S. Weil - L’amicizia pura

17.06.2014 15:59
Categoria: LETTURE ESTIVE

Introduzione
L'amicizia pura

Dalla nave che si appresta a fare scalo a Casablanca, prima di proseguire per l'America, Simone Weil scrive agli amici appena lasciati a Marsiglia parole colme di sentimenti contrastanti, intrise di nostalgia, di struggente lacerazione. Sigilla, con lettere destinate a restare memorabili, il rapporto privilegiato stretto con il padre Joseph-Marie Perrin, con Gustave Thibon, Joé Bousquet e Antonio Atarés, amici capaci di vera attenzione ai quali ha fatto le confidenze più segrete e affidato i pensieri venuti, per grazia, a posarsi in lei.
Di aver trovato nella città mediterranea un rifugio, una patria dello spirito in tempo di guerra, era già consapevole dopo meno di un anno di permanenza, quando annotava sul libro d'oro della piccola Frangoise, figlia dei coniugi Ballard, queste parole: «Perché i suoi genitori conservino una traccia del passaggio di qualcuno che per merito loro si sentiva bene a Marsiglia, quando tanta gente vi si sentiva esiliata».
Senza sottrarsi alla tragedia della guerra, a Marsiglia e nel sud della Francia ha vissuto un periodo di tregua, di serenità pensosa, di straordinaria creatività, un arresto del tempo che le ha permesso di fruire dei giorni con maggior pienezza, prima di avviarsi a realizzare la vocazione che le imponeva di assumere su di sé una parte di sventura conforme al dramma del momento. Lì ha ritrovato vecchi amici e ha stretto nuove amicizie, decisive per la sua evoluzione spirituale; lì ha realizzato, almeno in parte, con una radicalità purificata dalle asprezze giovanili, un ideale di amicizia su cui aveva preso a riflettere già nel primo Quaderno, redatto a Parigi nel 1934:

È una colpa desiderare di essere capiti prima di aver chiarito se stessi ai propri occhi – significa cercare dei piaceri nell'amicizia, e non meritati – è qualcosa di più corruttore anche dell'amore. Venderesti la tua anima per l'amicizia...
Impara a respingere l'amicizia, o piuttosto il sogno dell'amicizia. Desiderare l'amicizia è una colpa grave. L'amicizia deve essere una gioia gratuita, come quelle che dona l'arte, o la vita (come le gioie estetiche). Occorre rifiutarla per essere degni di riceverla: essa appartiene all'ordine della grazia [...]. È fra le cose che sono «date in sovrappiù». Ogni sogno di amicizia merita di essere infranto. [Non è per caso che tu non sei mai stata amata...]. Desiderare di sfuggire alla solitudine è una debolezza. L'amicizia non deve guarire le pene della solitudine, ma duplicarne le gioie. L'amicizia non si cerca, non si sogna, non si desidera; si esercita (è una virtù).
O piuttosto (poiché non bisogna sfrondare in se stessi con troppo rigore) tutto ciò che, nell'amicizia, non si trasforma in scambi effettivi deve trasformarsi in pensieri riflessi. È del tutto inutile rinunciare alla virtù ispiratrice dell'amicizia. Ciò che deve essere severamente interdetto è fantasticare sui piaceri del sentimento. È una corruzione. [...] L'amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. Essa costituisce un miracolo, come il bello. E il miracolo consiste semplicemente nel fatto che essa esiste.

Ci troviamo, come si vede, di fronte a un nucleo di idee di straordinaria lucidità. Vi è l'intuizione che l'amicizia sia pura gratuità, dono, evento che irrompe nell'esistenza con la stessa misteriosa forza rigeneratrice della bellezza. Essa non va vista come antidoto alla solitudine, che deve invece essere vissuta come sorgente di ricchezza interiore, come apertura alla contemplazione. Ma l'amicizia andrebbe soprattutto affrancata dal domino dell'immaginazione, della fantasticheria, del desiderio: disposizioni d'animo che spingono all'illusione di dominare la realtà soggiogandola ai propri bisogni, in cui si esprime un sogno di potenza che impedisce di praticare la virtù purificatrice del distacco.
Vi sono già, in nuce, alcuni dei grandi temi che giungeranno a maturazione proprio negli anni di Marsiglia, in quella sosta forzata nella città degli esuli dove era naturale vivere il tempo come attesa, come sospensione, ma anche come contemplazione compassionevole delle sofferenze dei propri simili, ancor più visibili in quel «porto di mare» in cui transitavano e si intrecciavano i destini di tanti sradicati, strappati alle proprie sicurezze dalla violenza della guerra, delle discriminazioni, degli odi. Forse non vi era posto migliore per riflettere sull'amicizia, non astrattamente ma vivendola, spendendovi le proprie energie e scontandone tutte le contraddizioni, in una vibrante atmosfera di incontri, collaborazioni, condivisione di difficoltà, di problemi, di idee e di progetti.

Simone Weil
L’amicizia pura
a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito
Castelvecchi, 2013, pagg. 190