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l'immagine del mese; la parola del mese (Spiritualità); invito alla lettura; note musicali; un brano di prosa e una filastrocca; "La scuola c'è. La scuola è", il film di maggio del calendario CISL Scuola; anticipazioni da Scuola e Formazione; giornate e ricorrenze particolari (anche per la didattica).
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L'ILLUSTRAZIONE
Ancora tempo d'amore.
Solo un attimo fa
formiche volanti
nella frenesia della danza.
Ora sul terreno
due rivali si scontrano
per il favore di una bella.
E una cornice di papaveri rossi
di una tenerezza fiammeggiante.
Eva Kaiser
Il nono mese
di Leonarda Tola
Maggio, l’importante è la rosa
“Torna maggio e torna ammore” nella canzone di Salvatore di Giacomo “Era de maggio”: “Fresca era l’aria e tutto lu ciardino / addurava de rose a ciente passi”.
Canti d’amore e tante rose a maggio che torna. Nel primo giorno del mese, a Calendimaggio, si usava cantare secondo tradizioni ancora vive lo stupore allegro della rigenerazione di tutto ciò che è arboreo, segno del ritorno alla vita di ogni forma di erbe e umana. Varie sono le ipotesi di derivazione del nome Maggio (Maius): per alcuni dalla dea Maia, per altri da Maius (Giove). Maia era la Grande Madre personificazione della Terra, divinità come Fauna e Flora a cui erano dedicati i riti romani che festeggiavano le giornate di maggio in fiore. Dai riti precristiani della fertilità che inneggiavano allo splendore trionfante della natura a primavera derivano i festeggiamenti medioevali dell’inizio di maggio: i “Maggi” non sono altro che alberi adornati che ancora si continua ad innalzare per annunciare il bel tempo atteso che finalmente viene a risvegliare cori e danze nella stagione dell’amore. “Si canta Maggio signori de volete / ebbene venga Maggio e Maggio gli è venuto/… date marito alle belle e anche alle brutte” improvvisavano le brigate dei giovani nei borghi intrecciando galanterie e corteggiamenti.
“Ci sposeremo a maggio con tante rose” si promettevano gli innamorati nelle canzoni popolari della generazione che conobbe l’ultima guerra.
Non stupisce perciò che la bellezza della natura splendente di colori sia servita in epoca cristiana ad incoronare la Vergine Maria “Rosa delle rose, fiore dei fiori”, (Las cantigas de Santa Maria di Alfonso X cit. in Calendario di A. Cattabiani), fin dal Medioevo introducendo la devozione alla Madonna in quello che sarà il mese “mariano”.
Mense Maio si intitola l’enciclica di Paolo VI nel secondo anno del suo pontificato (1965) sulla pietà popolare che raccoglie fino ai nostri giorni le pratiche devozionali dedicate alla “Vergine madre”: canti, fioretti, litanie e soprattutto il rosario, preghiera tutta mariana che prende il nome dal più bello dei fiori di maggio.
Da Maggio deriva anche il termine maggese. Una parola un po’ scomparsa dal nostro vocabolario come forse l’antica pratica agricola che indicava. Maggese era la porzione di campo lasciata a riposo, un terreno non abbandonato ma risparmiato a tempo stabilito, a cui si concedeva la sosta dal fruttificare in una libertà che rallentava il ciclo produttivo, altrimenti tiranno in nome dell’efficienza e dell’introito. Maggese era il terreno che, aiutato nella sosta a conoscere e a sedimentare i suoi umori, avrebbe dato i frutti migliori che solo nascono dall’attesa paziente di ogni libera fioritura. È la cultura del maggese e del riposo del sabato, del rispetto del creato nel codice di alleanza con il Creatore.
Proverbi
Chi pota di maggio e zappa d'agosto, non raccoglie né pane né mosto.
Per Santa Rita (22 maggio) ogni rosa è fiorita.
Per sant'Urbano (25 maggio) il frumento è fatto grano (o ha granito).
Per Sant'Urbano (25 maggio) tristo quel contadino che ha l'agnello in mano.
