7 maggio - Salceda

07.05.2013 20:21
Categoria: In Cammino Parlando di Scuola

7 maggio
Da O Coto (Melide) a Salceda

Penultima tappa. Ci risveglia una pioggerella insistente che ci perseguiterà tutta la giornata. Colazione nella bella casa rurale restaurata e arredata con garbo.

Ricorderemo di questa casa anche la cena di ieri sera, intensa per la cordialità dei gestori, la qualità del coniglio alla gallega e dei sapori del territorio che ti fa sentire “come a casa” anche se sei lontano. Dal cuoco sappiamo che la Juve ha vinto lo scudetto, tra noi qualcuno ride qualcuno no. Il cuoco tifa per l’Atletico Madrid e parla del Real Madrid come un torinista fa della squadra concittadina.

Nel bar esterno, sul cortile, quattro contadini bruciati dal sole giocano ad una specie di tresette con carte che sembrano napoletane. Casa Somoza a O Coto: indirizzo geografico ma anche sentimentale da non dimenticare.

Partiamo alle 7.30. Percorriamo 35 chilometri di sentieri in mezzo ai boschi, con pochi paesi attraversati e molte fattorie sparse lungo il cammino. La via è meno faticosa di ieri, ma ormai la fatica accumulata in 32 giorni di camminata si fa sentire anche nella testa (ma a pensare alla strada fatta non ci crederemmo).

In questo Camino pre-finale incontriamo gente interessante, che diventa un leit motiv per ricordare i tanti che abbiamo trovato in questi ormai quasi 800 chilometri. Quali compagni di viaggio abbiamo incontrato?

Incontriamo un italiano, di origine siciliana, abitante in Svizzera, con moglie tedesca, che percorre il Camino assieme ai suoi cinque cani, due dei quali trasportati su un carrettino: i più vecchi. Storie di curiosa emigrazione che diventa nomadismo colto e un po’ sui generis. Quale mai ragione, metafisica o terrena, ha portato un personaggio così e i suoi cani a percorrere il nostro Cammino?

Incontriamo la marchigiana Claudia con il fidanzato Lee, coreano del sud. Fanno tutti e due gli ingegneri, lavorano in Francia in un centro di ricerche. È lì che si sono incontrati e innamorati. Camminiamo insieme a loro per 5 km. Più avanti ci fermiamo a bere uno zumo (succo d’arancia) e lì ci agganciano due giovani di Barcellona che si sono trasferiti a fare i contadini in Galizia, dove interi paesi sono abbandonati. Hanno realizzato una cooperativa per l’agricoltura biologica.

L’Auberge che ci ospita stasera è la vecchia casa colonica di Miguel, un simpatico e rotondo galliego. Miguel, giunto alla sesta generazione di contadini di questo podere, ha ristrutturato la vecchia casa mantenendo pietre e ambienti ma mescolandoli con stile minimalista higt tech con molto lucido acciaio. L’architetto che l’ha riprogettata è giapponese. Come nascono commistioni così?

Ieri sera ha cenato con noi la salvatrice di ieri di Aladino, Kristina. Ha studiato e vive a New York, ma i suoi genitori sono un misto tra latino america (padre argentino) e Italia (nonna materna abruzzese). Si occupa di teatro e di tournèe di compagnie musicali dell’est USA. Naturalmente conosce l’Italia (posti non qualsiasi, Spoleto ad esempio), naturalmente vota Obama, e ha due gatti per casa. Perché è qui? Mistero.

Ricordiamo il giovane spagnolo gestore di un rifugio a Focebadon, magico paesino di montagna oggi diroccato, che abbiamo incontrato durante la nevicata che ci ha portato alla Croce di Ferro. Una casa semplicissima, molto naif, ma piena di magliette, scialli, oggetti per nulla turistici prodotti dalla sua ragazza che a vista d’occhio e di parola pensiamo sia australiana se non neozelandese.

