2 maggio - O Cebreiro

02.05.2013 22:28
Categoria: In Cammino Parlando di Scuola

2 maggio

Da Villafranca del Bierzo a O Cebreiro

Questa volta partiamo dall’arrivo: O Cebreiro è un “luogo dell’anima pellegrina”. A 1300 metri di quota il passo di O Cebreiro segna il confine tra la Castiglia e la Galizia. Sul crinale arrivano da ovest venti già atlantici, Santiago è solo a 151 chilometri. Il paese è di una incantevole sobrietà: antiche casette in pietra viva, le pallozas (case di pastori con il tetto in paglia). Due negozietti un po’ troppo turistici diffondono musica celtica, che non stona. E’ un punto magico del Camino: ci sono passati i Franchi, nell’antica romanica chiesa dell’XI secolo hanno predicato i monaci di Cluny, poi i Benedettini, oggi i Cappuccini. Incrocio ineguagliabile d’Europa e della sua storia.

Il paesaggio è verdissimo e immenso. Qui sentiamo il gentile peso delle migliaia di umani che per secoli hanno varcato questo colle, delle tante lingue, desideri, speranze, storie che si sono incrociate tra loro. Qui anche il sapore intenso dell’andare ha un suo significato profondo. Fa pensare a Celestine Freinet e alla sua frase (centrale in educazione “l’Importante non è dove si arriva, ma il percorso che si è fatto”. Ora che manca poco a Santiago sentiamo il desiderio di arrivarci e anche la nostalgia del percorso fatto. Voltarsi indietro e guardare avanti è un tutt’uno.

In questo villaggio di pastori è sepolto con tutti gli onori Elias Valigna, parroco isolato fra i monti (un don Milani sui generis), che negli anni '70 riscoprì e rilanciò il Camino de Compostela, segnando con le oggi celebri frecce gialle tutto il percorso, da Roncisvalle a Santiago. La chiesa ricorda anche un celebre miracolo del XIV secolo con la trasmutazione del pane e del vino della messa in carne e sangue (analogo fenomeno, racconta Dante, è avvenuto a Lanciano). Un magnifico calice medioevale e reliquie ricordano fedi e passioni secolari. La semplicità del luogo è la sua sacra grandezza.

Ma il cammino da stamattina, per otto ore, è stato molto duro, dai 500 metri di Villafranca un continuo salire tra gole aspre e poi boschi e prati. La via è lussureggiante di verde e di colori intensi dei tanti cespugli ormai fioriti. Giallo, viola, bianchi brillanti. Ma quanta fatica!

Ed è della fatica, anche nei momenti di doveroso silenzio per tirare il fiato, che ci sono venute parole del nostro andare pedagogico. Viene spontaneo, davanti alla nostra “voluta” fatica, pensare a chi invece la “fatica del vivere” se la porta addosso ogni giorno. Ci viene quindi naturale pensare a tutti coloro che convivono con la loro disabilità. Il camminare pensando insieme e per loro non ci porta però ad atteggiamenti di pena, né di buonismo dolciastro.

L’integrazione scolastica delle persone con disabilità, di cui la nostra Italia è orgogliosa, non ha nulla a che fare con la bontà. E’ invece riconoscere ad ognuno il proprio cammino, la propria fatica, sapendola mescolare agli altri, condividendola, sopportando meglio tutti insieme il piccolo pezzo di fatica che costa ad ognuno crescere, andare, arrivare, ripartire. Tutti insieme, come in questo Camino.

La lezione che la fatica insegna nei nostri muscoli ci attiva pensieri sulla disabilità che spesso sfuggono alla nostra attenzione. Si è portati, per esempio, più facilmente alla pena o all’assistenzialismo davanti alla disabilità, piuttosto che riconoscere e valorizzare una forza che spesso i nostri ragazzi disabili possiedono in abbondanza e che troppo spesso non valorizziamo. Si chiama resilienza. L’abbiamo vissuta oggi dentro di noi e proprio per questo possiamo parlarne in diretta.

Si chiama resilienza una dote psicologica presente molto spesso nei bambini che avrebbero invece per destino “disabilità” o “svantaggi”. Nei bambini è più forte che negli adulti la capacità di reagire positivamente a situazioni traumatiche che per la loro gravità sembrerebbero pregiudicare il benessere e lo stato di salute psico-fisico. È un ambito di studio ancora poco esplorato, di cui si comincia a discutere nei nostri sistemi formativi.

