Nascita e prospettive dei decreti delegati
Nel 2023 ricorrono tre anniversari che riguardano il mondo della scuola, apparentemente diversi e distanti, ma in realtà legati da un sottile e ricorrente filo, insito nelle complesse dinamiche del rapporto fra scuola e Società: il centenario dell’approvazione della riforma Gentile (numerosi Regi Decreti del 1923); quello della nascita di don Milani (maggio 1923); e infine il cinquantenario dell’approvazione della legge di delega (n. 477 del luglio 1973) da cui nasceranno, nel successivo anno 1974, quelli che da tutti sono conosciuti, per antonomasia, come i “Decreti Delegati della scuola”.
La riforma Gentile - costituita in realtà da una serie di provvedimenti più volte modificati nel tempo - concepisce l’organizzazione della scuola come un ordinamento gerarchico e centralistico, ispirato a una logica elitaria, che privilegia il ramo classico umanistico su quello tecnico professionale e fissa programmi di esame uniformi, rigidi, dettagliati e selettivi, valorizzando la trasmissione di saperi e di valori propri della classe dirigente, scoraggiando in tal modo la mobilità sociale - se non come “eccezione che conferma la regola”- e la valorizzazione di talenti diversi da quelli previsti dai contenuti degli obiettivi formativi, totalmente predeterminati a livello nazionale.
In questo quadro un ruolo fortemente gerarchico è attribuito ai presidi, posti a capo degli istituti con una nomina ministeriale proprio per garantire una forte omogeneità d’azione da parte delle scuole su tutto il territorio nazionale.
Questa impostazione fu appunto contestata dall’urticante “lettera alla professoressa” dei ragazzi di don Milani, in cui si denunciava il “tradimento” dei valori Costituzionali da parte di una scuola che “cura i sani e respinge i malati” e che fa “parti eguali tra diseguali”, senza valorizzare i talenti e le differenze dei percorsi formativi, non necessariamente riducibili ai valori umanistici della riforma Gentile, come dimostrato del resto dai ragazzi americani che nei garages scoprivano in quegli stessi anni il mondo delle nuove tecnologie, mentre i loro coetanei contestavano nei campus universitari la trasmissione di una cultura apparentemente asettica e impermeabile alle grandi questioni sociali.
Non vi è dubbio che gli articoli 33 e 34 della Costituzione, come riconosciuto di recente anche dal Ministro Valditara in un convegno della CISL Scuola (“Sul merito. Ragioni e valori a confronto”, 2 marzo 2023) hanno disegnato una funzione molto diversa per il ruolo della scuola rispetto alla Società: il suo compito non è di omologare e selezionare, ma piuttosto di riconoscere e valorizzare i talenti e le specificità attitudinali di tutti i ragazzi, da accompagnare, se possibile, fino “ai gradi più alti degli studi”.
Sono ben consapevole che si tratta di una lettura spesso contestata - da ultimo ricordo alcune delle posizioni emerse nel dibattito su “Merito”, come quelle espresse nel libro di recente pubblicazione, “Il danno scolastico”, da Paola Mastrocola e Luca Ricolfi - ma ritengo che il vero problema dell’efficacia dell’attuale sistema scolastico, che genera ancora legittime preoccupazioni e nostalgici rimpianti di precedenti modelli, consista piuttosto nell’insufficiente valorizzazione, a tutt’oggi, della funzione docente e nell’inadeguatezza delle modalità e dei mezzi con cui negli anni si è cercato di realizzare il nuovo modello scolastico, traducendo, ad esempio, l’esigenza di “personalizzare” gli interventi educativi per reinserire tempestivamente gli alunni con carenze nel percorso educativo dei compagni, in “progetti” a volte fini a se stessi e spesso neppure condivisi dagli altri docenti della classe. Resta il fatto, innegabile, di un disagio giovanile, che sfocia talvolta, come avvenuto di recente, in episodi di violenza e che alimenta una dispersione scolastica crescente, rendendo sempre più attuale l’esigenza di interventi educativi mirati.
