I disastri di chi nega il covid
Gli ultimi clamorosi casi di contagio da covid-19, nel contesto di un'epidemia in preoccupante ripresa, smentiscono anche le opinioni espresse da esperti che con le loro affermazioni - di cui in qualche misura ammettono l'inopportunità - hanno contribuito ad un allentamento dell'attenzione con effetti negativi piuttosto evidenti. Affronta il tema Donatella Di Cesare su La Stampa del 5 settembre 2020. "Non sono solo i negazionisti in piazza – più grave è quella narrazione, ormai diffusa, che parla magari a bassa voce di un virus inesistente o di una gonfiatura terroristica".
Negare il virus, ma anche solo ridimensionarne la gravità, sminuirne la portata può avere effetti disastrosi. Soprattutto quando si riveste un ruolo pubblico. Questo vale per i politici, per gli opinionisti, i commentatori, ma oggi tanto più per gli esperti e per i medici. Perciò deve far riflettere molto l’improvviso dietrofront che ha fatto Alberto Zangrillo, notissimo primario del San Raffaele.
Zangrillo, con la sua indubbia autorità, lo scorso maggio aveva dichiarato: «Il virus è clinicamente morto». Adesso si corregge ammettendo di aver usato «un tono forte e stonato». D’altronde non avrebbe potuto fare diversamente dinanzi all’emblematico contagio di Silvio Berlusconi. E perciò corregge il tiro, quasi per mitigare la posizione presa in passato: «Non nego che il virus esista e ha complicanze letali, ma sono stato il primo a dire che dobbiamo conviverci».
C’è da chiedersi, però, se queste rettifiche giunte in extremis, queste correzioni, espresse senz’altro in buona fede, siano sufficienti. Che cosa hanno provocato quelle sue prime parole con cui decretava il virus «morto», finito clinicamente? Riprese e rilanciate da chi, per motivi diversi, voleva smentire la pandemia, «questo grande complotto!», o semplicemente sancirne la fine, sono diventate il motto del negazionismo strisciante. «Lo dice pure Zangrillo: il virus non c’è». Certo quest’impiego va ben al di là delle intenzioni di chi le ha proferito.
Ma proprio per ciò chi si presenta nello spazio pubblico come “esperto”, depositario di un sapere scientifico, dovrebbe essere consapevole che il suo giudizio potrebbe diventare un responso definitivo, una specie di sentenza oracolare, usata anche per bassi fini politici. Questo ci insegna lo scenario attuale. Non si tratta solo delle manifestazioni dei No-Mask che scendono in piazza. Il problema è anche la tensione che cresce, la conflittualità che si diffonde. In aereo, in treno, al supermercato, alla posta – ovunque c’è il negazionista esacerbato, quello che, con la mascherina calata, deride o addirittura offende chi segue seriamente le misure sanitarie. «L’ha detto Zangrillo!». Sono gli altri ad essere creduloni – perché hanno paura o perché ancora non hanno capito che “quelli lì”, “quelli del palazzo” stanno “esagerando.
Bisogna allora riconoscere che la sentenza di Zangrillo ha agito come le fake news, facili da propagare e difficili da confutare. Ecco perché le smentite, purtroppo, servono a poco. Una volta avviato il meccanismo funziona come un mito, una favola, la cui efficacia non sta nella veridicità, bensì nelle esigenze a cui risponde, nelle suggestioni che suscita. È questo il grande potere della finzione. Soprattutto di fronte alla complessità si sceglie la scorciatoia, si presta fede a quel che risponde alle proprie convinzioni, si asseconda ciò che torna utile. Come il mito resiste a ogni riesame, così la sentenza oracolare dell’esperto, impermeabile a ogni critica e autocritica, si rafforza grazie all’effetto pratico. Non sono solo i negazionisti in piazza – più grave è quella narrazione, ormai diffusa, che parla magari a bassa voce di un virus inesistente o di una gonfiatura terroristica.
Mentre si diffondono fantasmi complottistici, tra credulità sprovveduta e ostinato dogmatismo, vengono alla luce tutti i limiti di una visione ridotta alla propria singola elementare esperienza. Si nega o si sminuisce il virus per poi doverlo ammettere solo quando si è personalmente colpiti. Quel che gli altri hanno provato, quel che hanno esperito, non conta. La testimonianza, dove c’è, appare irrilevante. Proprio questi limiti – oggi che dobbiamo convivere con il virus – sono davvero inaccettabili.
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