La chiarezza del latino
Il testo dell’atto di rinuncia di Benedetto XVI è una pagina esemplare per la semplicità della forma e la chiarezza limpida del significato, qualità intrinseche della lingua latina in cui è stato scritto e che tutte le traduzioni devono rispettare, attingendo direttamente all’originale, senza tradimenti.
Il latino, sempre adottato negli atti ufficiali e predominante nella tradizione liturgica della Chiesa Cattolica fino alla riforma conciliare, dà alle parole di Benedetto XVI la solennità e l’austerità dei pronunciamenti magisteriali trasferite, per la prima volta in bocca a un Papa che parla al mondo, a significare la novità e modernità di una rivelazione di personali e intimi sentimenti e convincimenti: gli anni che avanzano e diventano peso (ingravescente aetate) da portare con forze ormai non più adeguate (vires meas…non iam aptas) ad amministrare il suo ministero, in un tempo come il nostro (in mundo nostri temporis) scosso da questioni di grande “peso” (magni ponderis) per la vita della fede.
Parole di autenticità e verità su se stesso pronunciate a sigillare un atto di rinuncia al pontificato mai udito prima. Un’umile, sincera attestazione di incapacità (incapacitas), perdita di quella capacità, che è ampiezza e dilatazione, dell’animo e del corpo in vigore (vigor corporis et animae) per poter contenere, anfora capiente e solida, il vino e l’olio in quantità e qualità. Vigore fisico e spirituale di cui il Papa avverte la diminuzione (minuitur), dentro precisi termini temporali: negli ultimi mesi (ultimis mensibus). Ora.
All’atto di rinuncia Benedetto arriva dopo uno scavo nelle profondità della coscienza (explorata conscientia) davanti a Dio (coram Deo) non una, ma più volte reiterato (iterum atque iterum). Fino alla richiesta di perdono (veniam peto) per tutti i suoi difetti (omnibus defectis meis).
Tutto detto in prima persona, io, me, abbandonata la maestà del noi. Umiltà della grammatica e del gesto, incise per sempre nella lingua di Roma eterna.
Leonarda Tola