Una cosa bella infinitamente triste
Paola Mastrocola (Il Sole 24 ore del 26 ottobre) interviene sulle Giornate Nazionali della Lettura promosse dal MIUR. Lo fa nella prima parte di un suo lungo articolo, che proponiamo ai nostri lettori, evidenziando il contrasto tra la bellezza "in sé" della lettura e la tristezza di vederla imposta come obbligo.
Il Ministero dell'Istruzione promuove le prime Giornate nazionali della Lettura nelle scuole di ogni ordine e grado. Saranno adesso, il 29, 30 e 31 ottobre. Vuol dire che in ogni scuola d'Italia, elementari, medie e superiori, si leggerà qualcosa ad alta voce, per un certo tempo, ogni giorno per tre giorni, e senza valutazione. Cioè non si darà il voto agli studenti per come leggono o per quanto capiscono del senso di quel che leggono, non si chiederà loro alcunché, notizie sull'autore o commenti critici sull'opera. Niente interrogazioni, niente schede di lettura. Si leggerà e basta.
È un'iniziativa certamente encomiabile. È bene che si legga nelle scuole, ed è bene che si legga e basta. La lettura è fine a se stessa. È una fascinazione, una bellezza che arriva all'anima. E non si può interrogare l'anima. Tanto meno esigere, a libro letto, quelle orribili compilazioni scritte che lo renderanno odioso: fabula e intreccio, personaggi, figure retoriche, macrosequenze, e altre nefandezze. Ben vengano dunque le tre giornate, ne sono lieta.
Ma anche infinitamente triste.
Intanto nella nota ministeriale leggo: «Al fine di stimolare negli studenti il piacere della lettura». Stimolare il piacere negli studenti? Ma siamo matti?
E poi la costrizione. Possibile che per far leggere nelle scuole ci voglia l'imposizione del Ministero? Molti insegnanti, da sempre, leggono in classe ad alta voce, anche solo qualche minuto al giorno. Conosco personalmente alcune bravissime maestre di Pavia, e alcune colleghe di liceo, a Foggia, che lo fanno da anni. Ma di certo, se il Ministero ha pensato a un'imposizione, vuol dire che questi insegnanti-lettori, a di là di quei pochi che ognuno di noi può conoscere, non sono poi così tanti...
Strano. In generale, chi insegna dovrebbe amare molto i libri. E chi ama i libri, dovrebbe naturalmente sentire il desiderio di leggerli a chi ha intorno. Leggere in gruppo ad alta voce crea una magia, un tempo sospeso. Se poi il gruppo è una classe, ne nasce un momento non scolastico, sganciato dalla perversa routine spiegazione-interrogazione. Si sta semplicemente insieme a leggere. La classe diventa un teatro, un prato, una spiaggia, o il salotto di casa. Diventiamo, tutti noi insegnanti e allievi, semplicemente gente che si ritrova a leggere un bel libro, a farsi portare lontano dalle parole, dalla voce. Fosse sempre e ovunque così, la scuola cambierebbe, perché le persone cambierebbero. Dieci minuti, un quarto d'ora, non di più. Ma ogni giorno. Son convinta che i ragazzi comincerebbero a pensare che ci possono stare anche i libri, nella loro vita, e smetterebbero di considerarli oggetti alieni.
Così, di fronte alle tre giornate di lettura coatta, mi permane una tristezza. Mi sembra artificioso, esagerato. Esibito, ecco. Come se i lettori fossero una minoranza negletta, che ha bisogno di urlare i suoi diritti. Un po' come succede nei Gay Pride: a volte avvertiamo un eccesso di ostentazione, in quel mettersi tutti, in un giorno solo, in una sfilata, chiassosamente in mostra.
Ecco, non vorrei l'effetto di un Reader Pride. La lettura non ne ha bisogno. È un gesto schivo, riservato. Non vuole rumore, frastuono intorno. Preferisce passare inosservata. Certo, col rischio che nessuno sappia mai che in certe scuole, in certe classi, succede che qualcuno prenda in mano un libro e ad alta voce, dieci minuti al giorno, lo legga. Pazienza, avverrà in silenzio, in incognito. Molto orgogliosamente, questo sì, ma in sordina. Senza clamore, senza comunicati stampa. Per il puro piacere (non stimolato!), di leggere.
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