70° della Liberazione, il discorso del Presidente Mattarella a Milano
"Dovete coltivare la pianta della democrazia, e noi dobbiamo coltivarla con voi. La democrazia è partecipazione, è fiducia nelle formazioni sociali. Democrazia è anche efficacia delle decisioni, è cooperazione per il bene comune".
Rivolgo un saluto a tutti i presenti, alle Autorità che rappresentano le Istituzioni, ringrazio il Sindaco Pisapia, il Professor Villari, il Presidente Smuraglia per le considerazioni che hanno svolto.
Un saluto particolare ai ragazzi e ai bambini presenti. È per loro questa festa. È una festa che rende Milano ancora più bella, Milano che si unisce di nuovo per i settant'anni della Liberazione!
Saluto i cittadini che, a migliaia, sfileranno per le sue strade, oggi pomeriggio, per convergere in Piazza Duomo. Milano, città guida della Resistenza, il cui ritorno alla libertà civile segnò - con l'insurrezione del 25 aprile 1945, annunciata da Sandro Pertini da Radio Milano Libera, a Morivione - la fine della guerra, il recupero dell'unità nazionale e l'avvio di un nuovo percorso democratico per il nostro popolo.
Milano, città dei sindaci Antonio Greppi ed Aldo Aniasi, entrambi comandanti partigiani.
Oggi la nostra Repubblica celebra un sentimento di libertà che è diventato pietra angolare della nostra storia e della nostra identità. Dopo gli anni della dittatura l'Italia è riuscita a riscattarsi, unendosi alle forze che in Europa si sono battute contro il nazifascismo, anticipazione del percorso che avrebbe portato poi all'avvio del progetto europeo e che noi siamo chiamati ancora a sviluppare.
Perché la democrazia, al pari della libertà, non è mai conquistata una volta per tutte. E' un patrimonio che ci è stato consegnato e che, nel volgere di mutamenti epocali, dobbiamo essere capaci di trasmettere alla generazioni future.
E' un'emozione parlare a voi nel Piccolo Teatro Grassi, carico dei simboli che il Sindaco ha ricordato e luogo prestigioso della cultura italiana e delle sue capacità innovative.
La cultura, l'intelligenza, la coscienza civile sono parti essenziali di una società viva, proprio perché sostengono quello spirito critico che è condizione dello sviluppo, della tolleranza, e dunque della tenuta dello stesso ordinamento democratico.
Tante cose sono cambiate da quegli anni. Eppure misurarsi con i valori di libertà, di pace, di solidarietà, di giustizia, che animarono la rivolta morale del nostro popolo contro gli orrori della guerra, contro le violenze disumane del nazifascismo, contro l'oppressione di un sistema autoritario, non è esercizio da affidare saltuariamente alla memoria. Stiamo parlando del fondamento etico della nostra nazione, che deve restare un riferimento costante sia dell'azione dei pubblici poteri sia del necessario confronto nella società per affrontare al meglio le novità che la storia ci pone davanti.
Oggi viviamo una festa, soprattutto per i ragazzi e i bambini. Non c'è nulla di retorico nel cercare una sintonia con la felicità e i sentimenti dei nostri padri, o dei nostri nonni, nei giorni in cui conquistavano una libertà costata sangue, sacrifici, paure, eroismi, lutti, laceranti conflitti personali. E' la festa della libertà di tutti. Una festa di speranza ancor più per i giovani: battersi per un mondo migliore è possibile e giusto, non è vero che siamo imprigionati in un presente irriformabile.
La democrazia è proprio questo: l'opportunità di essere protagonisti, insieme agli altri, del nostro domani. Per costruire solidamente, le radici devono essere ben piantate in quei principi di rispetto verso le libertà altrui, di rifiuto della sopraffazione e della violenza, di uguaglianza tra le persone, che proprio le donne e gli uomini della Resistenza e della Liberazione indussero a iscrivere nella Costituzione repubblicana.
