3 maggio - Triacastela

03.05.2013 19:23
Categoria: In Cammino Parlando di Scuola

3 maggio

Da O Cebreiro a Triacastela

È una tappa facile. Per tale motivo indugiamo a O Cebreiro. È affascinante anche alla mattina. In basso le valli sono coperte da nubi e la visione è aerea. Fa freddo e tira vento. Prima di partire un ultimo sguardo alla semplice chiesa che ieri sera, al nostro arrivo, abbiamo visitato. Scendiamo dolcemente e la prima parte è tutta un saliscendi con delle salite brevi ma impegnative.

Poi 13 km di discesa dove incontriamo tanti amici. Per tre km camminiamo con un’amica americana che lavora in una compagnia teatrale di New York. Poi incontriamo l’amica di San Paolo di 70 anni che cammina come una giovincella assieme alla figlia agente immobiliarista in Florida. Troviamo Chiara, la romana che è sempre piena d’energie e madre e figlia da Treviso. Con loro avevamo condiviso la cena a O Cebreiro. A fine discesa arriviamo a Triacastela simpatico e tranquillo borgo galiziano.

Oggi abbiamo parlato di frontiere. I nostri Istituti sono luoghi di “frontiera”. Che significato simbolico dare al termine frontiera? Il concetto di “frontiera” affascina o impaurisce. Vari sono i significati che ciascuno di noi potrebbe dare al termine: avventura, eccitazione, onore, energia, oppure, in modo contrapposto, paura, difesa, dolore, distruzione, attacco, risparmio di energia.

Forzando la metafora possiamo legare la frontiera che impaurisce alle culture europee. Le frontiere, nell’immaginario culturale europeo, sono legate ai monti che segnano confini, da fiumi che determinano i territori, oltre ai quali ci sono gli stranieri, i barbari, i nemici. Le frontiere, per secoli, nella tradizionale cultura europea, sono state vissute come dogane, luoghi del dazio, ostacoli alla comunicazione e allo scambio di merci e di idee. Questo tipo di frontiera impaurisce chi sta oltre, ma rassicura, salva, difende, reprime chi sta dentro la frontiera.

Lo scenario della frontiera come avventura, energia e sfida è più vicino alla cultura d’oltre oceano: oltre la frontiera non c’è tout-cour un nemico, ma potenzialmente un nuovo Eden, nuove possibilità e ricchezza, c’è un territorio nuovo da conoscere, un’avventura da vivere, delle possibilità da realizzare, la valorizzazione delle potenzialità. Nella cultura americana la frontiera viene vissuta come sfida personale: lancio il mio cuore e la mia intelligenza verso Ovest. Nel mettersi in viaggio, nella direzione del calare del sole, c’è la sensazione del pericolo legato alla grandiosità dell’avventura, ma anche consapevolezza che il successo dell’avventura dipenderà molto dalle singole capacità e competenze di colui che si mette in viaggio.

Ovviamente, come sempre, quando si riflette e si cerca di comunicare tali riflessioni, si operano delle semplificazioni ingenue della realtà, con rischi facilmente riconoscibili e di ciò ci scusiamo.

Nel nostro mondo scolastico qualora pensassimo ai continui cambiamenti e all’attuazione dell’autonomia come situazione negativa, frustrante, pericolosa per il patrimonio di valori della nostra scuola, probabilmente aderiremmo alla metafora della frontiera europea: chiusa, sicura, ma tendenzialmente repressiva. Nel caso in cui il cambiamento portato dall’autonomia lo vivessimo come sfida per le nostre capacità e competenze, come mezzo per sperimentare e aumentare la nostra soggettività nel contesto organizzativo, vivremmo la scuola come ”frontiera” nell’accezione americana.

La metafora  ci permette di analizzare tre idee di frontiera (oggi vi raccontiamo le “pensate” sulla prima delle tre idee) che possono interessare la scuola vissuta alternativamente come avventura, rischio, potere soggettivo e gruppale (frontiera aperta) oppure come battaglia all’ultimo sangue per la difesa di una scuola ferma e vecchia, priva di rinnovamento (frontiera chiusa).

1ª frontiera: scuola della scarsità (frontiera chiusa) o scuola dell’abbondanza (frontiera aperta)

Un tempo, fino agli anni ‘50, la scuola era, essenzialmente, una risorsa scarsa. Non era la scuola di tutti e per tutti (pensiamo alla sc. media). A quel tempo il problema “forte” era la lotta all’analfabetismo e la necessità di rendere abbondante la risorsa degli edifici scolastici. Due erano, a quel tempo, le sfide: scardinare una cultura elitaria di scuola, far sorgere una scuola sotto ogni campanile.

Per quanto riguarda la prima sfida non è possibile dimenticare il contributo fondamentale di don Milani. La seconda sfida trova un alleato nella congiuntura economica di quegli anni. Oggi non lottiamo più contro l’analfabetismo di base, casomai con l’analfabetismo di ritorno e la dispersione scolastica, ma sono altre importanti faccende. Oggi viviamo l’abbondanza del servizio educativo con un gioco significativo e interessante tra pubblico e privato.

Il problema, a nostro avviso, è questo: saper leggere, saper approfittare, saper organizzare l’abbondanza formativa.

La scuola dell’abbondanza (obiettivo della scuola autonoma) è la scuola che sa cosa proporre, che ha fatto delle precise scelte legate allo sviluppo di competenze specifiche del ragazzo e dimostra serietà professionale a tutti i livelli dell’organizzazione. Nelle nostre scuole, molte volte, (frontiera chiusa) c’è la paura di chiedersi ciò che vuole l’utente, il genitore. Non ci si lascia sfidare dai nuovi studi sull’apprendimento cognitivo ed emotivo, si insegna come c’è stato insegnato e non si veste i panni dell’insegnante che ricerca. Si continuerà, nelle scuole che abbracceranno la metafora della frontiera chiusa, a praticare i soliti stili d’insegnamento, la solita scansione dei tempi e delle discipline.

Nel concetto di frontiera aperta si rischia: si trovano, si creano, si inventano percorsi nuovi e poiché, oltre la frontiera, ci sono molti rischi ed incognite, i pionieri si riuniscono in carovane, si aiutano condividendo competenze, aggiustano insieme la ruota del carro che si è rotta, sono leali tra loro e non corporativi, competitivi si, ma senza ammazzare l’altro.

Nella scuola dell’abbondanza delle offerte formative, nella scuola dell’autonomia gli operatori scolastici (i pionieri) imparano a lavorare in gruppo, sanno inventarsi e realizzare progetti didattici, si scambiano informazioni, competenze, materiale, usano la “flessibilità didattica”. Quale l’alternativa? Ritornare alla scuola della scarsità dove non c’è spazio per l’attenzione ai soggetti, non c’è spazio per la formazione ma si pratica la mera “l’istruzione”, non c’è sviluppo dell’intelligenza personale ed interpersonale. Nella scuola della qualità, dell’abbondanza formativa non si rischia di morire senza sogni e speranze e quindi di noia quotidiana.