Carriere, non si può ragionarne "a costo zero". Ivana Barbacci su un articolo di Gian Antonio Stella
L’incipit è un po’ fuorviante, ma l’articolo di Gian Antonio Stella pubblicato oggi sul Corriere della Sera contiene spunti interessanti e può rappresentare un buon punto di partenza per una discussione sulle carriere fuor di polemica e costruttiva. Fuorviante è affermare l’esistenza di un insanabile conflitto tra merito e anzianità, con quest’ultima che addirittura stabilirebbe “chi debba far carriera prima”. In realtà, la progressione per anzianità (che peraltro non è un’esclusiva del personale scolastico italiano) rappresenta oggi l’unico concreto fattore di incremento per retribuzioni decisamente lontane da quanto sarebbe giusto riconoscere a una professione importante e impegnativa come quella del docente, ed è un bene che sia lo stesso Stella a ricordarcelo, citando dati ampiamente noti ma che non è mai male riproporre. Ne aggiungo uno: i tanto vituperati aumenti per anzianità sono meno vantaggiosi di quanto non avvenga in altri Paesi, dove gli stipendi a fine carriera sono ben più rivalutati rispetto ai livelli di ingresso, mentre il tempo necessario per ottenerli è molto più breve.
La ragione vera, che ha sempre bloccato sul nascere ogni ipotesi di riconoscimento del merito, è proprio una condizione retributiva insostenibile in termini generali, che non lascia spazio alcuno alla possibilità di essere ulteriormente sacrificata. E anche su questo ci pare che Stella in fondo convenga, quando richiama la necessità di sostenere nuovi percorsi di carriera con risorse aggiuntive, di cui non vi è alcuna traccia. Chiedere a una categoria sottopagata di autoridurre i propri trattamenti ordinari per retribuire quote più o meno estese di “meritevoli” significa sostanzialmente imboccare un vicolo cieco. Ed è comunque da dimostrare che la soluzione di una meritocrazia autofinanziata, anziché un sostanzioso e generale innalzamento del trattamento economico, possa rappresentare il percorso vincente per restituire alla professione di docente l’attrattività che dovrebbe avere e che tutti auspichiamo.
Sono d’accordo con Stella nel definire quella del decreto legge 36 un’occasione mancata. Credo che il fallimento in gran parte nasca, ancora una volta, da quella che potremmo definire, ricorrendo a un motto popolaresco, una pretesa di “fare le nozze con i fichi secchi”. Questa la causa, insieme alla convinzione - ma direi pregiudizio - che il confronto con le parti sociali rappresenti di per sé, su questi temi, un elemento di freno se non di impedimento. Una convinzione profondamente sbagliata, che mi sembra neanche Stella faccia del tutto propria, visto l’accenno al dossier di Tuttoscuola e all’esigenza in esso richiamata di un “coinvolgimento, per la parte di sua competenza, del sindacato”.
Tra le tante urgenze che abbiamo, c’è anche quella di uscire dal clima da rissa ideologica che troppe volte si respira nel dibattito sulla scuola, un clima che favorisce e genera arroccamenti di segno diverso, ma tutti ugualmente di ostacolo alla qualità e alla credibilità dei progetti, per i quali dovremmo invece tutti lavorare con spirito costruttivo.
Roma, 21 giugno 2022
Ivana Barbacci, segretaria generale CISL Scuola