Quei voyeur dal cuore duro dell’era digitale
"Oramai una mutazione antropologica è avvenuta e noi, anche se con diversa gradualità di consapevolezza, la stiamo metabolizzando". Così Gianluca Nicoletti commenta su La Stampa del 2 agosto 2020 un agghiacciante episodio di cronaca che segnala una preoccupante e pericolosa deriva dei costumi.
Cosa fareste di fronte a una persona che si contorce avvolta dalle fiamme? Premesso che, come tutti noi, abbiate in dotazione un apparecchio con cui chiamare i soccorsi. Per molti avventori di un ristorante di Crema quella torcia umana, a pochi metri dalla loro tavola imbandita, rappresentava un raro evento da immortalare più che una vita da strappare alla morte.
La donna si era data fuoco ed è morta. È assai probabile che dei suoi ultimi spasmi e di quello spettacolo atroce qualcuno conservi traccia nella galleria del proprio smartphone. Potrebbe già aver condiviso lo scoop con gli amici o le amiche del gruppo di WhatsApp o di Telegram, gli stessi che usa per organizzare le scampagnate, per scambiare informazioni sui figli e sulla scuola, per amoreggiare, per tresche clandestine.
Spero che nessuno abbia avuto la scelleratezza di pubblicare sui propri social il reportage girato davanti al piatto dei tortelli. Forse chi l’ha fatto ora avrà velocemente cancellato quelle stories da Instagram, soprattutto dopo che la sindaca Stefania Bonaldi ha condiviso su Facebook il post dell’unico vero eroe di questa vicenda, il signore che è sceso dalla macchina e ha provato con una coperta a spegnere la donna tra le fiamme.
L’uomo si rivolge alla prima cittadina di Crema per dire che di fronte a quel rogo c’erano almeno altre venti persone con il telefonino in mano, tutti immobili a riprendere la scena.
Ora possiamo anche sentirci dalla parte dei giusti e giurare che mai saremmo scesi a una bassezza simile. Possiamo pensarlo se questo ci assolve, ma oramai una mutazione antropologica è avvenuta e noi, anche se con diversa gradualità di consapevolezza, la stiamo metabolizzando.
È meglio riflettere sui nostri comportamenti quotidiani prima di gettare anatemi sugli avventori cremaschi, a cui qualcuno, se ci sono le circostanze, ricorderà che l’omissione di soccorso è un reato.
Il primo episodio di cui ho memoria che anticipa ciò che è accaduto a Crema avvenne a Mont Saint Michel, nel 1994. Lo ricordo perché al tempo mi colpì e ne scrissi, allora una folla di turisti invece che soccorrere una persona che affogava, preferì riprendere la scena con le prime macchine fotografiche digitali. Non esistevano ancora i telefoni che facevano foto, ma fu il primo caso di cronaca in cui si notò che, l’avvento di periferiche individuali per riprendere il reale e tenerne immediata memoria, induceva le persone a considerare quasi una necessità il trasportare in una dimensione epica condivisibile quello che di memorabile avvenisse nel mondo concreto.
È chiaro che dopo un quarto di secolo di attitudine al veloce accumulo di reperti digitali, quella stessa spietatezza sembra oggi solo la punta estrema dell’anestesia di ogni nostro allarme emotivo, che ci propiniamo nel trasformare in pixel la carne, i sentimenti, le emozioni.
Questo, senza rasentare il crimine, lo facciamo ogni giorno tutti.
Alleniamoci dunque a tornare con i piedi per terra, almeno quando con la nostra macchina dei sogni possiamo anche salvare la vita a un nostro simile.
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