Acqua di maggio è come la parola di un saggio.
Aprile fa il fiore e maggio si ha il colore.
Aprile carciofaio, maggio ciliegiaio.
LA PAROLA DEL MESE
SPIRITUALITÀ
di Luigina Mortari
Famosa è la definizione aristotelica che presenta l’uomo come un animale politico, cioè un essere che vive nella polis, la città dei poloi, dei molti.
La dimensione plurale dell’uomo è intrinseca alla sua natura; ma tale dimensione è intimamente connessa all’altro tratto ontologico fondamentale dell’uomo, la sua singolarità, dimensione che indica il suo essere solo di fronte al progetto della vita.
Quando facciamo esperienza di questa solitudine radicale sentiamo insieme la tensione alla trascendenza, alla necessità di dare forma al nostro proprio modo di esserci. Diventare ciò che siamo, dando corpo alle differenti possibilità di essere al mondo che ci sono poste davanti. Ciò significa confrontarsi con le questioni essenziali del vivere, le questioni di significato, quelle “questioni non-rispondibili” che chiedono un continuo investimento di pensiero, ma che sono inaggirabili per fare della vita un abitare con senso nel mondo.
Praticare tali domande, nell’interrogazione profonda e radicale, costituisce il cuore della pratica di spiritualità. Ne va della nostra vita. Sembra una parola desueta spiritualità: è invece il termine fecondo che richiama all’uomo la sua essenza più profonda, senza fare i conti con la quale perde se stesso.
Ma la spiritualità chiusa nel recinto della vita privata diventa arida. Il senso delle pratiche di spiritualità sta nel trovare le strade per dare forma a quella vita buona che costituisce il senso del lavoro politico. E la politica oggi più che in passato ha urgenza di essere ripensata come quella pratica che è al servizio della comunità, orientata a costruire una polis dove vivere una vita giusta, bella e buona.
La scuola, quella vera è chiamata a prendersi cura dell’anima perché da un’educazione spirituale fiorisca una rinascita del bene comune.
Aver cura di sé
In quanto esseri che vengono al mondo come mancanti, siamo chiamati a dare forma al nostro proprio divenire. La direzione di senso del processo di autoformazione, che possiamo chiamare ‘cura di sé’, consiste nel costruire quello che E. Stein chiama “centro interiore” (1999), un punto dell’anima nel quale la vita si concentra e dal quale scaturisce la qualità delle scelte del proprio vivere. Nel centro interiore si delineano i principi essenziali che aiutino a trovare la strada della propria attuazione esistentiva, le posture della mente che consentono di stare alla ricerca dell’essenziale, la tensione a tenere la mente raccolta nella ricerca dell’irrinunciabile per nutrire di senso l’esistenza. Aver cura di sé è dunque una pratica spirituale.
Aver cura di altri e del mondo
Aver cura di sé è assumersi il compito di dare forma al nostro proprio divenire, in quanto ci scopriamo mancanti di una forma compiuta e perciò sobbarcati del compito di divenire il proprio poter essere, rispondendo alla chiamata della vita. Ma l’aver cura della vita corre il rischio di tradursi in un movimento egoistico, tutto concentrato soltanto sul sé. La realtà si pone però come argine a ciò: il divenire di ciascuno, infatti, è inestricabilmente mescolato a quello di altri. Noi siamo esseri intimamente relazionali. La condizione umana trova la sua essenza non solo nella singolarità di cui ciascuno è portatore, ma anche nella relazionalità che ci caratterizza: per questo motivo l’aver cura della vita non può qualificarsi solo come cura di sé ma anche come cura per gli altri e per il mondo. E la scoperta che ogni uomo fa in questa pratica è quella di trovare che il proprio sé prende forma anche quando l’oggetto di cura sono gli altri e il mondo.
Educare la spiritualità
Chiamati a imparare ad aver cura dell’esistenza, ovvero a imparare l’arte di esistere, ci troviamo in un cammino che dà forma a una sapienza del vivere.