Molto si è discusso negli scorsi decenni sull'eredità politica della Resistenza, sulle violenze degli anni della guerra e di quelli immediatamente successivi, sui caratteri della nostra identità nazionale. E' bene che la ricerca storica continui, che mostri verità trascurate, eventualmente, che offra interpretazioni sempre più ricche e sfidanti. Guai a porre vincoli, anche solo di opportunità, alla libertà di ricerca.
Sono, tuttavia, convinto che, dopo tanto tempo, si sia formata nel Paese una memoria condivisa sulle origini e le fondamenta della Repubblica, che, se non basta a sanare le contraddizioni della nostra travagliata storia unitaria, costituisce un preziosissimo bene comune, il cui patrimonio è ora nelle nostre mani.
La Resistenza in armi e la lotta partigiana - emblema della riscossa nazionale contro gli oppressori - non furono espressioni di avanguardie separate. I legami di solidarietà con le famiglie che pagavano il prezzo della guerra e del disfacimento dello Stato, che nascondevano il militare alleato o il giovane renitente alla leva di Salò, si sono fatti tra il '43 e il '45 via via più intensi, tessendo una trama di umanità che ha composto l'humus della ribellione morale.
Tanti eroi hanno donato la vita per la nostra libertà, dai "piccoli maestri" che hanno lasciato gli studi per salire in montagna, alle donne che hanno affrontato a testa alta il rischio più alto e la prigionia. A questi dobbiamo affiancare gli eroi quotidiani che salvarono vite, che diedero rifugio ad ebrei, che si prestarono a compiti di cura o di supporto.
Come le sorelle Lidia, Liliana e Teresa Martini, padovane, che guidarono la fuga dai campi di concentramento di decine e decine di prigionieri alleati, prima dando loro il pane e un nascondiglio, poi instradandoli nottetempo verso la Svizzera, attraverso la rete costruita da padre Placido Cortese e da due latinisti di grande fama, Ezio Franceschini, dell'Università Cattolica, e Concetto Marchesi, in seguito rettore dell'Ateneo di Padova e deputato comunista. Senza questa dimensione popolare, senza questa fraterna collaborazione tra persone di idee politiche diverse, l'Italia avrebbe fatto molta più fatica a recuperare la dignità smarrita.
E pienamente dentro la dimensione popolare, dentro il moto della Resistenza, sono iscritti i militari che dopo l'8 settembre rifiutarono di combattere o di lavorare per l'esercito tedesco, le centinaia di migliaia di soldati, seicento mila, che vennero rinchiusi nei campi di concentramento, gli ufficiali che affrontarono la morte nelle isole greche o nei Balcani per restare fedeli alla Patria, le nuove Forze armate, che si raccolsero nel Corpo italiano di liberazione ed ebbero a Mignano Montelungo il loro battesimo di sangue. Al fiume della Liberazione nazionale, insomma, portarono acqua molti affluenti. Al Sud come al Nord. Tra i militari oltre che tra i civili. Nei paesi, nelle città, nelle famiglie, oltre che nei gruppi organizzati in montagna. Ricordo, tra i tanti, Enzo Sereni, della Brigata Ebraica che paracadutatosi in Toscana, fu catturato dai nazisti e ucciso a Dachau.
Questa ricognizione ampia delle forze e delle ragioni che consentirono il riscatto nazionale è stata sostenuta, con impegno e determinazione, dai Presidenti Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Il loro contributo alla memoria condivisa, e dunque al rafforzamento dell'identità nazionale, è stato importante e, anche per questo, intendo esprimere loro, in questa giornata solenne, la sincera riconoscenza di tutti noi.
Un pensiero di gratitudine e di riconoscenza profonda a tutti coloro che, in tanti, hanno sacrificato la propria vita per la Liberazione e questo pensiero va esteso a quei giovani soldati, provenienti da diversi Paesi, che sono morti in terra italiana per liberarci dalla barbarie.
La Liberazione è un punto di connessione della storia del nostro popolo. Non basta una cronologia per descrivere le radici di un Paese.
