Tecnologia vs cooperazione? Ne parliamo con Daniele Barca
La “scuola digitale” è ormai una realtà anche se non sempre ci sono chiari limiti e potenzialità delle più recenti tecnologie. Per comprenderle meglio bisogna studiarle e sperimentarle, cercando di metterle al servizio di una scuola inclusiva e collaborativa. Ne parliamo con Daniele Barca, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo 3 di Modena. Umanista prestato alle tecnologie per la didattica, segue dal 1995 progetti ed iniziative in questo ambito. Ha collaborato con Indire e altre agenzie formative e universitarie sull’introduzione dell’ICT nella didattica, ha collaborato alla stesura del ‘Piano Nazionale Scuola Digitale’. La sua scuola aderisce alla rete nazionale DADA (www.scuoledada.it), che ha introdotto il tema delle metodologie didattiche legate agli ambienti di apprendimento, per superare la lezione frontale verso stili di insegnamento improntati al coinvolgimento attivo degli studenti e alla personalizzazione degli apprendimenti.
Le tecnologie digitali sono sempre più pervasive e vengono spesso “incolpate” di favorire troppo una fruizione individualistica e poco cooperativa. Ma è davvero così?
Un tempo tecnologie digitali voleva dire alcune applicazioni soltanto. Oggi il panorama è ben più ampio. Cosa intendiamo? Un testo, internet, i social, un foglio di calcolo, applicazioni varie, il coding, la robotica, la multimedialità, le nuove applicazioni di intelligenza artificiale? In realtà, come tutte le dimensioni dell’essere umano, il fattore tecnologico è individuale ma anche sociale. Tutto sta a come si usa. L’esempio più chiaro lo ha svelato il lockdown. Si usava l’e-learning (dimensione nata per l’apprendimento individuale o di piccolo gruppo) in un contesto sociale (quello della classe come scuola quotidiana). Ed è stato un fallimento.
Perché parla di fallimento?
Perché, invece che seguire la dimensione tipica dell’e-learning (studio individuale asincrono, lezioni e gruppi di lavoro sincroni), si è riprodotta la lezione d’aula e le verifiche orali o scritte a distanza, snaturando lo strumento. Tanto che non si è dato valore a quel che accadeva a distanza e, soprattutto nella secondaria, appena si è rientrati in presenza si è tornati spesso a martellare gli studenti con la peggior scuola tradizionale: verifiche su verifiche, soprattutto scritte perché non c’era tempo.
È di questi giorni la notizia degli esami in Svezia beffati dall’intelligenza artificiale. È colpa dell’intelligenza artificiale? No, lei fa il suo lavoro, costruire contenuti sulla base di connessioni di rete, contenuti e algoritmi di relazione.
Ecco, a proposito di esami, forse dovremmo dire due parole anche sul rapporto fra tecnologie e valutazione…
Sì, forse c’è anche un abuso di verifiche cosiddette oggettive, di test e prove Invalsi, perfetti da dare in pasto ad una macchina. Al contrario, prove complesse, dialoghi e ragionamenti in presenza segnerebbero un potenziamento della relazione ed aiuterebbero a conoscere il ragazzo e cosa davvero sa. Ed ecco il paradosso: se facciamo fare alle macchine il loro mestiere (rapidamente unire dati e relazioni), noi gente di scuola dobbiamo tornare a fare quel che sappiamo fare meglio, quello che Damiano Previtali in un suo pamphlet chiama “La scuola mediterranea”: saggiare le competenze tramite la parola, la socializzazione, il rapporto. Del resto non sono io ad affermare che anche nella teoria degli studi (John Hattie) l’apprendimento più efficace passa dal “maestro” e dalla sua capacità di entrare in relazione con il ragazzo. Vogliamo dare colpa alle tecnologie se, forse, non tutti da questa parte della cattedra hanno più questo “mestiere”? Tanto più che la scuola italiana, tranne poche esperienze che non sono la massa, non è tecnologica nel vero senso della parola. Anzi.