Il modello di scuola voluto dalla Costituzione è quello che trova la sua realizzazione nella grande riforma della scuola media unica del 1962 (legge n 1859 del 31 dicembre), che allarga la platea dei ragazzi ammessi agli studi superiori, con indirizzi divenuti di pari dignità formativa, superando la preesistente e precoce selezione degli alunni, con quelli iscritti all’avviamento professionale e destinati a un precoce inserimento lavorativo e quelli mandati alla scuola media in vista di un percorso di studi liceali, come premessa alle più elevate qualificazioni proprie delle classi dirigenti.
Accanto a questi temi, più legati alla configurazione dei curricoli e alle modalità di valorizzazione degli alunni, dalla fine degli anni sessanta si affermò nella Società una diffusa domanda di democrazia e di partecipazione che coinvolse il mondo della scuola e il mondo del lavoro, con una pressante richiesta di maggiore giustizia sociale.
In questo quadro, sulla base anche qui delle indicazioni della Costituzione - in particolare l’art 46 - si manifestò sempre più l’esigenza di un maggiore coinvolgimento della società, attraverso le sue diverse forme organizzate, nelle decisioni e nella successiva realizzazione delle politiche del lavoro (Il 1970 è tra l’altro l’anno dello Statuto dei Lavoratori di Gino Giugni).
Nella scuola la domanda di curricoli più aderenti ai nuovi bisogni formativi e di una maggiore collaborazione non solo tra i docenti e tra docenti e Presidi, poi divenuti dirigenti scolastici, ma anche tra le componenti tecnico-professionali, le famiglie e gli alunni, nella consapevolezza dell’unità del processo educativo, seppur nella distinzione dei rispettivi ruoli, sfociò appunto nell’adozione dei “Decreti Delegati”, preceduti dalla legge delega n. 477 del 1973.
L’art. 1 del DPR 31 maggio 1974 n. 416 recita testualmente: “Al fine di realizzare, nel rispetto degli ordinamenti della scuola, dello Stato e delle competenze e delle responsabilità proprie del personale ispettivo, direttivo e docente, la partecipazione nella gestione della scuola, dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica, sono istituiti, a livello di circolo, di istituto e distrettuali, provinciale e nazionale, gli organi collegiali di cui agli articoli successivi” .
I decreti delegati, istituendo una scuola intesa come comunità educante - che valorizza la collegialità dell’azione orientata dalla condivisione di obiettivi comuni e presta attenzione al territorio e al mondo del lavoro, con un forte protagonismo di tutte le componenti del processo educativo, non solo professionali - segnarono una svolta netta e decisa rispetto al precedente sistema scolastico, aprendo, dopo la richiamata legge sulla scuola media unica, un ciclo di riforme volto a dare nuova e più piena attuazione ai principi Costituzionali, creando i presupposti per ulteriori interventi che determinassero il passaggio dalla “scuola dei programmi nazionali” a quella della “personalizzazione “ e della “flessibilità curricolare”, volta a valorizzare i talenti di ciascun alunno.
I decreti delegati - in particolare il 416 (organi collegiali) e il 419 (sperimentazione, ricerca, aggiornamento) - furono infatti il presupposto culturale e organizzativo per rendere possibile, successivamente, la realizzazione dell’autonomia scolastica, cioè l’attribuzione alle scuole di una nuova soggettività giuridica, tutelata a livello Costituzionale dal rinnovato titolo V, capace di interpretare, riconducendole a sintesi professionale nel curricolo di istituto, le diverse domande formative espresse dagli Obiettivi di apprendimento e dalle Indicazioni nazionali per il curricolo, coniugate alle esigenze di flessibilità territoriale, anche rispetto ai contesti lavorativi, e tenendo conto delle stesse sensibilità culturali delle famiglie e degli alunni.
