«Parità per le donne, strada ancora in salita». Intervista ad Annamaria Furlan su Avvenire
«Ci sono stati certo tanti progressi, ma la strada per una vera parità è lunga, le donne sono tuttora vittime di troppe violenze, ricatti e sottili discriminazioni, di fatto non sono ancora pienamente libere. Bisogna fare molto di più: sul piano culturale e su quello dell’affermazione dei diritti». Annamaria Furlan è al vertice di un’organizzazione da 4,2 milioni di iscritti, è la prima segretaria generale donna della Cisl, ma è anche mamma e nonna e conosce bene le difficoltà che l’universo femminile incontra, in particolare nella conciliazione tra vita familiare e professionale. Ed è impegnata anche contro tutte le forme di sfruttamento, compresa la prostituzione, che «non potrà mai essere per noi un "lavoro", perché viola la dignità delle persone».
Segretaria Furlan, vede progressi nella condizione delle donne in Italia o prevalgono i ritardi?
Nonostante tante battaglie civili e sindacali, purtroppo, la donna è ancora un soggetto fortemente discriminato, sfruttato a volte in maniera inaccettabile. Le donne hanno pagato anche il prezzo più alto della crisi economica. Ecco perché il lavoro resta il primo diritto di cittadinanza e di emancipazione che bisogna conquistare. In Italia solo il 49 per cento delle donne ha un lavoro. Molte di loro sono precarie, o costrette ad emigrare. E ci sono ancora troppe donne, in particolare straniere, gravemente sfruttate, ridotte in schiavitù. Fenomeni come quello del caporalato contro cui l’impegno del sindacato è massimo. Per non parlare poi della vera e propria violenza che spesso si annida anche tra le mura domestiche e nei luoghi di lavoro.
A che punto siamo con le pari opportunità di accesso al lavoro, di retribuzione e di carriera?
C’è ancora tanto per raggiungere una vera parità. Le donne guadagnano in Italia quasi il 30% in meno rispetto agli uomini. Nel settore finanziario si arriva a punte più alte. Uno dei motivi è che le donne hanno più difficoltà a conciliare impegni di lavoro e familiari. Di conseguenza, sono soprattutto loro a scegliere occupazioni a tempo parziale e a interrompere continuamente la propria carriera, per dedicarsi alla cura dei familiari, con conseguenze dirette sui salari e soprattutto sulle future pensioni, inferiori del 30% rispetto a quelle degli uomini. Per questo abbiamo chiesto che fosse riconosciuto alle donne un anno di contributi in più per ogni figlio.
Ogni anno in Italia almeno 20mila donne si licenziano dopo aver avuto un figlio perché non riescono a conciliare vita familiare e lavorativa. È un fallimento del nostro sistema...
La maternità viene vista ancora come un ostacolo all’ingresso e alla progressione dell’impegno professionale. Non è un caso se in fatto di natalità il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa. Sicuramente pesa anche il dramma della disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno, e dell’enorme precarietà del lavoro. Una donna su tre lascia il lavoro in Italia dopo la nascita del primo figlio. In molti casi la rinuncia alla maternità va collegata direttamente anche all’inadeguatezza di servizi a sostegno della genitorialità. In Italia solo il 18% dei bambini trova posto negli asili nido pubblici.
Ma il sindacato come sta cercando di promuovere un migliore bilanciamento tra impegni professionali e familiari nelle aziende? C’è nella contrattazione un’attenzione particolare?
Noi facciamo tanto come sindacato con la contrattazione di genere e in tanti accordi nazionali, aziendali e nei territori, stiamo ponendo le condizioni per una valorizzazione e una specificità del lavoro femminile. Ci sono centinaia di accordi di secondo livello molto innovativi che riguardano la conciliazione vita/lavoro e studio, la formazione, un orario più flessibile, il benessere organizzativo, gli asili nido, l’assistenza sanitaria integrativa, il welfare aziendale. Anche lo smart working è uno degli strumenti che sta cominciando a funzionare bene. Creare una società aperta, inclusiva e giusta nei confronti delle donne è la condizione fondamentale non solo per dare risposte alle loro problematiche e aspettative ma per contribuire a raggiungere obiettivi di coesione sociale e crescita per il nostro Paese.
Pensate di proporre misure fiscali che possano agevolare il lavoro femminile e insieme la conciliazione?
È un tema che vogliamo discutere con le imprese e con il Governo. E speriamo che anche l’8 marzo possa diventare il viatico per aprire finalmente un confronto su nuove misure fiscali e contributive, per far costare meno l’occupazione stabile, soprattutto delle donne e dei giovani, per favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia. Ma bisogna cambiare decisamente la politica economica di questo esecutivo per creare nuovi posti di lavoro. Lo Stato deve investire molto di più in innovazione,ricerca, formazione. E bisogna sbloccare non solo i cantieri delle grandi opere, ma anche le assunzioni nel pubblico impiego, nelle università, nella sanità dove mancano medici e infermieri.
Nel 2017 avete promosso una raccolta di firme per arrivare a una legge contro la prostituzione. In Parlamento, invece, la Lega ha presentato un disegno di legge per riaprire le case chiuse e legalizzare nuovi bordelli. Vi opporrete?
Chi parla di riaprire le case chiuse fa finta di non vedere che in Italia ci sono centomila donne vittime del racket e della "tratta", costrette a vendere il loro corpo. La libertà sessuale di andare con le prostitute è una presunta "libertà" esercitata nei confronti di chi non è realmente una donna libera, non ha scelta. Viene violata la dignità della persona. Ecco perché non solo continuiamo a sostenere la campagna della Comunità Papa Giovanni XXIII , ma fanno bene quei Comuni che hanno deciso di multare i clienti delle prostitute per aiutare tante ragazze a denunciare i propri aguzzini. Dovrebbe essere un esempio da seguire. In tanti Paesi del Nord Europa dove è stata introdotta una legge che punisce il cliente, il numero di prostitute è diminuito in maniera sensibile. Bisognerebbe, fin dai primi anni dell’infanzia, spiegare che il rispetto reciproco tra uomini e donne è il fondamento di una comunità. Questo è uno dei compiti che la scuola italiana deve assumere come una priorità, coinvolgendo in questa azione "pedagogica" le espressioni migliori della società.
Intervista a cura di Francesco Riccardi
Avvenire, 7 marzo 2019
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