La scuola può favorire un uso cooperativo delle tecnologie? Può farci qualche esempio concreto desunto anche dalle esperienze della sua scuola o di scuole che lei conosce?
C’è una premessa da fare: il tappeto digitale. Le scuole dove si realizzano le esperienze comunitarie (più che cooperative, che è cosa in singole esperienze piuttosto diffusa) sono quelle in cui ogni ambiente della scuola è connesso in sicurezza, ci sono applicativi in cloud che permettono la condivisione e lo scambio, conseguentemente ogni studente ha uno strumento o la scuola è dotata di carrelli con pc per integrare gli apprendimenti realtà/digitale ovunque, permettendo anche un prosieguo, un’espansione fuori (cortili, piazze, gita, musei) o a casa.
Ecco, questa è oggi la condizione necessaria per fare didattica attiva (il pc con tutti i dispositivi fisici che da esso dipendono siano essi robot, stampanti, elettronica, sensori è vocato a questo). Io credo che la dimensione cooperativa, come si legge da instagram, facebook o anche la rassegna Didacta appena conclusasi, in singole classi sia molto diffusa oggi. Quel che manca è la dimensione comunitaria e di sistema, cioè scuole (non dico tutte le 8mila sul territorio nazionale) che, dotate di tappeto digitale, fanno sparire la tecnologia usandola quando serve, integrandola con il cartaceo, con gli oggetti, con gli ambienti. Quello che predicava il documento sul PNRR 4.0.
C’è però sempre il problema delle dotazioni: con i soldi che sono arrivati alle scuole, si stanno facendo dei bei passi in avanti, ma la qualità della formazione non sempre migliora…
Non è un problema di dotazioni, come quando nel 1995 con il PSTD abbiamo iniziato, quanto di testa, mentalità, cultura. Il paradosso è che la diffusione delle tecnologie si potenzia non quando sono presenti le tecnologie, ma quando spariscono, cioè quando da evidenti (laboratorio, ecc.) diventano trasparenti ma abilitanti (sono dappertutto e si usano quando servono) e non per pochi ma per tutti. In questo senso la tecnologia è veicolare come le lingue e, quindi, è un tema di curricolo. Uscire dalle “canne d’organo” (le singole discipline separate) per accogliere nel curricolo l’estuario a delta del multidisciplinare in cui tutto converge grazie alle tecnologie. Le separiamo sempre dai saperi perché le riteniamo un altro sapere, ed invece, come ci ha insegnato “Il verde e il blu” di Luciano Floridi, oggi tutto ciò che riguarda la natura (ed i suoi prodotti culturali) è in qualche modo inscindibile dalla tecnologia, come lo era ai tempi degli Hittiti, per i quali la scrittura cuneiforme era dettata anche dallo stilo che si usava, o ai tempi della nascita della radio, per la quale ancora oggi la tecnologia (la voce) determina il suo impatto con la trasmissione.
Nella vostra scuola come vi siete regolati?
Io dirigo il Comprensivo 3 Mattarella di Modena. In questi 9 anni alcune scelte hanno caratterizzato in maniera forte l’offerta formativa della scuola secondaria di primo grado. In primo luogo l’eliminazione dei libri delle educazioni a favore di una didattica attiva. Con il risparmio, le famiglie adottano un chromebook, un pc senza sistema operativo ma che può andare nel cloud di Google. Chi non può o ha una certificazione viene dotato del dispositivo dalla scuola in comodato d’uso gratuito.
Tutto questo in nome della didattica attiva, cioè di un apprendimento dove lo studente viene ingaggiato con tutto se stesso, non solo nella memorizzazione di pagine o righe. L’anno dopo abbiamo iniziato con i due pomeriggi laboratoriali: ore curricolari in cui i ragazzi imparano non solo secondo le singole discipline separate, ma anche tramite le multidiscipline. Nel mondo circostante, nella vita di tutti i giorni, nel loro futuro li aspetterà sempre più un mondo dove i saperi saranno multidisciplinari, dove la natura andrà (va) a braccetto con la tecnologia.
