi un modo per perpetuare la povertà. E «la povertà è sempre povertà di visione».

Cerchiamo quindi, prima di tutto, di scuoterci di dosso questa povertà di visione che si è tradotta in vent’anni di stagnazione. Proviamo a sognare, in maniera seria, ciascuno con le sue competenze professionali, non per evadere dalla realtà ma per capire se, e come, è possibile trasformare i sogni in realtà. Per un economista la sfida di Jovanotti è quella di mettere dei numeri nei sogni. Ebbene, la «crescita bellissima» di Jovanotti si può tradurre in misure: una crescita dell’1 per cento all’anno non ha nulla di «bellissimo», una crescita del 5 per cento sarebbe irrealizzabile.

La «crescita bellissima» di Jovanotti corrisponde a un incremento medio annuo del prodotto lordo (il famigerato pil) nell’ordine del 2,5-3 per cento su un periodo lungo. Tale crescita deve essere costante, non disumanizzante, non particolarmente consumistica. Non c’è nulla di esoterico in questo «numero tre» applicato alla crescita. Semplicemente, con una crescita al tre per cento c’è spazio sia per un aumento della produttività in linea con quello medio dei Paesi avanzati, pari al 2 per cento l’anno (è di ieri la notizia dell’ennesimo tonfo dell’Italia nella classifica mondiale della competitività) sia per un aumento dell’occupazione dell’1 per cento l’anno.

Questo significherebbe creare ogni anno circa 250 mila posti di lavoro «buoni», ossia moderni e non clientelari. Dieci anni di questa crescita ridurrebbero a livelli fisiologici la disoccupazione italiana. In quest’Italia «immaginaria» le entrate dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche crescerebbero all’incirca del 3 per cento l’anno, una crescita derivante dall’aumento dell’imponibile e quindi a pressione fiscale invariata.

Ci sarebbe posto per una crescita della spesa corrente nell’ordine dell’1 per cento l’anno (farla diminuire drasticamente, come molti vorrebbero, creerebbe forti disservizi) mentre gli altri due punti percentuali di entrate pubbliche, circa 15 miliardi l’anno, potrebbero per metà essere restituiti agli italiani con la riduzione del carico fiscale mentre l’altra metà potrebbe essere utilizzata per investimenti pubblici non più rinviabili, specie per quanto riguarda le infrastrutture del territorio e dell’energia. I sette miliardi e mezzo di euro, pari a circa 110 euro per abitante, che ogni anno entrerebbero stabilmente nei bilanci famigliari (e che dovrebbero essere indirizzati secondo criteri volti a ridurre gli attuali, crescenti divari tra ricchi e poveri) dovrebbero in prevalenza essere dedicati a prospettive di lungo periodo tali da fornire ulteriori stimoli agli investimenti (istruzione dei figli, acquisto dell’abitazione, investimenti finanziari legati allo sviluppo) mentre i consumi privati si potrebbero riorganizzare secondo priorità meno «consumistiche». I Paesi nordici, la Germania e altre aree d’Europa sono esempi di società a un tempo più ricche e più sobrie della nostra.

Molti lettori probabilmente stanno pensando che questa sia una fantasia estiva e basta. Non è così. Si tratta di un abbozzo, necessariamente limitato dalle dimensioni di un articolo di un quotidiano, di quello che potrebbe essere la risposta economica alle richieste di Jovanotti e di un numero grande e crescente di italiani.

Su progetti di questo tipo i politici dovrebbero confrontarsi e discutere. Benissimo, diranno gli stessi lettori, ma come si fa a innescare il meccanismo per far ripartire quella grande macchina produttiva che è l’economia italiana secondo linee di questo tipo? Intanto va ricordato che l’economia italiana fino a 20-25 anni fa cresceva con questi ritmi e che quindi non è irrealistico pensare che ritorni a farlo; in secondo luogo, ci vorranno comunque alcuni anni per passare dal -1,8 per cento del 2013, secondo la stima dell’Ocse resa pubblica ieri, alla «velocità di crociera» del 2,5-3 per cento.

I requisiti per questa crescita sono essenzialmente quattro. Prima di tutto, la domanda estera deve tenere, il che significa che non ci devono essere guerre a rallentare le nostre esportazioni, quasi tutte pacifiche; in secondo luogo, il recupero della produttività deve partire dalla riduzione dei vincoli che ingabbiano il Paese (procedure pubbliche assurde, corporazioni professionali mortificanti); si deve ugualmente cominciare a restituire, sotto forma di sgravi fiscali, preferibilmente mirati, una parte del miglioramento del bilancio pubblico, il che richiede un consenso europeo. Infine è indispensabile che ripartano gli investimenti produttivi per irrobustire una struttura industriale indebolita dalla crisi: l’annuncio della Fiat di un investimento di 1 miliardo a Mirafiori per una produzione di tipo nuovo è un accenno di ciò che si dovrebbe fare in futuro. Ce n’è abbastanza perché i politici si mettano al lavoro, diventando un po’ meno «spompi». Nella speranza che tra una decina d’anni Jovanotti possa scrivere una canzone che inneggi alla crescita ritrovata.

 

Mario Deaglio (La Stampa, 5 settembre 2013)