Più insensibili al dramma altrui
"L’Unione Europea e i governi degli Stati membri cercano con ogni mezzo di impedire l’ingresso sul territorio di persone che sarebbero tenute a proteggere, sulla base delle loro stesse Costituzioni". Lo denuncia Maurizio Ambrosini su Avvenire del 10 dicembre 2020, data in cui ricorre la Giornata Mondiale per i diritti umani.
Oggi, 10 dicembre, si celebra la Giornata mondiale per i diritti umani, e la ricorrenza cade in un momento assai fosco per le sorti dell’umanità minacciata. Per la verità il riconoscimento solenne dei diritti umani, da parte delle Nazioni Unite ha sempre avuto una vita fragile e stentata, eppure esso è una delle maggiori conquiste del secondo dopoguerra novecentesco. L’universalità della sua concezione – di diritti umani riconosciuti a tutti – indipendentemente dal luogo d’origine e dalla cittadinanza – deve infatti fare i conti con un mondo diviso in Stati nazionali. Sono governi votati dai cittadini-elettori, su base appunto nazionale, a dover dare attuazione a diritti che proteggono anche i non-cittadini e non-elettori.
Per di più i diritti umani comportano quasi sempre dei costi, a differenza di molti diritti civili, come la libertà di opinione e di religione, e dei diritti politici, ossia il voto attivo e passivo. I cittadini devono quindi accettare di finanziare dei diritti che possono andare a beneficio di minoranze interne mal viste, come rom e sinti, di individui stigmatizzati, come i carcerati, o di stranieri con cui non hanno legami se non quelli della comune umanità, come i rifugiati.
Gli stessi cittadini peraltro, almeno nella Ue, accettano di finanziare cure per etilisti, tossicodipendenti, fumatori e altre persone che potrebbero essere incolpate per i problemi di salute di cui soffrono. Ma questo avviene sotto il velo dell’ignoranza, come ha teorizzato John Rawls: i cittadini pagano sapendo che problemi simili potrebbero toccare anche a essi, o a persone a loro vicine. La con-cittadinanza produce una solidarietà basata su un principio di reciprocità almeno virtuale. Lo stesso principio non scatta quando si tratta di accogliere famiglie in fuga da Paesi in guerra: i cittadini dell’Europa pacificata dopo secoli di guerre non hanno la percezione che il dramma dell’esilio possa toccare anche a loro, e quindi faticano a sentirsi solidali con chi vive quel dramma.
Per un periodo piuttosto lungo i diritti umani, anche se non tutelati in maniera coerente, non erano mai stati posti in discussione sul piano politico. Rappresentavano una piattaforma di consenso comune tra partiti anche nettamente antagonisti. La nostra Costituzione ne è un esempio. Ora questo consenso si è rotto, e in molti Paesi l’attacco ai diritti umani è diventato un cavallo di battaglia delle formazioni anti-establishment, con effetti che influenzano a cascata l’operato dei governi e dei partiti tradizionali. L’insidiosa contrapposizione tra 'poveri nostrani' e 'poveri stranieri' ha fatto breccia, come se non fosse possibile rivendicare più attenzione per gli uni e per gli altri, tagliando semmai su altre spese, come quelle militari.
Già originariamente la tutela dei diritti umani è stata garantita da trattati, norme costituzionali e istituzioni giudiziarie che li hanno sottratti all’arbitrio delle maggioranze. Oggi se ne avverte ancora di più il bisogno. Ma quello che succede alle frontiere dell’Unione Europea, che 'Avvenire' continua a documentare, ieri nell’Egeo e nel Canale di Sicilia, oggi soprattutto nella regione balcanica, come sottolineato sabato 5 dicembre l’inchiesta di Nello Scavo sulla «via della vergogna», dimostra che i trattati non bastano.
L’Unione Europea e i governi degli Stati membri cercano con ogni mezzo di impedire l’ingresso sul territorio di persone che sarebbero tenute a proteggere, sulla base delle loro stesse Costituzioni. Il giusto principio di controllo delle frontiere diventa l’ingiusto (e violento) dispositivo per sottrarsi all’obbligo di proteggere le persone in pericolo. L’esternalizzazione del controllo verso i Paesi di transito, come Turchia, Libia e Niger, raggiunge l’ipocrita obiettivo di sfuggire agli obblighi umanitari senza negare apertamente i diritti umani. Per i pochi che riescono a passare, ci pensa la polizia croata con cani e bastoni. E se qualcuno arriva alle nostre frontiere, scatta lo scaricabarile per rispedirlo da un Paese all’altro, finché finisce di nuovo fuori dalla Ue.
Il risultato finale è ben sintetizzato dai dati. Come ha documentato l’ultimo rapporto sul diritto d’asilo della Fondazione Migrantes della Cei, i profughi nel mondo aumentano, sfiorando nel 2019 la cifra di 80 milioni, ma quelli accolti dalla Ue diminuiscono: poco più di 600mila domande d’asilo nell’ultimo anno. In Italia poi il dato è ancora più ridotto, meno di 40mila, neanche il 6% del già modesto impegno della Ue sul tema. Siamo ben lontani dall’«invasione» di cui ritualmente ci si lamenta.
Serve quindi una società civile e un’informazione vigilanti e impegnate. Serve un dedizione educativa rinnovata, e fa sperare la bella iniziativa di una grande «Assemblea delle scuole italiane sui Diritti e le Responsabilità» accolta dal Ministero dell’Istruzione e promossa da importanti realtà associative e accademiche che coinvolgerà scolari e studenti di quindici Regioni su venti. Serve un risveglio delle coscienze, sotto Natale e oltre Natale. La fraternità a cui ha richiamato papa Francesco trova qui il suo banco di prova più esigente e globale.
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