Così abbiamo creato le Steam’s sisters, le sorelle dello STEAM (acronimo per le competenze di scienze, tecnologie, ingegneria, arte, matematica), al femminile per sviluppare tali competenze con le ragazze ma insieme ai ragazzi, quindi per tutti, che è un po' lo spirito della scuola: pubblica e statale vuol dire che tutti fanno tutto e dobbiamo riparare le difficoltà, come dice la Costituzione all’articolo 3, non inseguire la performance. Sono Lucy (competenze di intelligenza artificiale), Mary (competenze sociali e relazionali), Maia (competenze della sostenibilità), Frida (competenze espressive), Marghe (competenze della comunicazione).
Molte scuole fanno attività analoghe, ma nell’extracurricolare, dopo le ore di lezione. Nella nostra scuola tutto si svolge nel curricolare. L’ultima nata, Marghe, ha anche consolidato il canale Spotify della Matt@radio (https://sites.google.com/view/rdio-mtta/club-in?authuser=0) e il canale Youtube della Marghetv https://www.youtube.com/@marghetv-ic3modena.
Ormai si parla molto anche di “intelligenza artificiale”, ma ci sembra che da parte dei docenti ci sia molto scetticismo se non addirittura diffidenza. O la situazione sta evolvendo?
“Per quanto riguarda l'intelligenza artificiale, è comprensibile che ci sia scetticismo e diffidenza da parte dei docenti, in quanto è una tecnologia relativamente nuova e può sembrare intimidatoria o minacciosa per alcuni. Tuttavia, la situazione sta gradualmente evolvendo, con sempre più docenti che si stanno familiarizzando con le potenzialità dell'IA nell'ambito dell'istruzione e stanno iniziando a integrarla nei loro metodi di insegnamento. Le scuole si sono impegnate notevolmente in attività formative per i docenti riguardanti l'uso delle tecnologie digitali, compresa l'intelligenza artificiale, e questo sforzo sta producendo risultati significativi. I docenti stanno acquisendo competenze digitali sempre più avanzate e stanno diventando più consapevoli delle possibilità offerte dalle tecnologie per migliorare il processo di insegnamento e apprendimento”. In questo virgolettato c’è la risposta che mi ha dato Chat gtp alla domanda…
È uno scherzo…
Fino ad un certo punto.
Senza semplificare eccessivamente, il tema intelligenza artificiale mette alla prova il senso della scuola come hanno sempre fatto le tecnologie e ne svela le contraddizioni. Una scuola passiva, come spesso è, purtroppo, fatta di spiegazione e interrogazione e pagine da studiare e ricerche e relazioni scritte, è battuta in tempo reale dalle tecnologie, non c’è confronto.
L’intelligenza artificiale ha più informazioni, è facile da consultare, è più veloce. Come fruitori, la scuola perderà sempre, un po' come nella famosa canzone degli anni Ottanta il video uccise le star della radio. Le tecnologie ancora una volta ci mettono davanti ad una idea di studente cara a tutta la pedagogia del ‘900, lo studente attore. Se costruiamo percorsi in cui insegniamo a smontare gli strumenti, a capire cosa c’è dietro, come funzionano, perdendo tempo nel contatto, nel rapporto, beh allora vince il “maestro”, come nella bottega medievale.
Contro l’Intelligenza artificiale siamo destinati a perdere?
Se lasciamo lo studente da solo come fruitore, perdiamo. La risposta dell’intelligenza artificiale è perfetta, ma non c’è cuore come in questa mia disanima in cui c’è la mia esperienza da docente e preside, la mia ironia, il mio linguaggio, i miei ideali, le mie conoscenze (ma applicate), la mia cultura pop. È un saggio… “d’attore”.
