Scelta per noi da Leonarda Tola
Sulle tracce della PAROLA
“La Parola e i racconti” è un libro-antologia con sedici brevi storie affidate a sedici scrittrici tra le più significative dell’attuale panorama letterario italiano. Non a caso donne, invitate a confrontare la personale scrittura con la Scrittura scegliendo una parabola del Vangelo. L’iniziativa editoriale è del mensile femminile de L’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo” e del suo Comitato di direzione costituito da Rita Pinci, Ritanna Armeni, Carola Susani. Non un commento alle parabole che sono riportate nel testo originale all’inizio di ogni racconto e a cui all’interno della storia non si fa esplicito riferimento: le brevi storie appartengono e scaturiscono dalla forza ideativa e narrativa di ciascuna scrittrice e vivono di vita propria con nomi, circostanze e luoghi. Sono varie e avvincenti trame con un inizio e una fine conseguente: senza alcuna esegesi né enfasi interpretativa del testo sacro, le sedici narrazioni traspaiono ispirate e tese a dare ragione della Parola del Vangelo.
Difficile scegliere tra i sedici racconti che si leggono indipendentemente l’uno dall’altro; curiosità può esservi nel privilegiare la parabola introduttiva quasi a sfidare l’autrice: cosa mai si inventerà, per esempio, Ritanna Armeni intorno al brano di Luca 15,8-10 La moneta perduta? Si racconta di Matilde, maestra a guerra appena finita e per otto anni confinata sui monti irpini in una scuola elementare frequentata da figlie di povera gente. Un’educatrice con la passione per il suo compito e capace di sognare un futuro di riscatto per le sue alunne. È la maestra che porta tutta la sua classe all’esame di ammissione alla scuola media e che non si rassegna ad abbandonare Anna, la sola esclusa dalla prosecuzione degli studi per volontà di un padre-padrone. Una moneta da non perdere e da far fruttare nella festa di un agognato e meritato guadagno.
Belle le mini storie di Maria Pia Veladiano e di Alessandra Sarchi. La vicentina Veladiano si misura con Il chicco di grano che solo se muore produce molto frutto: due figlie distolte di mala voglia dal loro quotidiano di confortevoli abitudini, per il tempo necessario ad accompagnare la nonna giunta alla fine dei suoi giorni. Ripagate al ritorno a casa da insperate fioriture di chicchi sotterrati in un vaso sul balcone. Alessandra Sarchi con L’amico importuno racconta l’insistenza di una straniera madre di due bambine che non si arrende e vince il rifiuto di Laura, ostinata nel difendere il suo che alla fine condivide con l’importuna concorrente nei suoi poveri affari.
I racconti tratteggiano paesaggi diversi e distanti, profili e intrecci esistenziali con efficacia tanto più potente in quanto ottenuti e concentrati in poche pagine. C’è tutto il valore delle altre 13 scrittrici che ci limitiamo a nominare: Ubah Cristina Ali Farah, Viola Ardone, Camilla Baresani, Maria Grazia Calandrone, Emanuela Canepa, Antonella Cilento, Cinzia Leone, Tea Ramo, Evelina Santangelo, Igiaba Scego, Elena Stancanelli, Carola Susani, Nadia Terranova. Illustrati da Cinzia Leone, i racconti sono una originale tessitura narrativa sull’ordito delle Parabole. A fine lettura un solo grande racconto.
E ti vengo a cercare
Era arrivata alla torre con la stanchezza di chi andata scalza fino alla fine del mondo, e invece erano settantacinque passi dalla casa principale e si era messa gli scarponcini più comodi della scarpiera di Marietta. Settantacinque: Luisa li aveva contati, ché coi metri non era mai stata abile a occhio, con numeri in generale si sentiva addosso una disabilità congenita, era irritante, ogni volta, constatarsi inerme di fronte a domande che le persone ritenevano innocuo porre. Da ragazza, dopo le manifestazioni, se i compagni di partito le chiedevano quanta gente c'era in piazza, sentiva bruciare la propria impotenza, si sentiva paraplegica davanti a una scala senza ascensore. «Non lo so, non so contare» avrebbe risposto volentieri, non senza sopprimere la rabbia. Invece, in campagna, anche i numeri erano semplici: sette case in tutta la contrada, tre uliveti, gli ettari ognuno sapeva i suoi. Marietta i propri li aveva scritti in un quaderno messo a riposo nel primo cassetto della cucina: numeri facili da leggere, facili da trovare, facili da dichiarare alla burocrazia. Facile tutto, in quella casa. Anche chiamare torre una casupola Che torre non era, tre piani a restringere che la sua amica aveva voluto sistemare per forza nella solitudine scontrosa degli ultimi anni. Una torre disabitata con due studi e due stanze da letto, due bagni, una cucina, una mansarda: una dimostrazione dell'abilità di Marietta a creare luoghi nobili e a non farsene nulla, ma tenerli perfetti e invidiabili, anche se invisibili.