Pervenire a questa sapienza è un apprendimento difficile, che chiede di essere coltivato intenzionalmente. La pratica educativa prende forma dalla necessità di sostenere i giovani nell’apprendimento di tale arte del vivere. Un’arte che, come afferma Socrate, consiste nell’avere “una conoscenza sicura della virtù del vivere umanamente e politicamente” (Platone, Apologia di Socrate, 20b). Un habitus di vita che rende l’uomo sempre più umano nella forma della cura di sé e degli altri e della città, nella quale e con i quali soltanto si diventa realmente umani.
L’educazione conosce il proprio limite: non c’è sapienza che si possa insegnare o trasmettere come un dato. C’è un cammino però che si può intraprendere insieme, un cammino fatto di cura per l’altro il cui fine sia fare in modo che l’altro impari a prendersi cura di sé da se stesso. E in questa arte del vivere, la sapienza degli esseri umani che hanno lavorato su di sé per far fiorire la vita ci consegna delle pratiche spirituali che in quanto educatori dobbiamo praticare e proporre ai nostri allievi.
Il lavoro di spiritualità attraverso il quale si ha cura dell’anima richiede che si attivino differenti pratiche di pensiero che possono essere coltivate attraverso dei veri e propri “esercizi spirituali”, tecniche di lavoro su di sé che, come afferma Foucault (2001), permettono alla spiritualità di diventare la pratica per mezzo della quale il soggetto opera su se stesso le trasformazioni necessarie per avere accesso alla verità.
Innanzitutto, si tratta di comprendere come conoscere se stessi, e conoscere se stessi significa occuparsi non solo del proprio pensare, ma anche del proprio sentire, perché l’uno è strettamente connesso all’altro. Per conoscere se stessi suggeriamo ad ogni essere umano e all’educatore che lo accompagna di esercitarsi nel dare attenzione, fare silenzio interiore, concedersi tempo, togliere via, cercare l’essenziale, coltivare l’energia vitale, scrivere il pensare.
Non ci può essere una profonda riflessività se la mente non è capace di un’attenzione concentrata sul proprio vissuto; senza il silenzio interiore la vita della mente troppo ingombra e distratta non riesce a raccogliere la forza necessaria per riflettere. Senza il concedersi tempo non è possibile trovare quello spazio di cui la riflessività necessita, poiché richiede un’adeguata quiete cognitiva. Quando si toglie via il di più rispetto all’essenziale, si evita che le energie mentali si disperdano per poterle invece fare confluire ad alimentare la potenza riflessiva. La cura di sé ha bisogno anche di energia vitale, quell’energia positiva indispensabile perché le nostre azioni attualizzino la nostra individualità essenziale. Infine, per intensificare la forza plasmatrice delle pratiche di spiritualità è utile accompagnare il lavoro interiore con la scrittura, cercando un linguaggio che sappia dire la qualità della vita della mente.
Intraprendere pratiche di spiritualità significa dare inizio a un cammino, quello che porta verso un altrove, verso altri modi di essere. Il senso di questo cammino sta nel trovare la forma migliore del proprio essere e farla fiorire, far fiorire il tempo del vivere di gemme di senso.
Bibliografia di riferimento
Foucault, M. (2001), L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France 1981-1982. Tr. it. Feltrinelli, Milano 2003.
Mortari, L. (2015), Filosofia della cura. Raffaello Cortina, Milano.
Mortari, L. (2018) (a cura di), Spiritualità e politica. Vita e Pensiero, Milano.
Mortari, L. (2019), Melarete. Cura Etica Virtù. Vita e Pensiero, Milano.
Mortari, L. (2019), Aver cura di sé. Raffaello Cortina, Milano.
Platone, Tutti gli scritti. Tr. it. Bompiani, Milano 2000.
Stein, E. (1962a ed. ted.), Essere finito e essere eterno. Tr. it. Città Nuova, Roma 1999.
INVITO ALLA LETTURA
a cura di Mario Bertin
L’America
Era una notte che pareva fatta apposta, un’oscurità cagliata che a muoversi quasi se ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi ai loro piedi.