Perciò è necessario creare curricoli “attivi” anche di intelligenza artificiale in cui essa sia un veicolo per l’apprendimento, non una scorciatoia. Ne è un esempio il curricolo di intelligenza artificiale per ragazzi dalla prima alla terza media (https://www.ic3modena.edu.it/%e2%9c%85lucy-e-il-syllabus-a-scuola-di-intelligenza-artificiale_ic3modena-mattarella-ammagamma/) realizzato con la collaborazione pubblico-privato di un importante partner come Ammagamma (attività di utilizzo delle potenzialità dell’intelligenza artificiale generativa con un approccio hands on, di mani in pasta) ed anche il curricolo digitale Digimetro realizzato ispirandoci alla metropolitana di Londra. Anno per anno le attività tecnologiche che si possono realizzare in classe con esempi e con il collegamento ai curricoli nazionali ed europei. Una webapp utilissima per capire che cosa succede nelle ore dedicate alle tecnologie nell’Istituto Comprensivo 3 di Modena, dai 3 ai 14 anni, sempre con un approccio da attori e non da semplici fruitori (https://appdigimetro.web.app/tabs/tab1).
Come si realizza tutto questo?
Soprattutto grazie alla partecipazione dei docenti e della comunità, ed anche grazie ad una ricerca di risorse continua, perché la scuola è sempre aperta a sponsorizzazioni, collaborazioni, mettendo anche a disposizione i propri spazi e le proprie risorse, perché riteniamo importante che ciò che abbiamo diventi patrimonio del territorio e il territorio, anche con risorse economiche, possa accompagnare la scuola nel perseguimento dell’educazione al bello e al benessere.
In questo settore, le scuole si sono impegnate molto in attività formative rivolte ai docenti: lo sforzo fatto sta producendo risultati significativi?
Tasto dolente perché la formazione dei docenti da parte dei docenti stessi non è ritenuta centrale. Stiamo facendo l’errore di considerare la formazione tecnologica meramente applicativa, mentre essa è soprattutto culturale e porta con sé un cambio di paradigmi.
Molti docenti, purtroppo, anche nella loro disciplina, sono rimasti alla propria laurea. Prendiamo la letteratura: quanti hanno idea delle tendenze della letteratura contemporanea e le portano a scuola? La scuola al massimo arriva a Pavese, Pasolini, ma parliamo di più di 60 anni fa in un mondo che va veloce…
A fronte di una offerta formativa che con i Poli della formazione docenti e con il PNRR è davvero notevole, anche come qualità, oltre che come quantità, il vero problema a mio parere resta lo statuto della formazione docente. Senza entrare in complicate riflessioni giuridiche e contrattuali, abbiamo un contratto che risale come impostazione (frontale più attività funzionali ristrette) al secondo dopoguerra, rivisto dai decreti delegati, tutta roba di 50 anni fa.
E invece come bisognerebbe procedere?
La scuola moderna dovrebbe essere la casa dei docenti e degli studenti, lasciando spazio ai talenti di tutti, dove non c’è differenza tra lezione in aula, coordinamento, programmazione e formazione.
Una casa che oggi magari si regge grazie al volontariato di tanti ma che la rigida separazione tra frontale e attività funzionali, rende asfittica. Infatti, salvo l’università, tale separazione non esiste in nessun altro lavoro anche intellettuale, a contatto con un corpo vivo come sono gli studenti.
Non è un problema di offerta formativa che c’è, tanta, e gratis: il problema è il rapporto tra lavoro e formazione docente che, così come è oggi, non funziona e, quindi, coniugato ad una scarsa percezione del digitale come fatto culturale, anzi osteggiato in nome di epistemologie ormai superate anche nella ricerca disciplinare, rende difficile non il futuro, ma l’adeguamento al presente.
Stiamo giocando una partita di calcio moderno con le regole del calcio fiorentino…