Auguri senza perché
Un tema "di stagione", quello degli auguri: e proprio agli auguri "di stagione", dalle motivazioni indefinite, magari per malinteso rispetto di "identità altrui" cui non è in realtà di alcun giovamento la negazione della propria, è dedicato il pezzo di Stefano Allievi, professore associato di Sociologia presso il Corso di Laurea in “Scienze della Comunicazione” all'Università degli Studi di Padova, pubblicato sul Corriere di Verona del 27 dicembre.
Con l’arrivo del Natale si ripete, inevitabile, il rituale degli auguri. Augurare significa trarre auspici: l’àugure era il sacerdote che, presso i Romani, leggendo i segni della natura o interpretando i sogni, prediceva il futuro. E un rituale è qualcosa di importante: perché sacralizza il tempo, lo carica di contenuto emozionale e, poiché è condiviso, rafforza le relazioni sociali, collocandole dentro a una storia ciclica, che si ripete, e che ha un significato, quale che sia. Vale per le feste civili e nazionali, per i compleanni e gli anniversari familiari, le celebrazioni di personaggi o momenti rilevanti del passato – e a maggior ragione per le feste religiose. Solo che, da qualche anno, sono nati nel mondo anglosassone, e si sono progressivamente diffusi anche da noi, modi assai dubbi di augurare non si sa bene cosa, celebrando non si sa bene come, senza alcun vero perché. L’obiettivo originale di tali consuetudini è astrattamente lodevole: tenere conto della crescente pluralità culturale e religiosa delle popolazioni di ciascun paese. Ma il risultato è deplorevole e incomprensibile. Mi riferisco in particolare ai biglietti di auguri (e le mail, gli sms, ecc.) con la sciagurata dicitura «season’s greetings», che in italiano suona come un insulso e insignificante (nel senso che appunto non significa niente) «auguri stagionali» o «auguri di stagione». È un’espressione penosa, che, anche presa alla lettera, manifesta solo un vuoto di significato: quale stagione?
E, poiché sono stagioni anche le altre, perché gli auguri solo in questa? Non va meglio, peraltro, con l’espressione altrettanto anodina di «holiday greetings»: «auguri di (per le) vacanze». Perché solo in queste, di vacanze? Almeno, questa parola, deriverebbe letteralmente da «holy day», giorno santo: ma temiamo che nessuno più la legga e la comprenda in questo modo. Il tutto, per non dire «buon Natale». Da parte delle stesse persone, magari, che poi agli ebrei augurano felice Hanukkah, ai musulmani buon Ramadan, buon 8 marzo alle donne, buon primo maggio ai lavoratori, felice Halloween ai bambini, e così via. E riferendosi a persone che, peraltro – ebrei, musulmani, hindu, sikh, buddhisti, atei, agnostici, indifferenti – non hanno alcun problema ad augurarci, loro, «buon Natale«. Personalmente, occupandomi nella mia vita professionale anche di questioni legate all’islam, ricevo più messaggi di buon Natale – e, spesso, più lunghi, meditati, profondi e rispettosi – da parte di musulmani che da parte di qualunque altra categoria di persone. Tanto più – proprio perché non ha senso alcuno – vivo con progressiva irritazione e malcelato fastidio questo augurio stagionale senza spessore e senza utilità: che, purtroppo, vedo sempre più condiviso anche da aziende e istituzioni del nostro paese. Nel mio piccolo, faccio obiezione di coscienza. E a tutti quelli che mi mandano i loro «season’s greetings» rispondo sistematicamente, rispedendoli al mittente, con un messaggio del tipo: «Grazie, ma non li capisco. O fate gli auguri per qualcosa o, per favore, non fateli per niente». Capisco che sia una ribellione inane, e non pretendo di lanciare un movimento di protesta: ma, ciascuno a suo modo, credo che chiunque si senta diminuito da questa sciocca e superficiale neotradizione dovrebbe in qualche modo reagire. Se non altro – e non è poca cosa – ci resterebbe la soddisfazione di aver fatto sentire una voce dissonante rispetto a un neo-conformismo che non ha ragione di essere e che oltre tutto non ci è richiesto da nessuno: ce lo infliggiamo da soli. Per questo, per quel che vale, chiudo con l’augurio convinto di un felice Natale. Anche a chi ci manda i «season’s gretings».
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