C'è, in realtà, una nervatura di valori e di significati che compone la sua struttura vivente. La stessa rilettura dei centocinquant' anni dell'Unità d'Italia sarebbe stata diversa senza la vittoria del '45 sul nazismo, e senza la storia repubblicana che ha preso vita dal referendum e dall'Assemblea costituente. Guarderemmo con occhio diverso anche i valori patriottici del Risorgimento senza quel secondo Risorgimento, che è costituito dalla Resistenza e dalla Liberazione. Ma è proprio questa interrelazione, tra valori fondanti e memoria condivisa, a farmi dire oggi che non c'è equivalenza possibile tra la parte che allora sosteneva gli occupanti nazisti e la parte invece che ha lottato per la pace, l'indipendenza e la libertà.
Pietà per i morti, rispetto dovuto a quanti hanno combattuto in coerenza con i propri convincimenti: sono sentimenti che, proprio perché nobili, non devono portare a confondere le cause, né a cristallizzare le divisioni di allora tra gli italiani.
Fare memoria in un popolo vuol dire anche crescere insieme. E la nostra storia democratica ci ha aiutato a crescere. Oggi possiamo riconoscere che nella lotta partigiana vi furono, accanto ai tanti eroismi personali e ai tanti straordinari atti di generosità, anche alcuni gravi episodi di violenza e colpevoli reticenze. Questo non muta affatto il giudizio storico sulle forze che consentirono al Paese di riconquistare la sua indipendenza e la sua dignità.
L'antifascismo fu e resta elemento costituivo dell'alleanza popolare per la libertà e quindi dell'Italia repubblicana. L'antifascismo non è stato solo l'esito politico di un conflitto interno, quanto la chiave di apertura della nuova Italia, uscita dalla guerra e dalla dittatura, alla dimensione europea e mondiale.
Grazie all'unità antifascista, sia nel Comitato di liberazione nazionale che nei governi di Roma, il nostro è un Paese che ha mostrato la forza di ribellarsi, che ha stipulato un patto di co-belligeranza con gli Alleati e si è presentato al mondo con una dignità che ha avuto il suo valore nei successivi negoziati di pace.
La grande alleanza mondiale contro il nazifascismo si incrinò ben presto, dopo la guerra, ed ebbe i suoi effetti in Italia. Ma grande impresa dei partiti nati dalla Liberazione fu quella di preservare lo spirito dell'Assemblea costituente e di approvare la Costituzione democratica, nonostante la rottura politica avvenuta in sede di governo.
E' la Costituzione il frutto principale del 25 aprile. E' la pietra angolare su cui poggia la civiltà e il modello sociale che i nostri padri ci hanno lasciato. Ed è anche la strada maestra sulla quale camminare ancora. La Costituzione ha interpretato e inverato la rivolta morale e la ribellione popolare che sfociarono nella Liberazione. Per questo nella nervatura del Paese, e nella ricostruzione di un'identità nazionale condivisa, la Costituzione resta il cuore e, insieme, per meglio stare nella metafora, il cervello che guida. Il patriottismo della Costituzione è il capo dal quale può dipartire una consapevolezza moderna dell'essere italiani in un'Europa che deve ritrovare appieno se stessa e la propria missione.
Desidero dirlo in questi giorni drammatici, in cui il Mediterraneo rischia di diventare il sacrario delle vite e delle speranze stroncate di centinaia di donne, uomini, bambini, in fuga dalla guerra, dalla persecuzione, dalla fame.
L'Europa si gioca la sua credibilità e il suo stesso futuro: senza la consapevolezza del proprio ruolo nel mondo e senza solidarietà non è Europa.
Il patriottismo della Costituzione è anche uno stimolo costante per superare i nostri limiti interni, gli errori, i ritardi che pesano sullo sviluppo e sull'equità del Paese. La Costituzione è una forza dinamica, che ci sospinge. Chi sfilò festoso a Milano in quel 25 aprile non sapeva ancora che il suo impegno, i suoi sacrifici avrebbero prodotto quel testo straordinario.