Dieci anni prima, in uno dei momenti di rabbiosa intransigenza che le venivano contro il mondo, Marietta aveva annunciato che si sarebbe trasferita in campagna e Luisa non le aveva creduto. Invece la scelta di starsene da sola a Contrada degli Incroci non era più stata messa in discussione. Marietta aveva preso cani, gatti, per un periodo anche galline e conigli e, a parte Luisa, non invitava nessuno. Mai. Neppure a Natale o Capodanno, per non parlare dell'estate, quando le altre sei famiglie della contrada erano un fiorire di visite di parenti, amici, qualche subaffitto, qualche prestito. Marietta, al telefono, era malcontenta: tutte queste macchine mi rovinano il bosco, quando passano di qui alzano un polverone che non t'immagini. «Perché non ti fai una pavimentazione, scusa!» la rimproverava Luisa, e insisteva: «Che ci vuole, un pezzo un anno, un altro pezzo l'anno dopo, e ti asfalti la strada davanti». Niente. Marietta stava zitta, ammortizzava il colpo, e poi difendeva le sue lamentele, il diritto a rivendicarsele tutte: un anno il comune non le dava il permesso, un altro aveva dovuto rifare la cappa del camino, un altro ancora il giardiniere aveva raddoppiato i prezzi. Per la strada non c'erano mai soldi, per le lamentele c'era sempre agosto. Ci sono persone costituite dai loro sbuffi come altre dal colore dei capelli, e Luisa a un certo punto aveva capito che se avesse insistito a toglierli poi si sarebbe dovuta far carico di quel buco, di quel nulla che sarebbe rimasto alle giornate della sua amica. Del resto, se a quarant’anni, bella e capricciosa come una ventenne, decidi di vivere senza il mondo intorno, a qualcos’altro dovrai pure attaccarti.
Ora, davanti alla torre, l'assenza era un'altra, concreta e mostruosa. Davanti a Luisa si era aperto uno spazio ghiacciato il suo corpo si riassestava nel mondo con rabbia, non c’era niente, nelle parole che usano di solito per raccontare il lutto, che la placasse. Quand'è che il nostro cervello capisce che qualcuno che hai amato non c'è più? Il giorno in cui la vicina le aveva telefonato per dirle che aveva trovato Marietta morta dentro casa, Luisa aveva ascoltato la notizia senza riuscire fino in fondo a darla per reale. Adesso mi dirà che poi si è alzata ed era tutto uno scherzo. Oppure: adesso mi richiamerà per comunicarmi che si è svegliata in ospedale. Oppure ancora: adesso vado lì e la trovo, in piedi in cucina, o davanti alla porta su strada, con il gatto bianco e il gatto pezzato acciambellati vicini, e lei con il prendisole a fiori blu che le mostra quelle gambe bellissime di cui non si è mai curata. Era andata al funerale per accertarsi che Marietta avesse davvero deciso di andarsene, e con lo stesso fondo nero nei pensieri al cimitero a toccare il marmo.
Poi, quando aveva capito che era morta davvero, aveva ricevuto un'altra telefonata: il notaio la avvisava che Marietta aveva lasciato a lei la casa di Contrada degli Incroci. E le era venuto da ridere e incollerirsi insieme, come uno schiaffo in faccia visto che il massimo che si era potuto permettere era un affitto lungo in prima periferia, e tra loro c'era stato sempre quel dislivello, prima a far finta che la differenza sociale tra loro non esistesse, dopo a scherzarci su, infine a tornare all'indifferenza perché pure le verità più inossidabili a un certo punto invecchiano. E loro stavano invecchiando sopra una stratificazione di strane allegrie: i viaggi insieme, le vite diverse, le lunghe separazioni e le focosissime telefonate per raccontarsi tutto, anche quando per Luisa le giornate continuavano a vorticare in città e per Marietta si erano increspate sulle nascite degli animali e la potatura degli ulivi. All'università, quando si erano conosciute, allo stesso corso monografico intitolato "Morte e rinascita delle lingue", erano le due persone meno adatte a fare amicizia fra loro, e non solo perché Luisa era figlia di un meccanico e Marietta di un'aristocratica che non temeva il ridicolo di sentirsi tale, ma perché a parte la linguistica niente le univa, non amavano gli stessi film né gli stessi libri, non avevano le stesse idee su nulla, dal femminismo alla famiglia, allo studio ai progetti per il futuro.
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da: La PAROLA e i racconti. 16 scrittrici leggono le parabole dei vangeli, Libreria editrice vaticana, 2022, pagg. 207-210