Stavano con le loro valige di cartone e i loro fagotti, su un tratto di spiaggia pietrosa, riparata da colline, tra Gela e Licata: vi erano arrivati all’imbrunire, ed erano partiti all’alba dai loro paesi; paesi interni, lontani dal mare, aggrumati nell’arida plaga del feudo. Qualcuno di loro, era la prima volta che vedeva il mare: e sgomentava il pensiero di dover attraversarlo tutto, da quella deserta spiaggia della Sicilia, di notte, ad un’altra deserta spiaggia dell’America, pure di notte. Perché i patti erano questi – Io di notte vi imbarco – aveva detto l’uomo: una specie di commesso viaggiatore per la parlantina, ma serio e nesto nel volto – e di notte vi sbarco: sulla spiaggia del Nugioirsi, vi sbarco; a due passi da Nuovaiorche… E chi ha parenti in America, può scrivergli che aspettino alla stazione di Trenton, sodici giorni dopo l’imbarco… Fatevi il conto da voi… Certo, il giorno preciso non posso assicurarvelo: mettiamo che c’è mare grosso, mettiamo che la guardia costiera stia a vigilare… Un giorno più o un giorno meno, non vi fa niente: l’importante è sbarcare in America.
L’importante era davvero sbarcare in America: come e quando non aveva poi importanza. Se ai loro parenti arrivavano le lettere, con quegli indirizzi confusi e sgorbi che riuscivano a tracciare sulle buste, sarebbero arrivati anche loro; “chi ha lingua passa il mare”, giustamente diceva il proverbio. E avrebbero passato il mare, quel grande mare oscuro; e sarebbero approdati agli stori e alle farme dell’America, all’affetto dei loro fratelli zii nipoti cugini, alle calde ricche abbondanti case, alle automobili grandi come case.
Duecentocinquantamila lire: metà alla partenza, metà all’arrivo. Le tenevano a modo di scapolari, tra la pelle e la camicia. Avevano venduto tutto quello che avevano, per racimolarle: la casa terragna il mulo l’asino le provviste dell’annata il canterano le coltri.
Leonardo Sciascia, “Il lungo viaggio” in: Il mare colore del vino, Einaudi, Torino 1976, pp. 19-20.
Di Leonardo Sciascia (1921-1989) tutti pensano di sapere tutto o quasi tutto. Il testo che proponiamo fa parte di un libro (Il mare colore del vino), di cui forse si ricorda il titolo, ma meno i racconti che lo compongono. Essi sono stati scritti tra il 1959 e il 1972 e costituiscono una piccola “summa” dei temi e dei modi narrativi che erano più cari a Sciascia.
Alcuni di questi racconti trovano un preciso riscontro in rielaborazioni successive in forma di romanzo, altri in eventi storici datati, come è, ad esempio, La rimozione, scritto quando la salma di Stalin venne rimossa dal mausoleo in cui era stata posta.
Anche in questi racconti Sciascia prosegue nello scavo di un passato più o meno lontano, ma con l’intenzione di gettar luce su di un presente senza data perché a interessarlo è la verità umana che egli scandaglia con il risentimento civile e la segreta ironia che gli sono propri.
Il lungo viaggio, di cui pubblichiamo una piccola parte, sorprende per il riflesso che trova nell’attualità di oggi. Si avverte immediatamente che esso nasce, come peraltro gli altri scritti di Sciascia, da una coscienza civile “appassionata e dolente”, da un legame morale, politico, umano con la realtà popolare della sua terra, la Sicilia, che però si dilata in orizzonti più vasti per le sue sconcertanti rispondenze con quanto avviene giornalmente nel Mediterraneo.
