Il Maestro lascia il Coro delle cime: "Questa Italia non sa più ascoltare"
Un coro di montagna, uno dei più famosi, che decide di sciogliersi. Il suo direttore è Bepi De Marzi, autore di molti dei più bei brani di quel repertorio, fra cui Dio del cielo, Signore delle Cime. Un ultimo concerto senza pubblico, di notte, in montagna, sotto le stelle e la Luna. "In un'Italia che non sa più ascoltare – dice il Maestro ricordando l'insegnamento di Rigoni Stern – serve prima di tutto il silenzio". Lasciamo alla lettura della preziosa intervista di Giampaolo Visetti pubblicata da "La Repubblica" di mercoledì 9 ottobre 2019 il racconto sui motivi di una tale scelta con l’amara considerazione finale "non si canta se non si ama" e il rimpianto di quando: "in montagna, nei campi, nelle fabbriche e in guerra si cantava grazie alla fraternità".
ARZIGNANO – Giuseppe De Marzi detto Bepi, non canta più. Trascorsa l'estate, a 84 anni, il simbolo della coralità popolare italiana sceglie il silenzio. Non è stato facile: nemmeno sciogliere i suoi Crodaioli, il coro-icona della canzone di montagna. L'autore di "Signore delle cime" lo ha fondato 61 anni fa, ispirandosi al trentino coro della Sat dei fratelli Pedrotti. "Dopo una vita a cantare – dice – il silenzio ti regala la sicurezza di essere riuscito a rimetterti in disparte".
Bepi De Marzi ha composto oltre 150 canzoni amate da tutti, assieme ai Crodaioli ha tenuto oltre 4 mila concerti in tutto il mondo. Il 3 novembre 2018 il presidente Mattarella lo ha voluto al Quirinale per ricordare i cent'anni dalla fine della Grande guerra. "Cantando per lui – dice – ho capito che la nostra missione era compiuta. Abbiamo raccontato la vita semplice. Ai coristi ho detto ragazzi chiudiamo, basta così, la nostra storia è finita". Ci ha pensato fino a pochi giorni fa. "Alla fine ci siamo trovati nel cortile della nostra sede – dice – sulla collina vicentina. Abbiamo cantato sotto le stelle, con la luna all'ultimo quarto e senza dire parole abbiamo compreso che per noi non ci sarebbe più stato il tempo per una luna nuova".
Quello, senza pubblico, è stato l'ultimo concerto. I 15 già programmati fino a dicembre sono stati cancellati. Corre voce che De Marzi, per lunghi anni organista e clavicembalista con i Solisti Veneti di Claudio Scimone, smette di cantare per problemi di udito causati dall'età. "Falso – dice a Repubblica – scelgo il silenzio perché l'Italia non sa più ascoltare le storie: la propria e quelle degli altri. E perché in realtà, insieme, sembra non volere più né cantare, né vivere. I cori tradizionali scompaiono perché la comunità viene spinta all'estinzione". L'addio, prima che musicale, è ideale. "In questo Paese – dice – non posso più cantare. Devo accettarlo: sono mortificato e sconfitto. So di sfidare il qualunquismo, ma dico che il permesso concesso al dilagare della finta cultura leghista, del sovranismo localista e del neofascismo di Casa Pound, è una vergogna collettiva". Per questo ha lasciato anche Arzignano, dove è nato.
"Poco distante – dice – c'è un paese. Nel 1944 i nazisti bruciarono le case e la chiesa con dentro il parroco. Oggi governa un sindaco di Fratelli d'Italia che si ispira a Mussolini". Anche a Vicenza, dove De Marzi si è trasferito, comanda la Lega di Matteo Salvini, come in tutto il Nordest. "Mi hanno chiesto – dice –: "E adesso dove vai? Il dialetto diventa obbligatorio e spuntano ovunque leoni di San Marco". Ho risposto da nessuna parte perché sono vecchio. Però resto libero e per questa nazione irriconoscibile, che confonde l'autonomia con l'autarchia localista e sostituisce la solidarietà con l'egoismo, i Crodaioli non cantano più".