L'orgoglio della Resistenza e della Liberazione risiede anche nel frutto che ha generato. La nostra Costituzione, che non è soltanto un insieme di norme. La sua garanzia più forte per i cittadini - ho voluto dirlo nel giorno in cui è iniziato il mio mandato presidenziale - consiste nella sua applicazione. Nel viverla giorno dopo giorno.
Mi rivolgo ai giovani qui presenti, e, in particolare, a quelli che ci ascoltano. Il 25 aprile ricorda la libertà conquistata, ma anche la nostra responsabilità. La Liberazione ha consentito una nuova unità nazionale e una democrazia finalmente aperta, con fondamento popolare. Il voto alle donne a partire dal referendum istituzionale del '46 - dopo che le donne erano state "il tessuto sotterraneo della guerra partigiana", come scrisse Ada Gobetti - rappresenta, meglio di ogni altra cosa, il salto democratico compiuto dal nostro Paese.
Tuttavia l'unità nazionale, e la stessa democrazia, sono beni tanto preziosi quanto deperibili. L'unità del Paese esige che le fratture sociali provocate dalla crisi economica siano ricomposte, o quantomeno medicate, con azioni positive. Il diritto al lavoro è la priorità delle priorità se vogliamo rispettare l'impronta personalista della nostra Costituzione, e cioè il riconoscimento dei diritti della persona come valore che preesiste e sostiene l'ordinamento stesso.
Questo è un impegno che deve unire l'Italia, e mi auguro che, nella libertà del confronto politico, si possano trovare convergenze finalizzate al bene comune.
Del resto, tutti i temi della modernità portano sfide nuove e ci richiedono risposte coraggiose: dall'ambiente alla scuola, alle nuove conoscenze, fino al fenomeno epocale delle migrazioni. Per difendere i valori umani e sociali, che oggi celebriamo, non ci basteranno le categorie e gli strumenti del passato.
Sarebbe un errore contrapporre l'interesse nazionale al necessario rilancio del progetto comune europeo.
L'Unione Europea deve essere all'altezza del passaggio epocale che stiamo attraversando e sviluppare politiche capaci di ridurre gli squilibri interni e i troppi egoismi.
Il destino delle nostre democrazie è affidato a un Continente che non deve mai dimenticare i valori morali e sociali su cui poggia la propria civiltà. La stessa lotta al terrorismo e all'integralismo risulterà tanto più efficace quanto più le nostre istituzioni e le nostre società sapranno sviluppare i principi di autentica laicità, garantendo la libertà religiosa e la dimensione pubblica delle fedi, chiedendo, al contempo, alle diverse comunità di impegnarsi nel rispetto di valori universali condivisi.
Cari giovani, dovete coltivare la pianta della democrazia, e noi dobbiamo coltivarla con voi. La democrazia è partecipazione, è fiducia nelle formazioni sociali. Democrazia è anche efficacia delle decisioni, è cooperazione per il bene comune.
Da sole le istituzioni non esauriscono tutto il bisogno di democrazia; ancor più nella società globale in cui tutti gli spazi delle sovranità nazionali si riducono. Occorre aprire i canali per consentire l'impegno attivo, creativo dei cittadini.
Per noi democrazia oggi vuol dire anche battaglia per la legalità. Vuol dire lotta severa contro la corruzione. Vuol dire contrasto aperto contro le mafie e tutte le organizzazioni criminali. Sono una piaga aperta nel corpo del Paese. Le istituzioni devono tenere alta la guardia e chiamare a sostegno i tanti cittadini e le associazioni che costituiscono un antidoto di civismo e di solidarietà.
Abbiamo una strada non facile davanti a noi, una strada impegnativa ma esaltante. Penso ai prossimi mesi di EXPO qui a Milano che danno un indice di questo impegno verso il futuro. Ma le nostre radici hanno ancora molta linfa. I nostri padri ci hanno dato moltissimo e onorarli, per noi, comporta l'onere di compiere nuovi passi. La festa della Liberazione è un incitamento a tenere la schiena dritta, ad essere fedeli a noi stessi.
Viva il 25 aprile. Viva la Repubblica. Viva l'Italia
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