V. Andreoli - L'educazione (im)possibile. Orientarsi in una società senza padri.

17.06.2014 14:53
Categoria: LETTURE ESTIVE

Premessa
Educazione e educare sono ormai parole vuote, ridotte a recipienti destinati a contenere qualsiasi cosa: oggetti ancora buoni, e poi tanti rifiuti.
Eppure risuonano come fossero parole sacre.
Mi ricordano il folle della Gaia scienza di Friedrich Nietzsche, che gira per il mercato gridando: «Dio è morto, noi l'abbiamo ucciso, io e voi».
Dio non può morire, ma è come non esistesse affatto.
Educazione: un termine di grande lignaggio, che ora è morto ma continua a essere nominato come si fa anche per le persone care che non ci sono più. Ci si aggira alla ricerca di segni per farle rivivere, evocarle, anche se sono ridotte a spettri, quegli spettri che Amleto scorgeva tra la nebbia della propria mente e con cui farneticava. Ora vedeva delle persone, dopo un poco un'altra cosa. «Come posso fare il padre con mio figlio che mi sfugge navigando per il nuovo mondo di Internet che io a malapena conosco?»
«Sono terrorizzata dall'idea che mia figlia possa buttare il proprio corpo alle ortiche, perdersi sotto i miei occhi che però non vedono. Lei non parla, è muta di fronte anche alla mia angoscia.» «Non so se essere severo di fronte ai comportamenti di mio figlio che mi si presenta nelle vesti di un nemico. Cosa mi suggerisce di fare?».
Educare vuol dire insegnare a vivere in un mondo così vasto, così mutevole da ridursi a mistero. Educare un figlio misterioso a vivere dentro un mondo incomprensibile. E intanto ascolto gli adolescenti, figli dei genitori smarriti che mi chiedono che fare, li vedo anche se non mi chiamano, anche se la loro voce è afona. Mi pare che vogliano dirmi di essere stanchi di un padre che urla, di una madre che piange. Vorrebbero essere senza padre, quando ce l'hanno, e quando è lontano o non c'è, lo sognano.
Padre e figlio, una combinazione impronunciabile, la e che unisce è diventata una o di opposizione: padre o figlio.
Nella famiglia domina il principio della lotta e, nel migliore dei casi, non si spara e si cerca la via di un armistizio: dalla guerra calda, quella della violenza, alla guerra fredda.
«Come posso insegnare l'algebra in mezzo al rumore di una classe che ritiene la mia materia un'inutile decorazione per il tempo presente? Come faccio a punire, quando sento che questo atteggiamento incita una opposizione ancora maggiore? Vengo a scuola e sono avvolto dalla paura dei miei stessi allievi. Mi fanno paura.»
La mia mente è bombardata da queste domande a cui non so dare una risposta. Quando mi pare di poter sostenere con chiarezza una posizione, poco dopo sono preso dal dubbio che la mia visione sia legata a un passato. Un passato che rimanda solo a un anno fa, eppure è roba defunta, arcaica.
Ho iniziato a scrivere queste pagine partendo dal dubbio, per dare un senso all'educazione, per salvare questa parola dall'oblio e dalla banalità.
La banalità dei significati.
E ho sognato che l'educazione, che oggi mi appare impossibile, possa diventare possibile.
Scrivendo ho capito che per questa metamorfosi non basta un professore, serve un'intera società, una società che abbia la forza di cambiare rotta. Io e ciascuno di voi.
Intanto io tento di fare la mia parte, con passione.

Vittorino Andreoli
L’educazione (im)possibile. Orientarsi in una società senza padri
Rizzoli, 2014, pagg. 212