SUGGESTIONI A PROPOSITO DELL'ILLUSTRAZIONE DEL MESE
Papavero e cervo volante
Il papavero
Il papavero comune (papaver rhoeas) è chiamato anche rosolaccio, cioè rosa dei campi, per il suo colore e la sua diffusa presenza nei campi di grano. Già gli antichi romani associavano questo fiore a Cerere dea dei campi raffigurandola con ghirlande di papaveri. Per i greci, che come dea della terra avevano Demetra, il papavero era anche simbolo dell’oblio e del sonno e Morfeo, il dio dei sogni, era rappresentato con un mazzo di papaveri fra le mani. Del resto fra le varietà di papaveri c’è il papaver somniferum, noto anche come papavero da oppio, ricco di alcaloidi come la papaverina la morfina, la codeina.
Molti i miti collegati a Demetra/Cerere, dea della fertilità dei campi. Nella vicenda mitica di sua figlia Proserpina (Persefone per i Greci), rapita e trattenuta sotterra dal dio dei morti ma poi restituita alla madre per una parte dell'anno, è simboleggiato il ciclo della vegetazione. In onore di Demetra e di Persefone si celebravano in Grecia i famosi misteri di Eleusi.
Claude Monet, I papaveri, 1873
Il cervo volante
Il cervo volante è un coleottero che deve il suo nome alla presenza di due strutture dure, aculei che ricordano le corna di un cervo, ma che sono invece strane ed enormi mandibole. Quasi delle corna che vengono utilizzate per i combattimenti durante il periodo riproduttivo e fanno apparire il maschio più temibile di quanto poi effettivamente sia.
Sul simbolismo e l’iconografia legata a questo coleottero, presente in molte miniature e dipinti realizzati tra il Medioevo e il Seicento, riprendiamo alcune annotazioni di Federico Bernardelli Curuz.
Proprio per la morfologia delle sue mandibole/corna viene usato come emblema del male contrapposto a simboli del bene. È presente, in particolare, in molte nelle nature morte dipinte da artisti fiamminghi, anche come elemento che rimanda alla consumazione del tempo e che mina la realtà della vita e della grazia. Molto eloquente, ad esempio, è la Natura morta con pesce e cervo volante, opera di Georg Flegel (1566-1638). Un cervo volante, sopra una tavola riccamente imbandita, si dirige verso il pesce, con intento distruttore. Con le pinze possenti -lascia intendere il pittore- il coleottero riuscirà a divorare il banchetto e soprattutto ad avventarsi sull’aringa. Chiaro il significato allegorico che rimanda a una interpretazione cristologica: il pane e il vino (rappresentazione dell’eucaristia) e il pesce simbolo del Cristo per via del termine greco Ichtùs, acronimo di “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”.
Georg Flegel, Natura morta con pesce e cervo volante, 1635
NOTE MUSICALI
a cura di Francesco Ottonello
Clément Janequin (1485 ca – 1558): La bataille de Marignan
In musica, con il termine Battaglia, si indica una forma musicale con cui il compositore cerca di richiamare alla memoria dell’ascoltatore, attraverso la percezione uditiva, la rievocazione delle fasi di un combattimento, appunto di una battaglia.
Fu una forma musicale molto in voga fra il Cinquecento e il Seicento e l’effetto privilegiato per evocare il clima di una scontro armato era quello di sfruttare le onomatopee vocali a imitazione del frastuono armato, il cozzare delle armi, le grida dei combattenti, gli spari delle armi da fuoco. Durante l’epoca del Rinascimento il genere della battaglia fu soprattutto vocale in cui le voci imitavano grida, incitamenti, cannoni, fanfare e tamburi. Durante il Barocco, la Battaglia si assestò invece nella forma strumentale, con una valenza descrittiva fortemente marcata. Fra gli esempi più celebri di battaglie evocate in musica si ricordano due lavori molto celebri: la Battaglia di Wellington di Beethoven e la famosa Ouverture 1812 di Tchaikovsky.
In questa circostanza viene proposto all’ascolto un esempio di musica del Cinquecento e dunque un esempio vocale di Battaglia. Si tratta della chanson intitolata La bataille de Marignan del compositore francese Clément Janequin (1485 ca – 1558), scritta per celebrare la vittoria franco veneziana a seguito della battaglia di Marignano (1515), contro il Ducato di Milano, gli Svizzeri e il Marchesato di Mantova.