E che dire di Beppe, giovanotto senese (contrada giraffa) che gestisce un take away di spaghetti e pizza sotto i portici della piazza di Portomarìn? Ricordiamo di lui non solo i buoni spaghetti alla carbonara, ma anche le ragioni del suo stare lungo il Cammino. Beppe si è fatto quattro Cammini di Compostela per ragioni del tutto sue, ma il quinto non l’ha finito perché si è fermato qui a lavorare. Ci racconta che l’anno scorso c’èra stata una diminuzione di pellegrini, ma quest’anno invece pare sia boom (ce ne siamo accorti). La sua spiegazione è semplice: il Camino permette un’esperienza di turismo originale che costa molto meno di 15 giorni a Fregene o a Forte dei Marmi. Insomma, non tutte le crisi (dice lui) vengono per nuocere.

Cosa lega tutte queste persone al Camino di Santiago? Cosa si lega a noi? Difficile rispondere e forse anche inutile. Sarebbe altrimenti spocchia scientista voler sempre spiegare tutto statisticamente. E ancora, quasi ormai alla fine del nostro viaggio, cosa ha dato a noi il camminare insieme a tanti, mescolando lingue e storie? Azzardiamo qui cinque prime impressioni molto a caldo, che si riflettono come sempre anche sul nostro punto di vista pedagogico.

  1. La globalizzazione antropologica è già alle spalle. E intanto noi litighiamo ancora se dare o no la cittadinanza ai bambini di genitori stranieri nati in Italia! L’incontro tra differenze rende meticcio il mondo, ed è magnifico! Ma oggi tocca sempre più fare in modo che questa globalizzazione sia davvero includente, che non aumenti le discriminazioni. Qui abbiamo sentito il senso del versetto del nostro Dante “E’ mia patria il mondo come i pesci il mare”.
  2. Il camminare a piedi ci ha restituito la lentezza, il guardare finalmente con calma, ci ha ridonato gli odori, il vento, il cibo diverso. Insomma abbiamo riscoperto il locale che mette insieme radici, tradizioni, armonia, memoria, nostalgia. Sentimenti questi che non contrastano affatto obbligatoriamente con lo sguardo globale. Ogni luogo è un topos dell’anima, ma chiuso in sé diventa provincialismo, se originario di incontri e confronti piena identità di ogni sé. Come la cena di ieri sera, così unica e locale e altrettanto così universale nelle emozioni.
  3. Gli incontri ci hanno restituito il piacere della sorpresa. Non tutto ci è già noto, gli Altri sono sempre una scoperta. Gli Altri che qui abbiamo raccontato non come macchiette, ci spalancano a un ascolto aperto e a non credere nei dejà vu. Come ci dice Proust “E’ vero che tutti i luoghi al mondo sono già conosciuti, ma dobbiamo avere occhi nuovi per rivederli”.
  4. Questi pellegrini moderni ci sembrano figli dell’alfabetizzazione e della cultura. Lo diciamo non perché abbiamo incontrato intellettualoidi, ma perché la riscoperta del Camino di Santiago nel 900 ha un tono diverso dalle migliaia di pellegrini che dal medioevo hanno percorso queste strade. Ci sentiamo ovviamente eredi di chi prima di noi è stato qui, ma non c’è dubbio che la cultura in queste strade oggi non è un sovrappiù, ma aiuta a comprendere, a sentirsi parte di storie e di luoghi se abbiamo note in noi le strutture fondamentali. Siamo con loro viaggiatori, non turisti!
  5. A proposito di storie e storia, ricordiamo anche che questo Cammino è nato sull’onda della riconquista medievale europea dai moriscos (i mori islamici), che non tutto qui rimanda a segni di pace. Ancora di più quindi, l’incontro odierno su queste strade di tante culture, lingue e vissuti ci pare segnare una comunione umana che va oltre tutti gli antichi confini e pregiudizi. Oltre i quali, ogni segno, ogni scopo del viaggio, ogni meta abbraccia tutti gli umani nella ricerca di senso, individuale e collettiva. Cioè di quella cosa molto più importante delle discipline scolastiche separate, dell’epistemologia divisiva, della gerarchia dei saperi, che spesso nel nostro fare scuola riempie stanche ore di lezione. Pronti a cenare con una grigliata di carne galliega, umilmente ci vien da dire che qui sentiamo tra di noi emergere il senso dei sensi, cioè quella sana e profonda ermeneutica che la contemporaneità frenetica pare spesso aver perduto.