Provocazioni: il "fallimento" della scuola media
Un intervento forte, e per questo stimolante, di Goffredo Fofi che presenta la rivista "Gli asini" e un dossier dedicato alle criticità della scuola media
“Gli asini” è una rivista bimestrale che si occupa di educazione e intervento sociale, arrivata a tre anni di attività, che si avvale dell’aiuto e del lavoro di un numeroso gruppo di collaboratori – esperti nelle scienze e esperti sul “campo” dell’intervento pedagogico – che mescolano linguaggi e competenze.
Non è una rivista per specialisti, ma per chi ha a cuore l’educazione nel senso più alto: non quello di formare gli individui, ma trarre da loro il meglio. Nel prossimo numero (il numero 15 di maggio-giugno), ospitiamo un corposo dossier circa le nuove tecniche digitali legate all’educazione, e i nostri dubbi alimenteranno questo dibattito in futuro, e un dossier sul fallimento della scuola media.
La scuola media è, nel generale degrado della scuola pubblica in Italia, uno dei luoghi che non ha aspettato quest’epoca per dimostrare la sua inadeguatezza. Un sistema nato da una grande conquista, la "scuola media unificata" che aboliva la divisione – nell’arco di età che va dalla fine delle elementari ai tredici/quattordici anni, fondamentale per la comprensione di sé e della vita da parte del fanciullo come spiega in questo numero l’antropologo Piergiorgio Giacchè – tra i figli dei contadini e dei proletari da una parte e quelli dei piccolo-borghesi e borghesi (se questi ultimi non preferivano iscriverli in qualche scuola privata) dall’altra – tra la scuola che era detta di avviamento professionale e quella detta semplicemente media, pensando all’età e in qualche modo inconscio (ma non troppo) ai ceti sociali a cui la si destinava.
Finiva l’epoca di una scuola invero estremamente, oscenamente classista, ma non è che si pensasse di recuperare per la "scuola media unificata" qualche parte della scuola d’avviamento che avrebbe potuto essere salvata: la preparazione professionale, appunto, o meglio, l’apprendimento di capacità artigianali e tecniche da parte dei ragazzi.
La scuola media è rimasta fino a oggi quella della riforma Gentile, dove per insegnare bastava avere una laurea, preferibilmente in lettere, e nessuna conoscenza nel campo della psicologia dell’età detta ingrata, nessuna preparazione ai metodi e alle tecniche dell’insegnamento. Ne conseguì che la scuola media era la più superficiale e inutile delle scuole, con la sua sfranta e generica impostazione umanistica e i suoi latinorum.
Se le elementari avevano un senso - almeno fino a tempi recenti e cioè fino ai colpi di piccone che le hanno inferto i ministri e i loro acquiescenti sottosegretari, dagli avanguardisti di sinistra delle riforme che possiamo ben dire capitalistiche alla Gelmini e su su fino a oggi, così come lo avevano (minore) le scuole dette superiori - la scuola media fu ed è il buco nero che rivela della scuola pubblica tutta l’insipienza e qualcosa di più che l’ambiguità derivata dalla sua natura di scuola di stato, di uno stato dove a dominare il campo della politica, dopo gli anni delle riforme del dopoguerra, è stata la logica dello sviluppo e la conservazione delle differenze, e non quella della parità tra le classi e della giustizia.
La scuola media va morendo, non serve più se non come stallo, come prigione in cui costringere quell’età “difficile”, che è poi la più bisognosa di attenzioni e di rispetto, perché possa aprirsi alla conoscenza di sé e del mondo. Per questo è necessario studiarla e anche combattere le sue storture, da dentro e da fuori, e pensare al domani, a ciò che potrebbe sostituirla.
Il lavoro de “Gli asini” si muove in questa direzione, nella convinzione che la grande mutazione in atto che riguarda tutta la società contemporanea, non solo la nostra, debba venir compresa in modo attivo, elaborando i modi di contrastarla e forse anche, a volte, di servirsene.
I materiali del dossier che dedichiamo in questo numero alle nuove tecniche digitali e alle mistificazioni che le circondano, alla supinità della scuola ufficiale che comincia nell’incompetenza, nella mancanza di idee, nelle astuzie dei ministri e dei loro collaboratori e dei pedagogisti ufficiali, nel loro ossequio a una postmodernità mai discussa nei suoi caratteri più profondi, e stupidamente accolta nei suoi invasivi strumenti al seguito della pubblicità dell’economia che domina, e che porta alle grande crisi del nostro tempo e vanno in questa direzione, così come alcune delle esperienze che venivano narrate nel numero scorso. Per esempio quella dei boy scout.
È possibile infatti sognare alternative forti all’attuale stato delle cose, all’attuale progetto capitalistico. Una scuola dove i ragazzi non siano trattati da prigionieri inchiodati ai banchi e trattati da minorati da professori che della vita e della scienza non sanno molto più di loro, una scuola dove si possano apprendere cose utili e provarsi in attività concrete e formative, al lavoro e alla ricerca affrontati in gruppo, alla scoperta della natura e della società nelle loro molteplici forme, e perfino riscoprendone alcune di quelle uccise dal cosiddetto progresso.
Insomma, un discorso enorme che, nel declino e nella veloce agonia di un modello che non merita di sopravvivere, guardi anche al futuro e si preoccupi della preservazione dell’intelligenza umana, che non distrugga tutte le potenzialità che ogni individuo nell’età di passaggio potrebbe ancora esprimere se stimolato e assistito da educatori che ne conoscano e rispettino le qualità, e che hanno la voglia di farlo nella convinzione che è loro dovere farlo e non importa se con o senza il marchio di una laurea che non garantisce nessuna preparazione, anzi spesso il contrario.
Goffredo Fofi
2 maggio 2013