Janequin fu un compositore molto prolifico per quanto riguarda il genere della chanson (genere squisitamente vocale, da eseguirsi senza l’accompagnamento di strumenti) e fu maestro indiscusso proprio del genere della chanson descrittiva.
Nel caso specifico de La bataille de Marignan egli seppe introdurre in un genere vocale temi di fanfara (che sono invece squisitamente strumentali) e ricche onomatopee a imitazione di grida di dolore o incitazione; il tutto viene vivificato da una ricchezza ritmica considerevole, che diventa uno strumento espressivo di grande effetto, soprattutto quando viene utilizzato per enfatizzare l’uso di una parola o un di concetto.
LA SCUOLA C'È. LA SCUOLA È...
I volti e i luoghi delle scuole italiane animano il calendario che la CISL Scuola ha prodotto per il 2019. Per ognuno dei dodici mesi dell'anno, un breve film racconta la presenza della scuola in ogni angolo del Paese; ambienti, età, situazioni diverse compongono un caleidoscopio vivente nel quale si moltiplicano immagini che ci restituiscono la varietà e la bellezza di ciò che la scuola riesce ad essere, ogni giorno, per tutti e dovunque.
Per ogni mese del calendario uno specifico "codice a barre" del tipo QR code dà accesso, per chi lo inquadra col suo smartphone, alla pagina web che ospita il breve film realizzato per noi da Giovanni Panozzo. Un giro d'Italia per dirci ogni volta, in luoghi diversi, che la scuola c'è, e ciò che riesce ad essere grazie alla straordinaria energia che la muove.
Il film del mese di maggio
"Si va tutti insieme"
Volto solare, parole semplici ma di enorme valore quelle dell'alunna che ci racconta il suo rapporto con i compagni disabili; non soggetti da assistere, ma risorsa preziosa per accrescere la propria conoscenza. L'integrazione come scambio fecondo che arricchisce la comunità. Immagini e parole dall'IPSEOA "Lucio Petronio" di Pozzuoli (NA) nel film del mese di maggio realizzato per CISL Scuola da Giovanni Panozzo.
GLI AQUILONI
Aquilone di maggio
Era un rombo verde slanciato
e volava al mattino presto
attorno all'isola rocciosa
che domina la valle dell'Orcia
la Rocca di Santa Caterina
tetragona ai venti
Volava di maggio quando
la campagna è tanto verde
che si confonde con il colore
dei cipressi e degli ulivi
e nessuno pensa all'oro
all'ocra al bruno
di cui questa terra è fiera
e che sarà il suo segno
di qui a pochi mesi...
Incrociava i primi voli
di corvi e di rondoni
e aveva la tentazione
di competere con loro
ma poi si ricordava
della consegna ricevuta
che era di tracciare
anelli verdi nel cielo
come solo lui sapeva fare
Giovanni Gasparini
(da Cento aquiloni: un poemetto,
Libri Scheiwiller, 2005)
UNA FILASTROCCA
Maggio
Maggio, è incredibile quello che fai:
non ho parole per ciò che mi dai!
Certo, qualcosa di buono l’ho fatto:
amo le rondini, nutro il mio gatto,
ai passerotti ho portato del pane
quando ho capito che spesso hanno fame…
Sì, se ci penso, ne ho fatto di cose…
Dici che merito un cespo di rose?
Lorenzo Gobbi
RILANCI E ANTICIPAZIONI DA "SCUOLA e FORMAZIONE"
Sul n. 1-4/2019 di Scuola e Formazione, nella rubrica "Dentro le parole", Giovanni Gasparini sviluppa una riflessione sul valore e il senso del termine Grazie.
Può essere utile, allora, riprendere, rileggere o risentire la splendida poesia di Mariangela Gualtieri intitolata Ringraziare desidero che, con un breve commento di Leonarda Tola, avevamo già presentato nel n. 1/2016. La riproponiamo qui.
