Ora è compito dei politici ridare fiducia ai cittadini
Sul Corriere della Sera del 17 agosto un articolo di Daniele Manca richiama l'impegno di tutti a evitare che in un momento di eccezionale gravità siano ancora una volta a prevalere la polemica politica e la ricerca del consenso, invertendo un ordine di priorità che in frangenti come questo si impone: sostenere le famiglie delle vittime, individuare soluzioni alla drammatica emergenza che si è prodotta, ricostruire non solo le lacerazioni del territorio ma anche un necessario legame di fiducia tra cittadini e Stato.
Un Paese fragile. Un Paese da ricostruire. A cominciare da chi questo Paese vuole guidare. Da chi ne è classe dirigente, in tutti i campi dalla politica alle aziende alla pubblica amministrazione. La tragedia del Ponte Morandi di così drammatica portata dovrebbe aiutare a forgiare la capacità di reazione dello Stato e della collettività. La qualità della politica si vede in questi momenti. Dovrebbe essere vincolata al compito di ripristinare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni; fiducia incrinata dalla visione di quel ponte caduto sulla città. Sono ancora troppe le opere pubbliche che in giro per l’Italia sono a rischio. E troppe le opere bloccate dagli egoismi di pochi a scapito del beneficio di tutti.
È un errore che l’annuncio di provvedimenti a effetto, come il ritiro della concessione (al di là dei costi come rivelato dal Corriere), come dichiarato dal premier Giuseppe Conte e dal vicepremier Luigi Di Maio, possa essere la strada migliore per mostrare impegno. È una scorciatoia utile forse a inviare un segnale forte all’opinione pubblica per sopire il dolore del momento. Ma è anche indizio di debolezza più che di forza. La debolezza di chi incarna uno Stato che punisce senza processi. Ma che non ha avuto la capacità di garantire la sicurezza dei cittadini. Lo Stato deve essere in grado di controllare l’azione di società, come le Autostrade, alle quali trasferisce ricche concessioni. Deve pretendere e ottenere il rispetto dei contratti e l’efficacia del servizio, ma innanzitutto il fatto che la vita di chi viaggia non sia a rischio.
Le istituzioni devono pretendere da chi quelle società guida e controlla nel caso di disastri come quelli di Genova, un’assunzione di responsabilità immediata, non soltanto la sterile e stucchevole difesa del proprio operato. Al contrario, la concreta azione prima di sostegno alle vittime e alle famiglie coinvolte, poi il contenimento dei disagi di vite stravolte dalla inadempienza di molti o pochi che siano. C’è il tempo del cordoglio. E quello dell’accertamento delle responsabilità materiali. Tempo che deve essere breve. La giustizia sommaria spingerebbe ad agire secondo il principio che chi occupa le stanze del potere è più importante dello Stato di diritto, delle leggi che ci si è dati per garantire la convivenza civile e di chi quelle norme deve far applicare, la magistratura.
La punizione cieca può essere utile a guadagnare pezzetti di consenso. Altro sono le responsabilità politiche di chi non ha vigilato. Di chi non si è mosso per tempo per prevenirle. Come di chi ha alimentato e salvaguardato l’interesse di minoranze a scapito del benessere del Paese, ostacolando nuove opere e possibili soluzioni. Una tragedia non può per l’ennesima volta trasformarsi in pura battaglia politica. I veleni non possono oscurare il desiderio di giustizia che il dolore di questi giorni reclama. I cittadini e i nostri Paesi partner ci giudicheranno su quanto sapremo essere forti e giusti. Non dalle urla e dalle tossine sparse davanti a una tragedia come quella del Ponte Morandi.
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