Un difficile identikit per la scuola "gialloverde"
Il nuovo governo, che pensavamo di conoscere già lunedì scorso, ancora non c’è. In compenso, pur non essendo ancora reso noto ufficialmente il nome del possibile premier, che in giornata i leader di M5S e Lega dovrebbero sottoporre al vaglio del Capo dello Stato, siamo ora a conoscenza delle linee programmatiche su cui si indirizzerebbe l’azione dell’esecutivo “gialloverde” in fase di gestazione.
Sul “contratto per il governo del cambiamento” non sono certo mancati, nei giorni scorsi, analisi e commenti, che hanno posto per lo più in evidenza il notevole divario tra gli impegni di spesa (stimati dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica fra i 107 e i 125 miliardi di euro) e le coperture indicate, che non supererebbero i 500 milioni.
Tralasciando questi aspetti di carattere generale, su cui si continuerà sicuramente a discutere nei prossimi giorni, vogliamo invece soffermarci in particolare sul capitolo del “contratto” riguardante in modo specifico la scuola. Lo spazio dedicato non è molto, tanto da confermare la sensazione di marginalità riservata a un settore sostanzialmente ignorato anche nei ricorrenti pronostici sui possibili incarichi ministeriali.
Vediamole, le quarantasei righe del capitolo 22: si parte dall’asserita necessità di riportare la scuola “al centro del sistema Paese”, e francamente non ci sembra un’affermazione tanto diversa da quelle di tutti i passati governi, a prescindere dal colore. Va da sé che il vero nodo sia il “come” recuperare tale centralità, con quali scelte di politica scolastica e, a monte, di politica economica.
Poiché come causa delle sofferenze del sistema vengono indicate “le politiche dei tagli lineari e del risparmio”, se ne potrebbe dedurre l’intento di avviare una fase di investimenti, di cui tuttavia l’assoluta genericità delle affermazioni rende azzardata ogni stima.
Il riferimento alla buona qualità dell’insegnamento come “condizione indispensabile per la corretta formazione dei ragazzi”, concetto in sé ovvio e scontato, sottende una nutrita serie di implicazioni sulle quali sarebbe davvero interessante capire qualcosa di più: quale percorso per formare gli insegnanti, quali modalità di selezione e reclutamento, quali strumenti per sostenerne la formazione in servizio e l’aggiornamento. Temi sui quali non mancano qua e là gli accenni, ma sempre – e forse inevitabilmente, in un documento del genere – piuttosto vaghi e generici.
Si allude alla necessità di rivedere “graduatorie e titoli per l’insegnamento” (problema che, come è noto, apre a diverse e infinite soluzioni), si assume come problema di valenza generale “il precariato nella scuola dell’infanzia e della primaria”, indicando come meritevole di “particolare attenzione” la questione dei diplomati magistrali, della cui complessità, oltre che urgenza, ci auguriamo vi sia piena consapevolezza, indispensabile per chiunque voglia favorire una soluzione politica che tenga conto in modo equilibrato dei tanti interessi e diritti in gioco in quella vicenda.
Il tema reclutamento ritorna qualche riga più avanti, rafforzando l’impressione di un testo scritto a più mani e collazionato in modo un po’ sbrigativo: dopo aver ribadito che “una delle componenti essenziali per il corretto funzionamento del sistema scolastico è rappresentata dal personale scolastico”, indicando come punti fondamentali da affrontare “l’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti”, si afferma la necessità di “assicurare … anche attraverso una fase transitoria, una revisione del sistema di reclutamento dei docenti”. Sarebbe anche in questo caso interessante avere qualche lume in più sul modo in cui verrebbe condotta tale revisione; lo stesso dicasi per gli “strumenti” con cui affrontare “all’origine il problema dei trasferimenti”, tenendo conto del “legame dei docenti con il loro territorio”, espressioni di cui non è difficile cogliere la paternità politica.
Molto esplicita, anche se formulata in termini apodittici, la posizione assunta sulla chiamata diretta dei docenti, definita strumento inutile e dannoso, dunque da superare. Altrettanto esplicitamente viene affermata la necessità di garantire agli alunni con disabilità “lo stesso insegnante per l’intero ciclo”.
Da notare il taglio centrato in modo pressoché esclusivo su questioni che investono la funzione docente, tanto che ai dirigenti è riservato unicamente il breve passaggio sulla chiamata diretta, mentre del personale ATA e dei suoi problemi non vi è proprio il minimo cenno.
Da decifrare il senso del paragrafo conclusivo, dedicato all’alternanza scuola lavoro; per come è scritto, non vi si coglie un’opposizione di principio al modello dell’ASL (di cui si dice che avrebbe dovuto essere “strumento efficace di formazione”), quanto piuttosto una critica alle modalità con cui lo si è attuato. Viene da pensare che con la garanzia di un efficace controllo sulla qualità delle attività svolte e sulla loro attinenza (e non “attitudine”, come impropriamente troviamo scritto anche nel testo definitivo) con i percorsi di studio lo strumento dell’alternanza potrebbe meritare un giudizio diverso da quello che gli viene impietosamente riservato in chiusura del capitolo.
Resta un interrogativo di non poco conto, rispetto al quale il “contratto per il governo del cambiamento” non offre alcun indizio da cui far discendere una possibile risposta: quale spazio il costituendo Esecutivo vorrà riservare al dialogo e al confronto (con le parti sociali, ma non solo) nei percorsi che necessariamente dovrà intraprendere per la definizione degli atti normativi con cui mettere mano alle questioni evocate nel documento programmatico.
La storia recente ha dimostrato che molte delle criticità riscontrabili nella sovrabbondante produzione di provvedimenti in materia di istruzione e formazione degli ultimi vent’anni sono dovute anche alla sostanziale autoreferenzialità con cui governi e maggioranze pro tempore hanno proceduto nella fase della loro elaborazione. Ne siamo talmente convinti da avere indicato, nel documento inviato alle forze politiche in occasione delle ultime elezioni, la necessità di promuovere un momento di ampio e corale coinvolgimento cui dare visibilità e formale riconoscimento attraverso una conferenza nazionale sulla scuola. Non sappiamo se il governo che potrebbe nascere nei prossimi giorni, per il contesto in cui si troverebbe ad agire e per le modalità con cui viene composto, sarà nelle condizioni di poter mettere mano a un progetto del genere, che naturalmente non si improvvisa richiedendo al contrario tempi congrui di preparazione. Ma non sarebbe male sapere, almeno in linea di principio, che cosa ne pensa chi ambisce a “governare il cambiamento”.
(da Dirigenti News - settimanale Cisl Scuola, n. 19 del 21 maggio 2018)
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