Scuola, prevalgono gli slogan negli interventi dei leader politici al meeting di Rimini. Nota di Ivana Barbacci
Se stiamo alle dichiarazioni che i maggiori leader politici hanno fatto nei loro interventi al meeting di Rimini, per il personale della scuola si profila un futuro roseo: tutti, nessuno escluso (ivi compresi, suppongo, anche gli assenti), considerano intollerabile l’attuale condizione retributiva e si impegnano, con scadenze più o meno esplicite, a colmare il gap col resto d’Europa. Ne prendiamo atto, in attesa di verificare che alle parole seguano i fatti. Ricordo che è aperto un tavolo di trattativa per il rinnovo del contratto, le buone intenzioni della politica hanno da subito un’occasione, se ce n’è la volontà, per produrre qualche effetto concreto.
Su altri aspetti, si assiste al prevedibile sventolio di bandiere – che non scandalizza, per carità, in campagna elettorale – realizzato mettendo l’accento su questioni di sicura presa, a costo di qualche eccesso di schematismo.
Vale per l’accentuazione di un conflitto tra scuola statale e paritaria, che per quanto ci riguarda non intendiamo assolutamente assecondare, mentre ci battiamo perché tutta la scuola pubblica, statale e non statale, sia messa in condizione di funzionare al meglio, e per garantire le giuste tutele normative e salariali a tutto il personale, senza innescare insensate concorrenze fra chi lavora nella statale e chi nella paritaria.
Vale anche per la questione dell’obbligo scolastico, su cui è nota la posizione della CISL, più incline a ragionare in termini di obbligo formativo. Anche in questo caso, meno slogan semplificatori e più attenzione alla realtà concreta di un diritto allo studio che non si garantisce incatenando ai banchi gli alunni fino alla maggiore età, ma offrendo loro opportunità formative realmente confacenti a inclinazioni, vocazioni e stili cognitivi. La dispersione scolastica si contrasta così, non imponendo obblighi che lo Stato per primo sarebbe in difficoltà a far rispettare. Come nel caso della scuola dell’infanzia, dove peraltro già si registra una frequenza elevatissima: come gestire l’obbligo in un settore dove le scuole statali coprono solo il 65% circa del fabbisogno? È un bene che si riconosca il ruolo prezioso che la scuola dell’infanzia svolge, intervenendo precocemente sui percorsi formativi, per assicurare a tutti pari opportunità di sviluppo e di apprendimento. Giusto e doveroso, allora, garantire a tutte le famiglie la possibilità di far frequentare i propri figli senza discriminazioni legate al reddito. Ma è altrettanto indispensabile far sì che anche quella dell’infanzia possa agire dovunque come vera scuola, non come servizio legato a urgenze di tipo meramente assistenziale. Un tema complesso, dunque, meritevole di una riflessione più attenta e meno condizionata da esigenze elettorali.
A tutte le forze politiche rivolgiamo un appello: si ricordino che la scuola non appartiene al governo o alle maggioranze pro tempore, ma è un bene comune che appartiene all’intero Paese. Come tale andrebbe sempre considerato. Quando si legifera di scuola, lo si faccia ricercando quanto più possibile coinvolgimento e condivisione. Se così non è, il rischio è che gli stessi investimenti fatti sulla scuola possano risultare scarsamente produttivi, come avvenuto con quelli della legge 107.
Con tutti i partiti politici la CISL Scuola ha proposto, insieme alle altre organizzazioni sindacali, un momento di confronto prima del voto del 25 settembre. Un confronto che siamo impegnati a sostenere con molta determinazione anche - e soprattutto - dopo il voto, quando Governo e Parlamento saranno chiamati alla prova dei fatti.
Roma, 23 agosto 2022
Ivana Barbacci, segretaria generale CISL Scuola
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