I bimbi e l’infezione: lezione per gli adulti
Le risultanze di uno studio pubblicato sul Journal of Pediatric, che smentiscono la tesi per cui bambini e giovani sarebbero risparmiati dalla pandemia, offre lo spunto ad Antonio Scurati per una riflessione sul rapporto degli adulti con le giovani generazioni. Il dilagante "giovanilismo senile" - come lo definisce Scurati - "non significa affatto attenzione sociale e dedizione educativa alla giovinezza". Accanto al problema sanitario, emerge un enorme problema educativo.
I bambini non sono affatto immuni al Covid. I ragazzi men che meno. Ora che la nostra più grande speranza si rovescia nella più tremenda disillusione, enormi responsabilità attendono ciascuno di noi e gravi decisioni attendono la classe dirigente.
«I bambini vengono miracolosamente risparmiati dalla pandemia». «La pandemia, in fondo, non è poi così grave perché colpisce solo gli anziani, già debilitati, e risparmia i giovani». Queste due idee – la prima compassionevole, la seconda cinica – ci hanno confortati e, a tratti, abbagliati durante le prime fasi dell’emergenza sanitaria. Erano entrambe idee errate. La prima scientificamente, la seconda anche moralmente.
Già i dati clinici che si andavano accumulando nelle ultime settimane indicavano una realtà ben diversa. Ora un fondamentale studio scientifico, pubblicato proprio oggi sul Journal of Pediatrics dimostra definitivamente che ci eravamo illusi: «Sono rimasto sbalordito dagli alti livelli di virus riscontrati in bambini di tutte le età. Non mi aspettavo che la carica virale fosse così alta. Pensate a un ospedale e a tutte le precauzioni prese per curare adulti gravemente ammalati. Ebbene, sappiate che le cariche virali di questi pazienti ospedalizzati sono significativamente inferiori a quelle di un ‘bambino sano’ che se ne va in giro con un’alta carica virale di SARS-CoV-2».
Ad affermarlo è Lael Yonker, dirigente medico del Massachusetts General Hospital for Childern e co-autore del più vasto studio condotto sino a oggi su pazienti pediatrici di COVID-19. Lo studio, condotto su un campione di 192 soggetti, in età compresa tra 0 e 22 anni, dimostra, purtroppo, che i bambini svolgono un ruolo nella diffusione della pandemia molto più importante di quanto si credesse in precedenza. Su 192 individui presi in esame, ben 49 sono risultati positivi al virus e 18 hanno poi sviluppato sintomi della malattia.
A lungo si è pensato che il basso numero di recettori del virus presenti nell’infanzia la rendesse immune al contagio. Lo studio, purtroppo, smentisce anche questa ipotesi. Viene confermato, per fortuna, che soggetti in età pediatrica, soprattutto i più giovani, hanno possibilità basse di sviluppare la malattia ma smentisce categoricamente l’ipotesi di immunità: «I ragazzi non sono affatto immuni a questa infezione e in loro i sintomi non presentano correlazioni con l’avvenuto contagio e la presenza dell’infezione», ribadisce Alessio Fasano, della Harvard Medical School, co-autore dello studio. In altre parole: ragazzi e, soprattutto, bambini sono tra i principali veicoli di contagio proprio perché asintomatici, o pauci-sintomatici, anche in presenza di alte cariche virali. Poi Fasano conclude: «Se le scuole dovessero riaprire a pieno regime senza le necessarie precauzioni, è verosimile che bambini e ragazzi giocheranno un ruolo centrale nella diffusione ulteriore di questa pandemia».
Questa, dunque, la terribile evidenza scientifica. Di questa dovranno tener conto i decisori nei prossimi giorni. Su questa tutti noi siamo chiamati a meditare. Cominciamo dai nostri errori.
In molti ora si interrogano su quale malsana idea di diritto al divertimento – dopo lunghi mesi durante i quali lo Stato aveva limitato diritti ben più fondamentali per salvaguardare la salute dei cittadini – abbia spinto il Governo a prendere la sciagurata decisione di consentire il turismo giovanile di massa in paesi dove l’epidemia ancora dilaga (senza adeguati controlli al rientro) e la ancora più sciagurata decisione di consentire la riapertura delle discoteche. Io credo che a questo delirante e altrimenti inspiegabile abbaglio abbia contribuito anche una malintesa idea di cosa sia la gioventù.
Da decenni la nostra società è afflitta da ciò che potremmo definire «giovanilismo senile». Più l’età media si innalza, più invecchiamo come popolo, più dedichiamo ai giovani una sorta di culto idolatrico. Più decadiamo nello spirito di iniziativa, di intraprendenza, nella capacità di slanci progettuali verso il futuro e più erigiamo a feticcio l’età della vita che dovrebbe rappresentare quello slancio. Molti sintomi attestano questa nostra malattia spirituale: la sfrenatezza sessuale farmacologicamente assistita, gli assurdi dettami della moda slim-fit, i prodotti dell’industria culturale sempre più concepiti per una sorta di eterno adolescente globale. Lo dimostra, soprattutto, il tramonto delle condotte e delle virtù che furono dell’età adulta. Lo dimostra l’eclissi della tensione verso la maturità. Di queste fa parte, infatti e innanzitutto, il diritto e dovere di educare giovani e bambini. Una decennale retorica dell’ascolto («non li sappiamo ascoltare») ci ha distratti dalla nostra principale responsabilità nei confronti di figli e alunni. Questa responsabilità, da che mondo è mondo, consiste non solo nel saperli ascoltare ma nell’avere qualcosa da dir loro: «Figlio mio, ragazzo mio, i morti si contano a decine di migliaia, l’economia è in ginocchio, il futuro è incerto. Abbiamo tutti compiuto enormi sacrifici. Andrai a ballare la prossima estate». Questo avremmo dovuto dire, affermare, imporre.
Bisogna, infatti, fare attenzione a un punto cruciale. Il «giovanilismo senile» non significa affatto attenzione sociale e dedizione educativa alla giovinezza. Al contrario. Il disinteresse generale e gli scarsi investimenti – materiali e morali – verso il mondo scolastico sta a dimostrare che il culto idiotico e idolatrico della gioventù è inversamente proporzionale alla cura che dedichiamo ai giovani. Pensateci: mentre un’intera società insegue affannosamente una grottesca eterna giovinezza, lascia decadere proprio quelle istituzioni che la dovrebbero istruire ed educare. Perché? Perché istruire ed educare la giovinezza significa avviarla a tramontare, accompagnarla verso il suo trapasso nella maturità, nell’età adulta, questa sconosciuta. La pandemia ci espone al rischio di un definitivo strappo tra età adulta e mondo giovanile ma ci offre anche una preziosa occasione di rammendare le tante sdruciture tra di essi.
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