Condividere, non solo partecipare. Intervista a Valentina Aprea
Valentina Aprea, già insegnante e dirigente scolastica, è attiva in politica da almeno 30 anni. Nel primo decennio del secolo ha rivestito anche il ruolo di sottosegretario all’Istruzione con il Governo Berlusconi. Il suo nome è legato anche a un disegno di legge finalizzato a riscrivere le regole del funzionamento degli organi collegiali della scuola e dello stato giuridico del personale. Successivamente è stata anche assessore all’Istruzione della Regione Lombardia.
Nel 2024 ricorrono 50 anni dai cosiddetti “decreti delegati” e in particolare dal decreto sugli organi collegiali. Non sarebbe ora di mettere mano a una modifica delle norme che regolano questo “pezzo” importante del sistema scolastico?
Certamente sì! Non potrei pensarla diversamente visto che ho, nella mia lunga attività parlamentare, presentato al Parlamento più Proposte di Legge per modificare la governance delle Istituzioni scolastiche. L’ultimo, importante tentativo fu da me portato avanti con la PDL n. 953 presentata alla Camera il 12 maggio 2008.
A un certo punto sembrava che il suo ddl potesse davvero andare a buon fine. Caso più unico che raro sulla sua proposta si formò persino un accordo trasversale fra le diverse forze politiche. Poi tutto si fermò. Cosa accadde?
In quegli anni, da Presidente della Commissione Cultura della Camera, avviai un confronto leale e innovativo con tutte le forze parlamentari della Commissione sulla PDL 953. Il Comitato ristretto lavorò per molto tempo sui diversi principi che la Proposta di Legge introduceva e nel 2011 trovammo un punto di equilibrio per modificare gli organi collegiali e giungere ad una vera e propria governance di Istituto nel rispetto della mutata cornice istituzionale, a partire dall’autonomia scolastica.
Il Testo modificato giunse all’approvazione della Commissione e dell’Aula di Montecitorio, ma si fermò successivamente al Senato dove la proposta non riuscì ad essere esaminata prima del termine della Legislatura, che avvenne nel 2013. Quell’occasione perduta ha dimostrato, ancora una volta, quanto la scuola faccia fatica a rinunciare alla propria autoreferenzialità e ad accettare l’apertura a condivisioni orizzontali e verticali per una governance di tipo territoriale.
Alla fine degli anni ’90 quando entrarono in vigore le norme sulla autonomia scolastica, si parlava di una riforma complessiva degli stessi organi territoriali: sparirono i consigli di distretto e quelli provinciali che però non furono sostituiti da nulla. Ci sarebbe bisogno oggi di organi territoriali che garantiscano un rapporto più stretto fra le diverse autonomie (scuole, enti locali e così via)?
La riforma degli organi di governo delle istituzioni scolastiche, contenuta della PDL 953 a mia firma, teneva conto della riforma della pubblica amministrazione e dell'autonomia, richiamata nel testo della parte seconda, titolo V, e, in particolare, dell'articolo 117 della Costituzione, come modificato dalla legge n. 3 del 2001.
Si intendeva, appunto, proporre un modello che puntasse a trasformare radicalmente il governo delle istituzioni scolastiche, caratterizzato, ancora oggi, da elementi che non colgono i cambiamenti costituzionali e le innovazioni sulle norme di governo delle istituzioni scolastiche sia amministrative che didattiche. Elementi che si fondano sulla iper-regolazione dello Stato, sul formalismo e sul controllo delle procedure piuttosto che dei risultati, su un'anacronistica concezione autarchica dell'organizzazione, su una concezione burocratica del ruolo dei docenti che non ne valorizza pienamente l'autonomia e la responsabilità professionali. Ma soprattutto con l’abolizione dei Consigli di distretto e quelli provinciali è venuto meno il raccordo istituzionale territoriale anche se nel tempo le Regioni e le scuole più avanzate hanno saputo costruire validi rapporti, costruendo reti orizzontali e verticali aperte a soggetti pubblici e privati che collaborano con le scuole. Ora la nuova sfida sarà la realizzazione di veri e propri Campus per la crescita e lo sviluppo dei territori attraverso le reti formative dei giovani.
Quando nacquero, gli organi collegiali furono anche una risposta alla richiesta di partecipazione alla vita della comunità scolastica da parte dei diversi soggetti. In 50 anni, però, quegli stessi soggetti hanno perso sempre più interesse a partecipare. Perché secondo lei?
La riforma degli organi collegiali della scuola degli anni settanta ha cercato di superare il centralismo dello Stato, ma ha mostrato, quasi subito, tutti i suoi limiti. I poteri riconosciuti agli organi collegiali sono stati di fatto esautorati dall'eccessivo formalismo centralistico e dalla limitatezza delle risorse, e ciò ha determinato una continua deresponsabilizzazione della componente dei genitori e l'affievolirsi della loro partecipazione.
E quindi cosa bisognerebbe fare?
Queste considerazioni richiedono una consistente e radicale modifica del modello di gestione delle istituzioni scolastiche, nella direzione di un rafforzamento degli organi di governo interni alle stesse istituzioni e della distinzione, in ordine alle competenze e alle prerogative definite dalla riforma costituzionale, dagli organi di livello politico e amministrativo dell'intero sistema. Ciò anche al fine di coniugare l'esigenza della piena valorizzazione dell'autonomia professionale dei docenti e dei dirigenti con quella della partecipazione degli utenti. La responsabilizzazione professionale dei dirigenti e dei docenti e la distinzione degli ambiti di intervento sono i cardini su cui poggiare un sistema decentrato imperniato sull'autonomia. In 50 anni, insomma, la semplice partecipazione agli organi collegiali, intesa come diritto di tribuna, ha allontanato anziché avvicinare le famiglie alla gestione scolastica e lo stesso collegio dei docenti, privo di poteri di autoregolazione interna di tipo professionale delle competenze e di articolazione del lavoro, è divenuto un organismo dove più spesso le scelte vengono imposte da maggioranze autoreferenziali piuttosto che da gruppi di docenti che accettano il cambiamento e le nuove sfide sul piano organizzativo e didattico.
C’è chi dice che oggi i genitori “partecipano” anche troppo alla vita della scuola, interferendo oltre misura sul lavoro dei docenti. È davvero così?
Ai genitori deve essere chiesto non solo di partecipare, ma di condividere la responsabilità educativa dei percorsi scelti dai propri figli. In questo senso, le figure recentemente introdotte dei docenti tutor, coach e orientatori, possono rappresentare una svolta nel rapporto tra famiglia e scuola e studente e docente, proprio perché si lavora sulla personalizzazione dei percorsi e sulla valorizzazione dei talenti e la compensazione delle difficoltà che gli studenti possono eventualmente manifestare durante il percorso di studio.