L'intervento del Presidente della Repubblica al "Congresso Internazionale di Modena" in ricordo di Marco Biagi

23.03.2009 15:13
Categoria: Comunicati Stampa

Il punto di riferimento e incontro deve consistere nella consapevolezza, da diffondere finalmente nel mondo del lavoro, dell'esigenza di uscire da logiche puramente difensive, di non farsi guidare da vecchi riflessi di arroccamento attorno a visioni e conquiste del passato, rispetto a mutamenti obiettivi innegabili e a scelte ineludibili di riequilibrio e rinnovamento nel sistema delle garanzie e delle tutele, a favore, soprattutto, dei meno protetti. Procedere in questo senso, liberarsi dallo spirito di fazione, significherebbe dare quel segno di maturità della nostra vita democratica che da troppo tempo si attende.

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INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

GIORGIO NAPOLITANO

AL CONGRESSO INTERNAZIONALE IN RICORDO DI MARCO BIAGI

 

Produttività, investimento nel capitale umano e occupazione giovanile:

dinamiche comparate e risposte globali"

 

Modena, 19 marzo 2009

 

Magnifico Rettore, la ringrazio per le cordiali parole che ha voluto indirizzarmi. Ci unisce la stessa consapevolezza del ruolo essenziale che l'Università e la ricerca sono chiamate a svolgere, nei termini da lei puntualmente richiamati, per lo sviluppo economico, sociale e civile del Paese; e quindi della necessità che esse si pongano, attraverso uno sforzo di autocorrezione e riforma, e siano poste, attraverso serie e coerenti politiche pubbliche, in grado di fare la loro parte.

Ci unisce, credo di poter dire, un comune sentire rispetto alle gravi difficoltà e alle complesse sfide cui il nostro sistema universitario è oggi esposto.

Nello stesso tempo ringrazio di cuore Marina Orlandi Biagi per l'invito che mi ha rivolto - insieme con il Direttore Paola Reggiani Gelmini - a nome della Fondazione da lei presieduta, per l'occasione che mi ha offerto di essere qui con voi e di dare un segno di vicinanza e di impegno che da tempo desideravo dare pubblicamente.

A tutti i partecipanti a questo Convegno, ai suoi promotori, agli illustri relatori italiani e stranieri, alle autorità civili, militari e religiose, rivolgo il più cordiale saluto e il più vivo apprezzamento.

E' un Convegno di alto livello culturale e di grande significato da molti punti di vista.

E' innanzitutto un Convegno in ricordo di Marco Biagi, con l'intento - sottolineato dal professor Tiraboschi - di onorarlo nel modo migliore, e cioè riproponendo "alcuni tra i filoni più innovativi e fecondi" del suo pensiero e della sua elaborazione. Sono certo che grazie alla scelta di temi particolarmente attuali e stimolanti il vostro dibattito offrirà contributi importanti.

Trovo dunque nell'approccio di questo Convegno una piena corrispondenza con l'esigenza che posi il 9 maggio scorso nel celebrare per la prima volta il "Giorno della memoria" dedicato alle vittime del terrorismo, tra le quali persone splendide alla cui memoria rinnovo il mio omaggio e i cui familiari ho potuto incontrare di nuovo qui: Emanuele Petri, Roberto Ruffilli, Walter Tobagi, Ezio Tarantelli.

Posi un anno fa l'esigenza che tutti gli uomini cui il "Giorno della memoria" è dedicato "siano ricordati non solo come vittime, ma come persone, che hanno vissuto, hanno avuto i loro affetti, il loro lavoro, il loro posto nella società, prima di cadere per mano criminale".

Così Marco Biagi è ricordato per il suo percorso di vita, rimasto impresso in modo incancellabile nel sentimento della moglie, dei figli e dei famigliari e scandito da un impegno scientifico e civile che continua a dare frutti per il suo e nostro paese.

E fu quell'impegno che il terrorismo delle Brigate Rosse volle colpire. Perché tra i tanti che furono uccisi o gravemente feriti - e che ricordiamo tutti, nomi illustri e oscuri, con eguale commosso rispetto e rimpianto - vi furono uomini colpiti ciecamente, spesso come astratti simboli dello Stato nemico che si presumeva di abbattere, o, perfino, casualmente coinvolti nella furia sanguinaria di quei "gruppi di fuoco".