La resilienza è uno strano miracolo, scatta in molti bambini con una capacità di reagire inattesa, con una voglia di essere protagonisti, non assistiti. Spesso gli adulti sono invece travolti dall’ideologia della “ferita permanente” e non riescono ad interpretare e valorizzare questa forza interiore dei nostri ragazzi disabili. La resilienza, se promossa, è un’eccellente base di partenza per uscire dalla rassegnazione, dalla pietà, e costruire un futuro più ottimistico. Insomma fare più cammino, sapendo fare delle nostre fatiche la nostra forza. Come ci è avvenuto oggi per strada. Come fanno ogni giorno bambini e ragazzi non arresi alla sconfitta, non passivi ricevitori di beneficenza, ma creativi vogliosi di destino.

La resilienza, se malgovernata, può diventare aggressività e devianza, ma se valorizzata e compresa è una fertilissima proposta di lavoro psicologico e pedagogica di buon futuro.

Siamo debitori a Boris Cyrulnik della parola e degli studi sulla resilienza. Boris si è fatto Auschwitz da bambino ebreo, e ne è uscito solo al mondo, chiedendosi cosa sarebbe stato di lui. E scoprendo invece entro di sé la forza di resistere. Chyrulnik è oggi un celebre psicologo, naturalizzato francese, e dalla sua storia sono nati studi e riflessioni di grande spessore per tutte le fatiche del mondo.

A proposito delle fatiche educative, solleviamo non pochi dubbi contro questa epoca così salutista e iatrogena (la medicina che ammala), epoca che spesso “inventa malattie” e spaccia “medicine” (chimiche, psicologiche, scolastiche) per ogni più piccolo dolore. Così si chiudono le persone dentro “sintomi” che isolano dall’insieme (si veda il dilagare dei DSA e BES come nuovo isolamento dagli altri).

Una risposta invece resiliente alle tante umane difficoltà - con approccio più unitario e comunitario della persona (che non è fatta di sintomi ma di molte cose complesse integrate insieme) - renderebbe meno rischiosa un’epoca della scuola che sembra creare “isolazione” e non “integrazione”. La resilienza come condivisione del pane quotidiano della fatica di ognuno, spezzato insieme, ognuno con la sua forza, è la vera e utile integrazione.

Lavorare sulla resilienza ha sorprendenti potenzialità, in connessione con tutte le discipline: psicologia, medicina, pedagogia speciale, nell’integrazione della disabilità, nella clinica e nella terapia, nei piccoli e grandi traumi che si devono affrontare lungo il corso dell’esistenza (morte, separazioni, incidenti, guerra, catastrofi naturali, abusi, maltrattamenti).

Partire dalla resilienza dei bambini, piuttosto che dalla pietà, dalla falsa tenerezza, dallo specialismo isolante, dall’assistenzialismo, dalla medicina miracolosa, è una via strategicamente decisiva, per andare oltre la paura e il dolore.

Avevamo tante cose da raccontare visto che, per la seconda volta abbiamo fatto i giovincelli (due tappe in una, 30 km), ma ora andiamo a festeggiare Raffaele e i suoi 61 anni. Non solo. Oggi Dante festeggia l’anniversario del suo matrimonio, il compleanno della sua prima figlia nonché l’arrivo (questa mattina non credeva di farcela) alla temuta e sospirata vetta del O Cebreiro.

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Cari colleghi pellegrini,
sono un fresco pensionato, settembre 2012, dopo quarantadue anni di scuola di cui 28 da preside a Rimini. Forse Aladino si ricorda, anche se il suo servizio a Rimini è stato purtroppo molto breve. Seguo il vostro viaggio. A saperlo sarei venuto con voi. Non c'è nulla di meglio nella vita che camminare in compagnia pensando e ragionando.
Per me la scuola questo è stata: un lungo percorso assieme a tante persone desiderose, pur con intensità diseguale, di pensare e ragionare aiutando i giovani a farlo. Se avete voglia e tempo, in fb, nella pagina "Corrispondenze dalla scuola reale" trovate il link per due volumi che raccontano alcune esperienze, molte di ambito letterario, realizzate presso il liceo scientifico "A. Einstein" da me diretto per vent'anni. Buona lettura e buon cammino.

Giuseppe Prosperi