Mario Ricciardi al convegno su regionalizzazione: un attacco della politica all'autonomia e alla contrattazione
“La procedura in corso si è dipanata in una dimensione tutta ‘coperta’ e tecnica o pseudo tecnica, mentre è evidente che su questioni di questa rilevanza, che mettono in discussione le fondamenta stesse della convivenza all’interno del nostro Stato, è assolutamente necessario che vi sia ben altra trasparenza e ben altra centralità del parlamento”. Così Mario Ricciardi, già docente di diritto del lavoro e per anni componente del direttivo dell’ARAN, al convegno CISL Scuola sull’autonomia differenziata in corso a Roma all’Auditorium di via Rieti. “Una sorta di ‘trasparente opacità’ delle procedure, già programmata ed evidente fin dagli accordi del 2018 con il governo Gentiloni; accanto alla colpa di chi ha voluto e programmato questo percorso vi è quantomeno un concorso di colpa di chi, a partire dal ceto cui appartengo, quello degli studiosi, ma non soltanto, è stato troppo a lungo distratto rispetto a ciò che stava maturando”.
“Tutta la partita, giocata fin qui in maniera così poco trasparente – aggiunge Ricciardi- continuerà a procedere con le stesse modalità anche per i passaggi futuri, con una metodologia che contrasta con il bilanciamento dei poteri tra parlamento, governo e regioni disegnato dalla parte seconda della Carta Costituzionale”.
C’è una notevole differenza fra le tre proposte attualmente formalizzate (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna), con quest’ultima che tutto sommato mantiene in materia di istruzione una posizione molto più sfumata, mentre le prime due si attestano su posizioni molto più radicali. Quello che si prospetta per Veneto e Lombardia, secondo Ricciardi, è la creazione di un vero e proprio sistema d’istruzione in buona parte separato da quello nazionale, e dunque bisognoso di ingenti risorse da trovare prevalentemente nel trattenimento nel territorio regionale di quote assai rilevanti dei tributi adesso dovuti allo stato.
“Ma vi sono – sostiene Ricciardi - diritti di cittadinanza sociale, e l’istruzione è uno di questi, che non tollerano differenziazioni territoriali perché ciò farebbe venire meno i compiti fondamentali dello Stato, rendere possibile lo sviluppo della personalità di ognuno (art. 2 Cost.) anche rimuovendo gli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo, attraverso la predisposizione di uguali condizioni di partenza e la realizzazione di obiettivi di uguaglianza sostanziale delle persone di cui all’art 3 della Costituzione. La domanda è se si possa procedere al trasferimento di molte e fondamentali competenze più meno vaste, squilibrando la disponibilità di risorse a vantaggio di alcune regioni penalizzando le altre, senza avere prima proceduto a definire i livelli essenziali delle prestazioni a livello nazionale. Qualcuno sostiene che abbassando o addirittura annullando il trasferimento di risorse tra regioni ricche e regioni povere si costringerebbero queste ultime a un uso più efficiente delle proprie risorse. In realtà la penuria di risorse accrescerebbe le già rilevanti disuguaglianze sociali all’interno del paese e nelle zone già più sfavorite, sfrangiandone ulteriormente il tessuto sociale”.
Altro tema toccato da Ricciardi è quello dell’autonomia scolastica, “una delle più importanti e maltrattate riforme istituzionali realizzate nel nostro paese dal dopoguerra ad oggi”. “L’autonomia – sottolinea Ricciardi - è stata di fatto contrastata e repressa non solo dalla scarsità di risorse che sono state impiegate per sostenerla, ma anche dalle mille invasioni di campo della burocrazia centrale. Si può soltanto immaginare cosa potrà succedere quando alle invasioni della burocrazia centrale si sostituiranno, in parte, e in parte si sommeranno, quelle delle burocrazie regionali”.
Grande spazio nell’intervento di Ricciardi ai temi di natura contrattuale. Anche qui non pochi rischi, e di non poco conto. “Una volta che la competenza del contratto nazionale venisse limitata alle materie che non vengono regolate dalla contrattazione integrativa, è evidente che l’invadenza della contrattazione regionale, e probabilmente anche della stessa legislazione regionale, potrebbe espandersi su una quantità molto ampia di argomenti, dalla mobilità, alla formazione, alla retribuzione accessoria, al tempo di lavoro, anche svuotando o condizionando pesantemente la contrattazione d’istituto e attraverso questo la stessa autonomia scolastica. Si avrebbe la restituzione di fatto al datore di lavoro politico il diretto protagonismo al tavolo delle trattative, con tutte le conseguenze e i rischi del caso. Nel settore pubblico – aggiunge Ricciardi - l’attacco al contratto nazionale non è avvenuto neppure apparentemente con l’alibi di trasferirne le competenze verso la contrattazione di secondo livello, ma con lo scopo di ridimensionare la dimensione contrattuale e consensuale, per incrementare invece gli spazi di decisione unilaterale dell’amministrazione”.
“Quanto alla diversificazione dei salari e delle condizioni di lavoro significherebbe avere retribuzioni e condizioni di lavoro diverse e più favorevoli nelle regioni più ricche, ripetendo quindi di fatto un’esperienza che si concluse negli anni 60, quella delle zone salariali, e non sarà inutile ricordare che quando c’erano le zone salariali c’erano anche retribuzioni diverse in base al genere e all’età del lavoratore. Retribuzioni diverse sancirebbero nel nostro paese professori e scuole di 'serie a' e di 'serie b' senza che questo corrisponda a nessuna reale diversificazione della professionalità, dell’impegno, dei contenuti della prestazione lavorativa, ma basate soltanto sul fatto di lavorare in una regione più o meno ricca”.