Ma Marco Biagi e come lui altri che qui sono stati ricordati furono scelti come bersagli precisi per quel che concretamente erano e facevano, e per il meditato, sinistro messaggio che colpendoli a morte si voleva dare.

Bersagli precisi in quanto figure di intellettuali, di docenti, di studiosi, di prezioso sapere specialistico e di profonda passione democratica, decisi a dare il loro contributo alla crescita di una nuova e più giusta convivenza sociale.

Erano uomini che intesero porsi al servizio, non di una qualsiasi, pur legittima causa di partito, ma dello Stato democratico, delle sue istituzioni rappresentative - governo e Parlamento - al di là dell'alternarsi delle maggioranze e degli indirizzi politici.

Questo era lo scandalo intollerabile per l'estremismo politico e ideologico sfociato nel terrorismo: che persone disinteressate, dedicate interamente alla ricerca e all'insegnamento, potessero impegnarsi a prestare le loro competenze e il loro ingegno alla ricerca di soluzioni valide per i problemi del lavoro, non esitando a "contaminarsi" con l'esercizio di responsabilità di governo.

Questo era il filo che nella logica delle Brigate Rosse andava troncato: quello era il messaggio intimidatorio che bisognava dare spezzando le vite di Ezio Tarantelli, di Massimo D'Antona, di Marco Biagi, espostisi generosamente sul fronte dell'elaborazione di nuove politiche del lavoro.

Ma né la prima né la seconda di quelle vite spezzate e il messaggio di morte così lanciato, hanno trattenuto chi, come Marco Biagi, sentiva di non potersi piegare, di non poter farsi fermare dalla minaccia, di non poter rinunciare a rendere i servigi che erano in grado di rendere al mondo del lavoro e allo Stato democratico.

E' qui il senso e il coraggio della scelta che è costata la vita all'uomo che oggi ricordiamo e onoriamo. E di qui deve partire il nostro appello perché dalla società civile, dal mondo della cultura e dell'Università, dall'intellettualità operante in diversi campi del sapere, venga l'impegno, venga il contributo attivo di cui lo Stato e la comunità nazionale hanno bisogno.

Non posso però concludere questa mia riflessione, senza tornare su un aspetto cruciale, e particolarmente doloroso, della vicenda di Marco Biagi. Egli è stato vittima della criminale aggressività del terrorismo brigatista, ma ha pagato anche, e prima, per lo spirito di fazione che da tempo avvelena la lotta politica e sociale nel nostro paese.

Uno spirito di fazione che impedisce ogni riconoscimento obbiettivo del valore di ricerche e di proposte come quelle portate avanti da Marco Biagi, con lo stesso disinteresse e spirito costruttivo, con la stessa indipendenza di giudizio, in due diverse fasi politiche.

Uno spirito di fazione che impedisce di vedere e apprezzare gli elementi di continuità che si possono presentare in un campo dell'azione di governo e parlamentare come quello delle politiche del lavoro.

E invece sarebbe necessario uno sforzo comune - cui nessuna delle parti in causa si sottragga - per riconoscere e coltivare questi elementi di continuità e le possibilità di convergenza che vi si legano - pur in una corretta dialettica tra diversi ed opposti schieramenti politici - di fronte a problemi ancora attuali e nuovi, come quelli che Marco Biagi ha affrontato suggerendo lungimiranti ipotesi di soluzione e prospettive di sviluppo, e dunque come quelli che state per affrontare nel Convegno a lui dedicato.

Il punto di riferimento e d'incontro dovrebbe consistere nella consapevolezza, da diffondere finalmente nel mondo del lavoro, dell'esigenza di uscire da logiche puramente difensive, di non farsi guidare da vecchi riflessi di arroccamento attorno a visioni e conquiste del passato, rispetto a mutamenti obiettivi innegabili e a scelte ineludibili di riequilibrio e rinnovamento nel sistema delle garanzie e delle tutele, a favore, soprattutto, dei meno protetti.

Procedere in questo senso, liberarsi dallo spirito di fazione, significherebbe dare quel segno di maturità della nostra vita democratica che da troppo tempo si attende.