Il cantico del grazie
Mariangela Gualtieri (1951), in “Bello mondo” dal suo ultimo libro Le giovani parole, arriva a fare il compendio delle cose della vita e dell’universo per le quali elevare la lode al divino: un’epitome, quasi l’atto finale dopo tutti i suoi versi sparsi a bracciate delicate, con la perizia del seminatore che sa della sua terra avida di fioritura, particelle embrionali, essenze creaturali che risalgono da sotterranee risorgive a celebrare la vita e la sua inesauribile gloria. Prima di questo ringraziare, tanti i gesti di devozione: a volte a venirle in soccorso è “una piccola foglia” o “un frutto così/ ben fatto che dava sollievo al mio/disordine di fondo”. Altre volte sono i fiori che si mostrano e sono “…qualcosa d’amore/ che da sotto la terra viene/ fino alla mia mano/ a fare la festa generosa”. Apparizioni effimere ed immortali dell’incanto del mondo.
Per chi passa la vita a cercare e trovare nel “girovagare errante” per i tre regni animale minerale e vegetale in cui si divide il mondo, “pioggia” e “lucciole”, “stelle” e “lavanda”, “mistero” e “silenzio” arriva il momento in cui le parole di poeta non bastano al poeta. Avendo a disposizione le ultime parole, da consegnare come per un testamento. Allora ci si mette in ginocchio a formulare una preghiera e per comporla si convocano le altre voci e visioni dei cercatori d’oro, che sono i poeti che sanno la “bellezza delle parole” e come ricrearla. È quanto riesce a Mariangela Gualtieri nel desiderio, che è nostalgia delle stelle, di ringraziare delle diversità di cui si compone l’universo: riaccende il fuoco sacro del Cantico delle Creature di Francesco, delle parole già dette e dei versi già scritti con il medesimo ritmo, come è nella reiterazione delle orazioni, da Jorge Luis Borges nella “Poesia dei doni”.
Mariangela Gualtieri, collocando se stessa a buon diritto nella lunga scia degli innamorati della parola, porta la gratitudine senza fine, sua personale e a nome degli altri poeti alla sorgente da dove tutto ha inizio. La gratitudine eterna è “per il linguaggio”, per il dono della “lettura” e della “scrittura”, per la grazia sovrabbondante delle parole che sanno ricreare cielo e terra nella forma di paradiso.
(Leonarda Tola).
Sono molti, in internet, gli articoli e i siti che presentano il lavoro e la poesia di Mariangela Gualtieri.
Ci piace rinviare al video, su Youtube, in cui legge la poesia Ringraziare desidero che riportiamo nella pagina seguente:
https://www.youtube.com/watch?v=W60SohJ_FGo
Segnaliamo anche il breve saggio Una luce «senza ristoro d’ombra». La poesia di Mariangela Gualtieri di Giorgia Bongiorno dell’Università di Rouen. http://italies.revues.org/2734?lang=it
Ringraziare desidero
Mariangela Gualtieri
In quest'ora della sera
da questo punto del mondo
Ringraziare desidero il divino
labirinto delle cause e degli effetti
per la diversità delle creature
che compongono questo universo singolare
ringraziare desidero
per l'amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità
per il pane e il sale
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede
per l'arte dell'amicizia
per l'ultima giornata di Socrate
per il linguaggio, che può simulare la sapienza
io ringraziare desidero
per il coraggio e la felicità degli altri
per la patria sentita nei gelsomini
e per lo splendore del fuoco
che nessun umano può guardare
senza uno stupore antico
e per il mare
che è il più vicino e il più dolce
fra tutti gli Dèi
ringraziare desidero
perché sono tornate le lucciole
e per noi
per quando siamo ardenti e leggeri
per quando siamo allegri e grati
per la bellezza delle parole
natura astratta di Dio
per la scrittura e la lettura
che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo
per la quiete della casa
per i bambini che sono
nostre divinità domestiche
per l'anima, perché se scende dal suo gradino
la terra muore
per il fatto di avere una sorella
ringraziare desidero per tutti quelli
che sono piccoli, limpidi e liberi
per l'antica arte del teatro, quando
ancora raduna i vivi e li nutre
per l'intelligenza d'amore
per il vino e il suo colore
per l'ozio con la sua attesa di niente
per la bellezza tanto antica e tanto nuova
io ringraziare desidero per le facce del mondo
che sono varie e molte sono adorabili
per quando la notte
si dorme abbracciati
per quando siamo attenti e innamorati
per l'attenzione
che è la preghiera spontanea dell'anima
per tutte le biblioteche del mondo
per quello stare bene fra altri che leggono
per i nostri maestri immensi
per chi nei secoli ha ragionato in noi
per il bene dell'amicizia
quando si dicono cose stupide e care
per tutti i baci d'amore
per l'amore che rende impavidi
per la contentezza, l'entusiasmo, l'ebbrezza
per i morti nostri
che fanno della morte un luogo abitato.
