Così la scuola può aiutare l'occupazione
Investire sul rapporto scuola-lavoro. Come in altri paesi, a partire dalla Germania. Anche le linee guida sulla Buona Scuola mostrano al tema ben poca attenzione. Su La Stampa del 18 ottobre un articolo essenziale e incisivo di Walter Passerini
Bastano alcuni dati per capire quanto pesa la scarsa comunicazione tra la scuola e il lavoro. In Italia solo il 4% dei ragazzi tra 15 e 29 anni riesce a integrare studio e lavoro (il 22% in Germania); l’abbandono scolastico è al 17,6% (in Europa al 12,6%); solo quattro imprese su dieci hanno frequenti contatti con la scuola (il 70% in Germania) e quando cercano personale lamentano una difficoltà di reperimento di figure tecniche che supera il 40%. C’è da chiedersi che cosa aspettiamo per mettere in comunicazione questi mondi. L’andamento della consultazione on line sulla buona scuola, che scade tra pochi giorni, conferma invece che i principali temi di accesa discussione sono quelli che stanno «dentro la scuola» e non «tra scuola e realtà» circostante. E’ importante parlare di insegnanti, graduatorie, supplenze e risorse, ma al tema scuola-lavoro viene riservata scarsa attenzione. Del resto nell’agenda proposta dal ministero solo due punti su 12 riguardano la scuola e il lavoro. Ci ha provato anche Confindustria con le sue «100 proposte per la scuola» di cui una trentina riguardano il rapporto scuola-lavoro, ma l’uscita pubblica non ha ancora trovato un’adeguata attenzione. Colpisce sul tema il silenzio dei sindacati. Il dialogo tra sordi deve essere sostituito da una più stretta collaborazione. La disoccupazione giovanile (44,2%) ha molto a che fare con la scarsa comunicazione tra i due mondi. L’Europa ci chiede di lavorare sulle quattro priorità della Vet (Vocational educational training): alternanza, apprendistato, istruzione tecnica e professionale, autoimprenditorialità. Ma noi sembriamo ancora fermi alla vecchia triade della vita: prima si studia, poi si lavora, poi si va in pensione; sappiamo bene quanto sia cambiato il nostro piccolo mondo antico. Eppure le migliori pratiche dei nostri concorrenti dovrebbero guidarci. Sono almeno dieci le proposte attuabili. Innanzitutto un piano di orientamento nazionale, dalla scuola media, per accompagnare le scelte e rafforzare le iscrizioni alle discipline tecnico-professionali. Va resa obbligatoria l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria negli ultimi tre anni delle superiori. Anziché soffocarlo, l’apprendistato avrebbe bisogno di un rilancio sia per l’acquisizione di qualifiche sia per l’alta formazione (modello duale). Gli imprenditori che svolgono attività di formazione per i giovani vanno incentivati e premiati. L’offerta formativa dopo il diploma dovrebbe arricchirsi di un nuovo ordinamento aggiuntivo, oltre all’università, attraverso l’istruzione tecnica superiore, sul modello tedesco. L’inefficacia della formazione in Italia dipende anche dalla frammentazione in 20 sistemi regionali, per i quali andrebbe prevista una regia e un coordinamento nazionale. Stage e tirocini dovrebbero diventare obbligatori sia negli istituti tecnici che nei licei con una durata almeno doppia. Ogni istituto superiore dovrà dotarsi di ufficio placement e banche dati per favorire i contatti con il mondo produttivo. Per ovviare alla carenza di risorse si possono usare i laboratori aziendali aprendoli alle classi. Infine, è tempo che le scuole si colleghino in rete ai fabbisogni e ai monitoraggi nazionali e territoriali, per legare più strettamente la domanda e l’offerta di lavoro.
- Files:
- passerini_18102014.pdf343 K