I ragazzi e la vergogna. Il dolore (muto) che non capiamo
"I genitori possono contribuire a mitigare il danno arrecato ai loro figli dall’intrusione nella loro mente di ideali crudeli di bellezza, di magrezza, di virilità, di successo sociale provenienti dalla società del narcisismo". Gustavo Pietropolli Charmet sul Corriere della Sera del 16 novembre.
Forse non è aumentato il numero degli adolescenti in difficoltà, ma sicuramente è cambiato il motivo per il quale stentano a realizzare il percorso di crescita. Fino a qualche decennio fa gli adolescenti entravano in crisi perché non riuscivano a trovare una soluzione agli schiaccianti sentimenti di colpa che li assalivano, attivati dall’incremento del desiderio sessuale e dalla difficoltà a gestire il nuovo bisogno di autonomia. Ora i ragazzi godono della libertà sessuale garantita dal nuovo modello educativo che tende a considerare la natura e il corpo innocenti e portatori di legittime esigenze. Ciò ha rarefatto i sentimenti di colpa che gli adolescenti devono elaborare nella gestione dell’eccitamento e del desiderio. Non si è però ridotta la gravità del conflitto col proprio corpo investito da una nuova fonte di sofferenza. Il linguaggio del corpo è ora innocente e spendibile ma ciò non comporta che esso possa essere accettato e festeggiato.
A interferire con il delicato processo di appropriazione della nuova corporeità non sono più principi etici e valori religiosi, ma criteri estetici. La paura di essere brutti, goffi, impresentabili ha preso il posto del timore di essere cattivi e portatori di desideri inaccettabili. La vergogna ha sostituito la colpa. L’orrore di essere prigioniero di un corpo incompatibile con gli ideali di bellezza prevalenti e condivisi costringe l’adolescente a vergognarsi di esporsi allo sguardo dei coetanei, crudeli giudici di ciò che avviene nel corso della sfilata nei corridoi della scuola ove si celebra il confronto e si avvera l’umiliazione e la mortificazione. È importante che tutti noi, genitori e insegnanti, comprendiamo che non si tratta solo di scontate trasformazioni di mode e consumi, di linguaggi e riti, di colonna sonora e gestione del tempo libero. Le trasformazioni investono la relazione con la scuola, la famiglia, i valori, le regole, il sacro, la vita di coppia e la relazione col futuro. È perciò urgente costruire collettivamente una nuova «competenza» sul significato autentico delle condotte giovanili, che sostengano lo sforzo educativo degli adulti e garantiscano una maggiore intesa fra le due generazioni sia a casa che a scuola.
La vergona provoca una sofferenza molto intensa e non è affatto semplice mitigarla; essa induce a scomparire dallo sguardo dall’altro e a ruminare progetti vendicativi delle umiliazioni patite. La vergona è muta, non parla di sé se non attraverso comportamenti di ritiro sociale, di eremitaggio, di alterazione grave della condotta alimentare, di attacco al corpo, di esagerata devozione ai lavori forzati della palestra, di richieste improprie di interventi di chirurgia estetica. Gli adolescenti ammutoliti dalla vergogna sono figli difficili per i loro genitori perché non raccontano l’incubo della loro prigionia in un corpo inaccettabile: protestano per il sopruso che subiscono di cui tacitamente incolpano i genitori, e nascondono loro per lungo tempo il senso dei rituali alimentari o ginnici o sociali ai quali sono costretti a dedicarsi inseguendo la bellezza inaccessibile.
I genitori possono però contribuire a mitigare il danno arrecato ai loro figli dall’intrusione nella loro mente di ideali crudeli di bellezza, di magrezza, di virilità, di successo sociale provenienti dalla società del narcisismo, dalla sottocultura estetica imposta dalla pubblicità e dalla subdola comunicazione virtuale. Possono erogare una tenera esperienza di valorizzazione della bellezza autentica del figlio valorizzando le sue possibilità di successo sociale e sentimentale ottenuto grazie alla bravura e alla competenza. I ragazzi in crisi sanno che, nonostante tutto, è importante essere intelligenti, buoni e bravi nel proprio lavoro, ma devono fare i conti con il contesto socioculturale che li influenza istigandoli a inseguire ideali estetici in un contesto generale di catastrofe dei valori etici.
Corriere della Sera, 16 novembre 2013
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