Il vero volto dell’immigrazione
Il tema dell’immigrazione, che abbiamo toccato e accosteremo ancora anche in "Scuola e Formazione" per la sua delicatezza e i suoi aspetti umanitari e drammatici, ha bisogno di essere affrontato sulla base di dati certi e onestà intellettuale. Ci aiutano in questo, pur nella brevità di un articolo di giornale, la competenza e il lavoro di Maurizio Ambrosini (Avvenire, 6 novembre 2018)
Sono usciti nei giorni scorsi due rapporti sull’immigrazione nel nostro Paese che aiutano a comprendere nei suoi termini effettivi un fenomeno così discusso. Sono il XXVII Rapporto di Caritas-Migrantes e il Dossier Immigrazione 2018 curato dal Centro Studi e Ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi Confronti. Grafici e tabelle che riportano dati potrebbero apparire una materia noiosa e specialistica, da addetti ai lavori, lontana dalle preoccupazioni della gente comune. Eppure mai come in questo momento potrebbero contribuire a riportare entro i binari dell’oggettività e della ragionevolezza un dibattito prigioniero di percezioni enfatiche e rappresentazioni distorte.
Esaminiamo alcuni dei dati resi pubblici. Anzitutto, a livello mondo i migranti internazionali sfiorano i 258 milioni e sono aumentati sensibilmente rispetto al 2000, quando erano circa 172,6 milioni. Ma in percentuale sulla popolazione mondiale, la loro incidenza rimane più o meno costante da decenni, poco sopra il 3%. In altri termini, il 97% degli esseri umani non si muove dal suo Paese, per male che ci viva. La specie umana da millenni è in grande maggioranza stanziale.
Per quanto riguarda il nostro Paese, l’immigrazione da circa quattro anni è sostanzialmente stabile, poco sopra i 5 milioni di persone. Le difficoltà economiche hanno ridotto i nuovi ingressi in maniera drastica. Malgrado la visibilità degli sbarchi e dell’arrivo di richiedenti asilo, il loro ingresso incide poco su questo quadro generale. Si tratta infatti, tra rifugiati riconosciuti e richiedenti in accoglienza, di circa 350.000 persone, meno del 7% del totale.
Fino al 2014-2015 chi sbarcava in Italia proseguiva il viaggio verso il Nord Europa, e anche oggi la mobilità in una certa (faticosa) misura prosegue. Sbandierare i numeri degli sbarchi risalendo indietro nel tempo e facendo credere che si tratti di persone rimaste in Italia e nascoste da qualche parte è una grossolana falsificazione.
Sotto l’influsso degli sbarchi e delle emozioni relative molti pensano che gli immigrati in Italia siano maschi, africani o al più arabi, e certamente musulmani. I dati ci dicono invece che si tratta in maggioranza di europei, di donne, di persone provenienti da Paesi di tradizione cristiana. La seconda religione d’Italia per numero di aderenti, per quanto è possibile stimarli, è quella cristiana ortodossa, con circa 1,6 milioni di fedeli. I mussulmani sono intorno a 1,5 milioni. La maggior parte degli immigrati in Italia non sono quindi uomini soli, bensì famiglie, spesso accompagnate da minori: ne abbiamo 826.000 nelle scuole, benché la crescita anche in questo caso si sia pressoché arrestata, e la maggioranza (oltre 500.000) sia nata in Italia.
Da ultimo i dati contraddicono l’idea che l’immigrazione non sia nient’altro che una conseguenza della povertà dell’Africa che si riversa sulle nostre coste. La graduatoria dei Paesi di origine invece classifica nell’ordine: Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Moldova. Nessuno di questi è un Paese poverissimo, dove si muore di fame per la strada. Ed è così anche nel resto dell’Europa e del mondo. I migranti provengono prevalentemente da Paesi intermedi per livello di sviluppo. E non sono neppure di regola i più poveri dei rispettivi Paesi. Per migrare occorrono risorse, che i più poveri raramente riescono a mettere insieme. Il divario tra questa fotografia del fenomeno e il discorso corrente appare stupefacente.
Ma nei giorni della pubblicazione dei rapporti statistici è avvenuto lo straziante omicidio di Desirée a Roma. Basta un’occhiata a ciò che circola nei social network o si manifesta nelle trasmissioni radio che danno voce agli ascoltatori per comprendere che cosa accade: gli immigrati nel loro complesso, o quanto meno gli africani, diventano orde di invasori sanguinari. I meccanismi della collettivizzazione e dell’etichettatura ingigantiscono le cifre e incitano alla repressione generalizzata. Che poi aumentare il numero dei dinieghi e delle espulsioni di carta finisca per generare degrado e illegalità è un’altra storia, e non interessa ai giustizieri da tastiera.
Maurizio Ambrosini è Docente dell’Università di Milano, consigliere esperto presso il CNEL.
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