29 aprile - Rabanal del Camino

29.04.2013 17:08
Categoria: In Cammino Parlando di Scuola

29 aprile Da Astorga a Rabanal del Camino

Siamo partiti da Astorga con gli occhi pieni della bellezza della città. Comincia subito la salita che mette a dura prova la preparazione di Raffaele. Se la cava e arriva a fine tappa con vigore. Ci deve dar ragione: anche se si fatica il corpo richiede liquidi più che cibo. Pensava e si preoccupava che durante la camminata ci fossero dei punti di ristoro. Si è accorto che basta fermarsi ogni ora a bere un po' di zumo (succo) d'arancia e si porta tranquillamente in porto la tappa.

Abbiamo attraversato la Navarra e stiamo lasciando la Castiglia y Leon per entrare nella Galizia. Mancano oramai solo 220 km. Pancrazio ha steso degli appunti rispetto alla geografia del territorio che abbiamo finora percorso. Tutti noi riteniamo interessante il suo scritto e vorremmo proporvelo. Domani ci aspetta una tappa molto impegnativa in montagna, speriamo di avere la necessaria forza fisica.

“Mi sono fermato a fotografare sequenze continue di campi coltivati. Avevo fatto così anche in Navarra, con il ripetersi, senza fine, di vigneti tenuti molto bassi. Viti forti, vigorose, quasi come ulivi millenari. Saresti tentato di metterti dalla parte della vite immaginando lei - che voleva crescere alta e cercare il sole - sconfitta dalla tenacia del contadino che, ripetendo gesti di secoli, le ha imposto di rimanere più vicino alla terra per sfruttarne al massimo il calore. Tocca al contadino, non alla vite, competere con il sole e la latitudine. Non posso non pensare alle altre forme di costruzione della vite: nel morbido Valdobbiadene; nell’assolata e petrosa Puglia; nelle vulcaniche terre dell’aglianico o al sole accecante dei vigneti della Sicilia che respira l’Africa da vicino.  Ho appena fotografato un trattore che si inerpicava contro il cielo tra il disegno verticale dei campi. Qui si può verificare, nella dimensione più massiccia che mi sia mai capitato di vedere, come i contadini siano i più significativi artefici di land art, peraltro in una dimensione spaziale sconosciuta anche ai più grandi artisti del campo (mi viene in mente l'americano Christo). Questa constatazione rende visibile e significativa la definizione di paesaggio come luogo di materializzazione del lavoro dell’uomo.  

Volendo documentare adeguatamente il cammino di Santiago  si dovrebbero impiegare almeno tre mesi. Non sarebbe una cattiva idea perché qui si sperimenta in concreto, con mille verifiche, l’osservare che va oltre il vedere. Lo consentono i tempi lenti, il passo, il camminare non competitivo. E allora le cose le vedi, non le scorgi, non ne hai solo un’impressione. Hai la percezione il più possibile prossima alla realtà anche se ogni interpretazione è sempre lettura dal proprio punto di vista; che affiora dal tuo background. Vale anche per la fotografia che non è assolutamente neutra: segui il tuo pensiero, servendoti di uno strumento per fissarlo. È persino un imbroglio, se così si può dire, perché seleziona un pezzo della realtà che si accorda, con-sona, suona insieme ai pensieri che hai costruito, nel tempo, e che ti porti dentro, che fanno parte delle caratteristiche del tuo Dna esistenziale. Insomma dell’esperienza. Altrimenti che senso avrebbe l’aver cercato di proporre agli insegnanti, negli anni, la definizione di creatività come messa in ordine dell’esperienza?

L’audience, purtroppo, era forte nell’immediato ma scompariva presto quando occorreva sperimentare la definizione nella concretezza del quotidiano didattico. Forse era insufficiente il coraggio e il rischio di praticare il mestiere di maestro, preferendo la tutela di schemi collaudati, privando gli alunni del rifornimento di curiosità che li facesse essere in costante formazione anche fuori dell’aula e del tempo delle lezioni. Meglio, allora, la rassicurante opzione della scuola del dire piuttosto che quella del fare, che ti obbliga a misurarti con il dubbio. Poco importa se è esso artefice della conoscenza e, praticato, dà piacere e valore agli alunni e anche agli insegnanti! Ma è dura a morire l’idea dell’apprendere come sofferenza. Avevo interrotto la conversazione con Aladino e Dante per attardarmi a scattare delle foto. Ora cerco faticosamente di recuperare il distacco che mi separa da loro ma esso continua a crescere perché, intanto, mi fermo ancora. È un magico momento di luce. Ognuno fa il suo cammino ed è giusto che sia così perché la strada è lunga. Sarebbe una follia, non consona al senso del Camino, marciare tutti di conserva come un plotone di militari: soluzione impraticabile e idiota. E poi si incontrano gli altri pellegrini che superi e ti superano e ogni volta ci si saluta, ripetutamente. È una concreta ricerca dell’identità come somma delle diversità”.

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Cari amici pellegrini, tra il materiale che siamo intenti a mettere in ordine per il nostro imminente congresso nazionale, troviamo alcune frasi del pezzo inviatoci da Brunetto Salvarani che ben si collegano alla parte finale delle vostre riflessioni odierne. Eccole:

"Rispetto alle città interculturali, che saranno altre dalle nostre attuali città, ognuno di noi (autoctoni e immigrati) è straniero, straniero a se stesso (J.Kristeva). E ognuno è chiamato a farsi pellegrino della mondialità, e a mettersi in viaggio verso un nuovo spazio comune dove tutti, a partire dalle proprie identità, possano sentirsi a casa e nessuno sia ospite/straniero/estraneo. Solo così saranno ricostruiti i legami sociali e la solidarietà che tengono assieme la vita delle/nelle città. Per farlo, occorre attrezzarsi al dialogo, all’incontro, alla mediazione e alla continua ri-negoziazione di vissuti e significati. Non si tratta di fondere i propri orizzonti in un sincretismo omogeneizzante o nell’universo simbolico del più forte, ma di costruire assieme un nuovo linguaggio plurale e dialogico. Un linguaggio (finalmente) interculturale".

Buon cammino!
Gli amici della Cisl Scuola