La lezione dei ragazzi di Crema
Un bell'articolo di Flavia Perina su "La Stampa" del 22 marzo 2019 ci porta a riflettere sulla "lezione" che ci viene dai ragazzi della scuola media di Crema: una parabola morale che indica le virtù civili "che in questo momento servirebbero al Paese"
In un immaginario libro Cuore dei tempi nostri la cronaca dei ragazzini di Crema che fanno squadra, si ingegnano nonostante la paura, nascondono un paio di cellulari e, coperti dall’opportuno chiasso dei compagni, danno l’allarme e guidano i carabinieri sulla strada giusta, sarebbe una delle parabole morali raccontate dal maestro Perboni per educare la sua scolaresca.
Parabola morale, sì, perché ci indica le virtù civili che in questo momento servirebbero al Paese: solidarietà, coraggio, ingegno, forza di non dividersi davanti a un evento drammatico.
La differenza vera, a più di un secolo dalla Piccola Vedetta Lombarda, è che oggi sono gli adolescenti a salire in cattedra e ad impartire una lezione pedagogica agli adulti. Adulti che mentre gli studenti scappavano lungo la Paullese, finalmente liberi di gridare e piangere, anziché aiutarli restavano sui bordi della strada a filmarli con i telefonini per produrre video strappa-like. Adulti che, un minuto dopo il miracoloso salvataggio, già si sbranavano nell’eterna lite sulla nazionalità dell’attentatore, sulla matrice immigrazionista della possibile strage, sui suoi mandanti, sui cattivi maestri del buonismo, o viceversa sui disastri provocati dall’estremismo cattivista.
I dettagli di quei quaranta minuti di terrore sono davvero da romanzo, così come la lucidità di questi tredicenni che tengono buono il dirottatore negoziando (“anche io vengo dall’Africa ma in Italia sto bene”), legano malamente gli amici per consentirgli di liberarsi in fretta, nascondono un paio di smartphone e se li passano perché chi siede dietro, più nascosto, possa chiedere aiuto. Uno di loro, Rahmi, finge di pregare in arabo e invece sta parlando con il 112, indicandogli la strada imboccata dallo scuolabus. Un altro, Adam, avvisa i genitori, e gli costa fatica perché quelli pensano a uno scherzo. Tutti alzano la voce per evitare che l’autista si accorga di quel che sta accadendo, molti cercano di fare segnali agli automobilisti in sorpasso con smorfie di paura e mimando il gesto di una pistola.
A bordo, l’attentatore non è il solo immigrato: due dei giovani eroi della giornata, benché nati in Italia, hanno genitori marocchini ed egiziani di origine straniera. Nessuno di loro ha avuto dubbi sulla parte da scegliere nel dramma, così come nessuno dei compagni italiani ha avuto incertezze nel fidarsi, nell’attivare lo spirito di gruppo che li ha salvati tutti.
All’epoca di Cuore, Edmondo De Amicis raccontò storie di ragazzini sardi, fiorentini, veneti, campani, romagnoli, con l’intento di indicare valori civili comuni a un’Italia giovanissima, unificata appena da un ventennio, dove la diffidenza e talvolta il disprezzo attraversavano confini regionali divisi da tutto: lingua, storia, cultura, tradizioni religiose, costume sociale, persino abitudini alimentari. La trama costruita dai ragazzi della scuola media e Vailati di Crema contiene lo stesso tipo di messaggio. Siamo diversi, ma non tanto come credete voi grandi. Siamo amici. Sappiamo riconoscere un nemico comune quando lo vediamo, a prescindere dal colore della pelle e dal passaporto che ha in tasca. Studiamo assieme, ci difendiamo a vicenda se serve. È una lezione che ammutolisce il mondo adulto e le sue speculazioni. Speriamo di ricordarcela.
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