Naufragio di immigrati a Lampedusa: non fingere di non vedere
Tornano i naufragi in mare degli immigrati; sembrava smorzata l’ondata incessante delle morti in mare fino a qualche giorno fa quando, alle 18 del 6 settembre, arriva la richiesta di soccorso di un barcone che trasporta oltre centotrenta disperati provenienti dalla costa tunisina; cinquantasei salvati e settantanove inghiottiti dal mare, alcuni buttati in acqua dagli scafisti, nel tentativo di alleggerire il barcone che non regge quel doloroso carico umano. “Non far finta di non vedere”, ha detto il presidente del consiglio Monti, intravedendo il pericolo - che è reale - di una distrazione collettiva di fronte all’orrore dei naufragi e delle morti in mare, nelle traversate della speranza di centinaia di immigrati e fuggitivi.
La tentazione, infatti, è di distogliere lo sguardo dalla visione di esseri umani che soccombono nella tragedia senza fine dell’immigrazione per mare; all’indifferenza, e persino al cinismo, sembrano autorizzarci i problemi che abbiamo in casa nostra, del lavoro, del non lavoro e della recessione, tanto acuti da spingerci a giustificare l’alzata di spalle con cui distogliamo gli occhi da quelle immagini tremende, e che restano tali. Cadaveri trasportati dalle onde, volti sconquassati dalla fatica di resistere alla paura di una navigazione allucinante per notti e giorni, anche bambini e donne, incinte, come la venticinquenne tunisina che in quel barcone tentava, per la seconda volta, il viaggio verso un lido ospitale, dove aspettare un figlio e un futuro. E’ finito su un isolotto vicino a Lampedusa quel mucchio di esseri umani, aggrappati a uno scoglio, sfuggiti al mare.
Per noi il rischio dell’assuefazione all’orrore è reale; come narcotizzati, ci siamo abituati e arresi all’evidenza, che sembra inevitabile, di questa tragedia del mare, che nel suo reiterarsi ha provocato una sorta di immunizzazione: la familiarità delle immagini di questa disperazione è diventata un film già visto, incapace di scuoterci e di muoverci a vera compassione. Succede così per la realtà anche orrida che, divenuta rappresentazione e reiterata, ci trasforma in spettatori stanchi e assuefatti, che hanno poi bisogno di shock sempre più forti. La soglia della nostra attenzione e della pietà verso questa autentica strage sembra superata, lasciandoci inerti e imperturbabili.
Eppure siamo ancora quelli che inorridiscono alle immagini di ogni sterminio, che sono pronti a esecrare gli abomini della storia, che hanno pianto per Auschwitz e per tutti i lager del mondo. Ma forse è più facile la condanna delle tragedie di cui l’umanità si è macchiata nei tornanti della storia, per noi, che le vediamo purificate dal tempo e passate attraverso il lavacro della memoria. Più difficile è riconoscere i tratti della disumanità di cui è capace la contemporaneità che siamo, avere gli occhi per vedere l’ingiustizia e il dolore. Qui e ora, è necessario resistere al sonno delle coscienze,di fronte alla consuetudine del male e alla sua pervasiva banalità.
10 settembre 2012
Leonarda Tola