Bepi De Marzi ha trascorso la vita artistica e morale con Mario Rigoni Stern, padre David Maria Turoldo, Luigi Meneghello, Goffredo Parise, Ermanno Olmi e padre Alex Zanotelli. La musica sinfonica e corale gli è stata insegnata, oltre che da Claudio Scimone, da Herbert von Karajan e da Arturo Benedetti Michelangeli. "Non ho la statura per darmi arie – dice – ma con questa piccola vita alle spalle è difficile accettare infine l'improvvisazione che domina ogni campo, dalla politica all'economia, dalla letteratura alla musica. Sembra che chiunque possa fare qualsiasi cosa, subito e senza preparazione. L'origine della deriva italiana è l'apologia del dilettantismo eretto a qualità. Puoi fare il ministro, o dirigere un coro, senza avere un'idea, o saper leggere la musica".
Nei giorni scorsi, a Locarno, De Marzi ha presentato un concerto del coro della Sat. L'occasione è servita per parlare dell'Italia e della sua gente, della coralità e della fuga anche "dalla fatica della cultura e della musica". "I cori sono nati – dice – perché la terra ha bisogno di una narrazione popolare. La televisione commerciale l'ha demolita convincendo i consumatori che raccontare sia una cosa facile. Così i conservatori sono vuoti e i giovani intasano i talent-show, convinti di essere star prima di imparare a cantare, o di saper suonare uno strumento. La politica, uccisa dai social, subisce la stessa condanna. I cori non cantano, si esibiscono. I politici non servono, comandano. Il Paese che non legge, scrive".
Per spiegare il suo rifiuto di cantare ancora, Bepi De Marzi ricorda le parole di Rigoni Stern. "Camminavamo nei boschi di Asiago – dice – e si è fermato davanti ad un peccio carico di pigne. Disse che l'anno dopo quell'albero rigoglioso non ci sarebbe stato più. Andò così: quando si muore si butta fuori tutto quello che si ha dentro. Il fragore di fondo che assorda l'Italia sono questa esibizione eccessiva di certezze: serve il silenzio per imparare a riascoltare la sua musica". Migliaia di persone, da tutto il Paese e dall'estero, in queste ore scrivono a De Marzi e ai suoi Crodaioli. Chiedono "di ripensarci e di resistere". Sul sito del coro fondato nel 1958, che ha visto succedersi 250 coristi, compare però solo la scritta "A malincuore comunichiamo di aver cessato la nostra attività canora". Inutili i tentativi delle case discografiche, a caccia di un ultimo concerto da registrare.
"Il punto è – dice De Marzi – che non si canta se non si ama. In montagna, nei campi, nelle fabbriche e in guerra, si cantava grazie alla fraternità, o alla nostalgia. Serve una storia, comune o personale, per amare e dunque per cantare. Non mi risulta che le scuole italiane insegnino con attenzione i fatti che hanno segnato il Novecento, o le tragedie della contemporaneità. Nel vuoto non resta che il silenzio".
Tra le sue ultime canzoni, tre restano inedite. "Nokinà" racconta le mamme ebree che ad Auschwitz, denudate davanti alle camere a gas, cantavano la ninna nanna ai propri bambini. "Rap di Mariostern" è un inno "contro i cannoni, i potenti che tradiscono l'ambiente e i poveri venduti sui gommoni". "I bambini del mare" onora i migranti sacrificati nel Mediterraneo che "hanno gli occhi di conchiglia e le scarpe di pezza cucite dalla mamma". "Questi temi – dice Bepi de Marzi – sono il nostro passato, il presente e il futuro. Bene, vengono tutti negati, o giustificati. Per questo, con le lacrime agli occhi, dopo 22 mila ore di concerti e dopo l'ultima cantata tra noi ho detto ai miei Crodaioli: "Tosi, par rispeto dei nosi veci, se fermemo qua".
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