In tal senso i Decreti Delegati anticipano, per quando riguarda la scuola, quelle richieste di flessibilità alle quali vorrebbe dare risposta l’attuale proposta di legge sull’autonomia regionale differenziata, con il vantaggio di mantenerne la realizzazione in capo agli organi tecnici delle scuole-comunità e non degli apparati burocratici amministrativi regionali.
In effetti la piena realizzazione dell’autonomia delle scuole e della flessibilità curricolare potrebbe consentire, in un quadro di più ampio consenso, di soddisfare le stesse esigenze sottese al disegno di legge Calderoli, evitando quelle contrapposizioni che, come già avvenuto con la tentata riforma Costituzionale della “devolution” (legge approvata nel novembre 2005 e non confermata dal referendum nazionale del giugno 2006), finiscono solo per spaccare il Paese senza approdare a nulla.
Vorrei spendere infine qualche parola in particolare su uno dei meno noti dei decreti delegati, il DPR n 419 del 1974, con il quale venne prevista la possibilità di avviare “sperimentazioni” metodologico-didattiche (art. 2) e di ordinamenti e strutture (art 3), attribuendo in tal modo alle scuole un ruolo da protagonista nel definire gli indirizzi dell’offerta formativa: agli istituti era data anche la possibilità di modificare, previo parere favorevole del C.N.P.I. (oggi C.S.P.I.), i vigenti piani di studio, fino ad allora uniformi.
Si possono considerare frutto del DPR 419 il liceo linguistico, quello pedagogico, lo scientifico tecnologico, il liceo delle Scienze umane - fino ad allora solo privati - il Piano nazionale dell’informatica, le sperimentazioni coordinate degli istituti tecnici e professionali, la sperimentazione Brocca nei licei e tante altre esperienze innovative che hanno coinvolto migliaia di docenti e che sono poi confluite, soprattutto nelle scuole superiori, in quell’articolazione dell’offerta formativa, coerente con i principi della Costituzione e della precedente riforma della scuola media unica, che costituisce oggi il Sistema vigente dell’ordinamento degli studi.
Si tratta di un processo complesso, non ancora del tutto compiuto e non privo ancor oggi di criticità, che proprio per questo meriterebbe di essere oggetto di una riflessione ampia e costruttiva proprio in occasione dei tre anniversari sopra ricordati.
Per concludere, un’ultima curiosità sul passaggio a ordinamento delle sperimentazioni nelle scuole superiori. In tal senso disponeva la legge n. 30 del 10 febbraio 2000 (ministro allora Luigi Berlinguer) sul riordino dei cicli di istruzione, che prevedeva, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, un programma per l’implementazione di tutti gli aspetti della riforma, a partire ovviamente dalla definizione degli indirizzi di studio e dalla riorganizzazione dei relativi curricoli.
Senonché, l’imprevista fibrillazione conseguente al passaggio dal Governo D’Alema I al D’Alema II (con avvicendamento tra Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro al ministero di viale Trastevere) fece sì che, trascorsi senza esito i sei mesi dal varo della riforma si dovesse provvedere, al fine di legittimare la costituzione degli organici per l’a.s. 2000/2001, a una disposizione di “emergenza”, il D.M 26 giugno 2000 n 234, che all’art. 1 stabilì testualmente, in maniera degna di monsieur de La Palisse, che: “A decorrere dal 1 settembre 2000, e sino a quando non sarà data concreta attuazione alla legge 10 febbraio 2000 n. 30 , gli ordinamenti e le relative sperimentazioni funzionanti nell’anno scolastico 1999/2000, sia per quanto riguarda i programmi di insegnamento che l’orario di funzionamento delle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresa la scuola materna, costituiscono, in prima applicazione dell’art. 8 del DPR 8 marzo 1999 n 275, i curricoli delle istituzioni scolastiche alle quali è stata data autonomia a norma dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997 n. 59”.
In sostanza, l’unica novità fu l’aggiornamento della fonte normativa dell’ordinamento scolastico previgente, che rimase, per tutto il resto, immutato. Ma in tal modo si “stabilizzarono” anche gli indirizzi sperimentali.