Ringraziare desidero
perché su questa terra esiste la musica
per la mano destra e la mano sinistra
e il loro intimo accordo
per chi è indifferente alla notorietà
per i cani, per i gatti
esseri fraterni carichi di mistero
per i fiori
e la segreta vittoria che celebrano
per il silenzio e i suoi molti doni
per il silenzio che forse è la lezione più grande
per il sole, nostro antenato.
Io ringraziare desidero
per Borges
per Whitman e Francesco d'Assisi
per Hopkins, per Herbert
perché scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e non arriverà mai all'ultimo verso
e cambia secondo gli uomini.
Ringraziare desidero
per i minuti che precedono il sonno,
per gli intimi doni che non enumero
per il sonno e la morte
quei due tesori occulti.
E infine ringraziare desidero
per la gran potenza d'antico amor
per l'amor che move il sole e l'altre stelle.
E muove tutto in noi.
NEI GIORNI DI SCUOLA
Giornate e ricorrenze particolari
(anche per la didattica)
1° maggio – Festa del lavoro
Come ogni anno si celebra in Italia e in tutto il mondo la Festa del Lavoro, in omaggio e memoria delle lotte sostenute per contrastarne gli aspetti di esasperato sfruttamento e affermarlo nella sua piena dignità come diritto di ogni persona. "Lavoro, diritti, stato sociale. La nostra Europa" è il tema scelto da CGIL, CISL e UIL per il 1° maggio 2019, anche per la vicinanza con la data prevista per l'elezione del nuovo Parlamento Europeo. Come di consueto la giornata vedrà manifestazioni unitarie in tutte le principali città italiane. Quella nazionale, con la partecipazione dei segretari generali Annamaria Furlan, Maurizio Landini e Carmelo Barbagallo, si svolgerà a Bologna.
Il comizio della manifestazione di Pistoia è affidato alla segretaria generale della Federazione CISL Scuola, Università e Ricerca Maddalena Gissi.
Nel pomeriggio a Roma, in Piazza San Giovanni, tradizionale appuntamento con il concertone, trasmesso in diretta dalla RAI.
3 maggio – Giornata mondiale per la libertà di stampa
«Non può esserci piena democrazia senza accesso a un’informazione trasparente e affidabile. La libertà di stampa è la pietra angolare su cui costruire istituzioni giuste e imparziali; essa consente di mettere i dirigenti davanti alle loro responsabilità e di far valere la verità anche di fronte ai potenti». Con queste parole del segretario generale Antònio Guterres si apre la pagina web che l'ONU dedica alla giornata del 3 maggio, proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite "Giornata mondiale per la libertà di stampa" nel 1993, raccogliendo le indicazioni della Conferenza Generale dell'UNESCO del 1991.
Il tema cui è dedicata la giornata di quest'anno è "I media per la democrazia: giornalismo ed elezioni in tempo di disinformazione"
20 maggio – Giornata mondiale delle api
Altra ricorrenza stabilita dall'ONU, nella data in cui cade il compleanno di di Anton Janša, che nel XVIII secolo ha aperto la strada alle moderne tecniche di apicoltura nella sua nativa Slovenia e ha elogiato le api per la loro capacità di lavorare così duramente, pur avendo bisogno di così poca attenzione. Vedi la pagina web dedicata alla ricorrenza.