Sogno di un mondo senza prigioni
“Un reato in adolescenza è un’invocazione d’aiuto, è un grido d’allarme che coinvolge tutti, mondo degli adulti e istituzioni”. Mi sono tornate alle mente queste parole, di fronte alla notizia dei ragazzi evasi il giorno di Natale dal Beccaria di Milano; dette da Claudio Burgio, cappellano di quel carcere minorile, in una video testimonianza che insieme ad altre ci offrì spunti preziosi di riflessione, l’anno scorso, per il dibattito svolto in preparazione del nostro ultimo congresso di Riccione. Servono adulti capaci di testimoniare, ci ricorda don Claudio, mentre oggi il mondo adulto è spesso assente, o presente in modo esasperato, nella formazione delle giovani generazioni, che ha bisogno soprattutto di testimonianze adulte credibili. Sbagliato credere che l’autorità possa essere solo, o prevalentemente, prodotta dalla forza o dalla repressione.
Non può rimanere solo un clamoroso fatto di cronaca, la fuga di sette giovani reclusi: ed è giusto che sia proprio la “reclusione”, e non la “fuga”, il tema su cui concentrare soprattutto l’attenzione e la riflessione. Per chiedersi anzitutto se e quanto quel carcere, ancor più perché si tratta di un carcere minorile, risponda a ciò che la nostra Costituzione pone esplicitamente come finalità di una pena detentiva, stabilendo che questa, oltre a non poter consistere in “trattamenti contrari al senso di umanità”, debba sempre “tendere alla rieducazione del condannato”.
So bene che sarò tacciata di “buonismo”, un rischio che di questi tempi è ancor più difficile evitare: ma non riesco a credere che l’interesse della collettività, e il comprensibile desiderio di sentirsi protetti, come singoli e come comunità, possa essere soddisfatto dalla semplice reclusione di chi delinque. E quando a farlo sono giovani e giovanissimi, diventa ancor più importante che l’azione di recupero sia chiaramente e visibilmente la prima finalità che si persegue quando si arriva a sancirne la detenzione. Mi rendo conto che il mio approccio potrebbe risultare un po’ controtendenza , in tempi nei quali la “meritocrazia”, spesso usata come chiave di lettura anche delle dinamiche sociali, può indurre a considerare la condizione di povertà e disagio come una colpa: me ne rendo conto e proprio per questo lo considero ancor più necessario.
Serve allora, prima di tutto, interrogarsi su ciò che sta alla radice di comportamenti che non riguardano soltanto – cito ancora don Claudio Burgio – i contesti socio-familiari di maggior disagio, ma investono trasversalmente tutti gli strati sociali, segno di un’emergenza educativa globale che, come tale, richiede di essere considerata se si vuole affrontarla in modo efficace.
È di tutta evidenza quanto sia cruciale, su questi temi, il ruolo della scuola, la valenza strategica che assume come pilastro del vivere civile in una società che può generare benessere diffuso, e condiviso, solo in presenza di solidi legami di unità e coesione. Se è vero che serve investire di più in istruzione e formazione, è ancor più vero che vi sono ambiti nei quali si impone un’urgenza di attenzione e di intervento, ed è lo stesso PNRR a dirci come e dove indirizzare prioritariamente le risorse disponibili. Poiché queste note prendono spunto dalla vicenda del Beccaria, mi piace ricordare che anche in luoghi di disagio estremo come le carceri “la scuola c’è”, come testimoniato in uno dei dodici filmati che accompagnarono, nel 2019, i nostri approfondimenti mensili dell’Agenda.
Serve investire, ma serve soprattutto avere ben chiaro un modello di scuola, che non può essere mai avulso da una visione della persona e della società definita dai valori che la orientano. È stato questo il focus della riflessione condotta nella nostra Assemblea Nazionale dell’ottobre scorso a Palermo, alla quale facevo riferimento nelle mie note introduttive del mese di novembre e di cui l’ultimo numero della nostra rivista “Scuola e Formazione” riporta ampiamente i contenuti e la sintesi raccolta nel “Manifesto per una scuola che unisce”.
L’accoglienza è il primo punto del decalogo che descrive il tipo di scuola per il quale continueremo a stare in campo nell’anno appena cominciato. Nel 2023, come sappiamo, ricorre il centenario della nascita di don Milani, evento al quale abbiamo voluto dedicare la nostra Agenda e l’intera annata di questi appuntamenti mensili. Siamo coinvolti, come CISL Scuola, anche nel comitato - presieduto da Rosy Bindi - che curerà le celebrazioni di questo importante anniversario. La scuola di Barbiana, per quanto modello unico e in qualche modo “inarrivabile”, resta l’esempio più alto di quanto possa valere la capacità di coniugare serietà di impegno e accoglienza, connotati entrambi irrinunciabili di una scuola che unisce, la sola – a mio avviso - capace di aggredire alla radice le cause di un disagio i cui effetti è poi sempre molto difficile curare.
Non sappiamo se anche gli ultimi dei ragazzi evasi dal Beccaria, come già avvenuto per alcuni di loro, torneranno prima o poi al loro stato di reclusi: più di questo, deve importarci anzitutto che le condizioni di quel carcere siano davvero rispondenti alle finalità di cui parla l’art. 27 della Costituzione. Ma soprattutto, di fare in modo che la scuola possa contribuire in modo decisivo alla realizzazione di un sogno: che di istituzioni come il carcere minorile non si abbia più necessità.
Doverosa postilla
Altre vicende drammatiche si impongono alla nostra attenzione in questi giorni e esigono da parte di tutti un impegno che vorremmo vedere, nel nuovo anno, più stringente e fattivo sul piano internazionale, perché vi si ponga fine il più presto possibile: dall’invasione sanguinosa dell’Ucraina, in corso da quasi un anno, alla repressione brutale scatenata in Iran contro la domanda di libertà reclamata con particolare coraggio dalle donne, di cui molte giovanissime; e sono ancora le donne, in Afghanistan, a patire odiose discriminazioni vedendosi negare l’accesso ai gradi più alti dell’istruzione. Per noi, gente di scuola, quest’ultima rappresenta una privazione intollerabile, che al tempo stesso dovrebbe rendere ancor più evidente a tutti il valore del nostro lavoro.