11.03.2020 - Carlo Marconi, Il desiderio di Arianna
Come restare vicini, come mantenere prossimità con i nostri alunni in questo tempo di coronavirus? Con i poveri mezzi che abbiamo ma con la passione educativa di sempre, con modi tutti da inventare ma con quella creatività generativa che sempre il nostro mestiere ci chiede? Ecco la bella testimonianza di un nostro docente che in giorni che pur chiama"balordi" prova e trova il modo di "continuare a fare ciò che ogni giorno si fa a scuola". E così nascono esperienze anche nuove e si aprono spazi di dialogo, di ricerca, di riflessione, di di crescita impensati, E la voglia - dirà un'alunna - di tornare a scuola.
Giorni strani, giorni anomali, giorni surreali.
La prima settimana di “riposo forzato” aveva, forse, il sapore della vacanza: sembrava quasi una prosecuzione della pausa di Carnevale sancita, qua in Lombardia, dal calendario scolastico. Se solo si era capaci di estraniarsi un momento dal vortice delle notizie che piovevano in casa dai telegiornali e dai siti web, si aveva la sensazione che si avverte quando si rallenta il ritmo estenuante delle fatiche lavorative.
Col passare dei giorni, di fronte allo spettacolo del dibattito politico, delle accese discussioni tra virologi ed esperti e, soprattutto, davanti all’inesorabile conta degli ammalati e delle vittime, ha iniziato a serpeggiare un’inquietudine sempre più insistente, fino a rasentare lo sconcerto.
Scuole chiuse! No, scuole aperte ma attività sospese! Che differenza c’è? Ma a scuola dobbiamo andare lo stesso? Dobbiamo far lezione? In che modo? Come si fa?
Dubbi, problemi, questioni che assorbono, da un po’ di tempo a questa parte, l’attenzione e le energie degli insegnanti. “È un po’ tardi per andare a lavorare”, sghignazza il mio vicino di casa vedendomi mettere il naso fuori casa, verso mezzogiorno, dopo un’intera mattina a leggere messaggi, a consultare siti di didattica, a predisporre schede di lavoro. Trattengo l’irritazione e cerco di pensare ad altro, ma le domande restano e si fanno sempre più pressanti.
Come facciamo a rimanere tutti questi giorni a casa? Com’è possibile fare scuola? Si può pensare di organizzare un’efficace didattica a distanza?
Tra chi sostiene la validità della didattica digitale e chi da essa rifugge, il dibattito è serrato e orientarsi in questo sterminato panorama è complicato.
Sono consapevole del fatto che questa situazione imprevista può avere, nel mondo della scuola, qualche risvolto positivo e può diventare l’occasione per intraprendere azioni che portino a rinnovare un approccio talvolta stantio e obsoleto.
Sento, quindi, impellente la necessità di attivarmi, ma non voglio correre il rischio di avventurarmi, a colpi di “smart-learning” e di webinar”, in un campo con cui ho scarsa familiarità, scivolando in insidiose dinamiche di competizione. Faccio mio il pensiero di Anna D’Auria, Segretaria Nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa, quando afferma che “la didattica digitale, la classe virtuale, anche se ad alti livelli di strutturazione dei percorsi e dell’interazione con l’insegnante, non possono in alcun modo sostituire, compensare e garantire l’apprendimento “vivo” realizzato a scuola”.
Del resto, precisa Enrico Galiano, “insegnare non è accendere desktop o schermi di cellulari ma accendere idee, fare domande, svegliare dubbi, far passare la luce”, e questo è reso possibile soltanto dall’incontro tra docente e studenti.
Alla fine, io e le mie colleghe scegliamo di farci vicini, di renderci prossimi ai nostri alunni. Scegliamo di continuare a fare ciò che facciamo ogni giorno in aula. Ad esempio, leggere ad alta voce per loro. E così ci mettiamo a registrare audio letture, per non lasciare soli i nostri bambini, per far arrivare loro la nostra voce, per mantenere vive quelle sane consuetudini che fanno bella la quotidianità.
Se fossimo a scuola sarebbe imprescindibile parlare di quello che sta succedendo, nel tentativo di dare un nome alle cose, alle situazioni, per provare a leggere la realtà e provare a cercare insieme chiavi di lettura, per esorcizzare la paura e impedire che si trasformi in angoscia.
Ma a distanza come si fa?
Stando così le cose, si decide di porre al centro della nostra corrispondenza con le famiglie questioni di natura scolastica; si inviano lavori, un piccolo compito ogni giorno: qualche scheda di grammatica, una pagina di storia da studiare, la segnalazione di brevi video didattici, preziosi materiali pescati nel mare della rete. Infatti, pur non essendo questi i tempi per “andare avanti col programma”, occorre mandare segnali rassicuranti ai genitori che temono che, a causa dell’interruzione, i bambini non imparino e gli apprendimenti si arrestino.
Sono tempi, invece, per crescere in autonomia nelle piccole cose, nel rispetto degli impegni, nell’assunzione di responsabilità, nella cooperazione allo svolgimento delle faccende di casa; sono tempi per condividere emozioni, per esprimere vissuti importanti e poterli comunicare. Così, per sentire la loro voce, chiediamo ai bambini di scriverci.
Vogliamo sapere come stanno trascorrendo questi giorni insoliti, qual è la cosa che li turba e li rattrista di più di tutta questa situazione e la cosa che ha il potere di confortarli; chiediamo loro di che cosa sentono la mancanza e quali sono i loro progetti e i loro sogni per il futuro.
I bambini rispondono e ci regalano pensieri profondi e illuminanti, lineari e ironici.
Come Elia che confessa di non poter fare altro che rimanere in silenzio di fronte alle notizie che ci giungono dai telegiornali; come Sara che cerca aiuto e collaborazione per svolgere i compiti, ma suo papà “proprio non è tagliato per fare il maestro”; come Francesca che desidera che ricomincino presto le avventure della 5^A con tanto di litigi, discussioni, misteri e rappacificazioni.
Infine come Arianna che, con disarmante energia, afferma: “Non lo avrei mai detto in altre occasioni, ma… voglio tornare a scuola!”
Il desiderio di Arianna è la speranza di tutti. Adesso tocca consolarci così, con pensieri, con messaggi, con parole dal potere taumaturgico. Ma stai tranquilla, Arianna, torneremo presto a scuola e gli abbracci, i sorrisi, le strette di mano rimargineranno le piccole ferite della tristezza, della paura e dei dispiaceri di questi giorni difficili.
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Livornese di origine, Carlo Marconi vive a Pavia, dove lavora come maestro in una scuola primaria dell’I.C. Angelini. Ama la lettura, la scrittura creativa, la poesia e le filastrocche. Insieme ai suoi alunni ha scritto “Lo Stato siamo Noi”, Emme Edizioni, 2012. Con Edizioni Gruppo Abele ha pubblicato “Di qua e di là dal mare. Filastrocche migranti”, 2018.
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