P. Scaramucci, L. Gozzini - Non complice. Storia di un obiettore. Giuseppe Gozzini

17.06.2014 15:15
Categoria: LETTURE ESTIVE

Essere minoranza
(testo dell'introduzione di Goffredo Fofi)

Della vita operosa di Beppe Gozzini non sono pochi i momenti da ricordare, ed egli stesso ce li indica negli scritti autobiografici proposti da questa raccolta. Il lettore che voglia capire, oggi, una storia che egli intuisce che lo riguarda e che è l'unica da cui è possibile ripartire verificandola nei nuovi tempi e dentro una immane mutazione, può trovare conforto e convinzione confrontandosi con la storia di altre minoranze, e di una sinistra non ideologica e settaria, non smaniosa di potere e non idolatra dello sviluppo, non soltanto preoccupata di affermare una leadership e di vincere. Si tratta, oggi come ieri, di affermare una diversità non spavalda, però mite e decisa nell'esprimere valori alti e insieme radicali e nell'attuare pratiche conseguenti, attenta al metodo perché cosciente che sono i mezzi a dar senso ai fini. Diceva Capitini dopo la seconda guerra mondiale, nell'Italia della ricostruzione, della democrazia e della Repubblica, che il limite dei comunisti era la pretesa di voler “lavare con l'acqua sporca”, ma non erano solo i comunisti a farlo, e sembrò necessario, anzi indispensabile a gruppi e persone che della democrazia e della Repubblica avevano un concetto molto esigente, nella coscienza che poco sarebbe veramente cambiato se non cambiava anche il modo di far politica, dichiarare nelle parole e soprattutto nei fatti che l'idea stessa della politica e anzitutto della sinistra riconquistassero una valenza morale, e la massima coerenza tra il dire e il fare. A quei pochi appartenne Beppe Gozzini, “militante di base”, un “persuaso” che ha cercato di stare nella Storia rifiutando la morale del più forte e cosciente che una rivoluzione sociale implica anche una rivoluzione personale.
Tre momenti mi sembrano particolarmente significativi nel suo percorso “pubblico”.
Il primo è quello, non noto quanto merita, dell'obiettore di coscienza. Beppe fu il primo obiettore di coscienza cattolico e la figura più significativa, con Pietro Pinna, di un movimento particolarmente mal visto dal potere politico e militare, in anni in cui l'esercito aveva le sue leggi e i suoi tribunali, e aveva a capo dubbi personaggi ereditati dal periodo della dittatura e responsabili di enormi disastri. La sua vicenda si lega strettamente, e non è dir poco, a quella del processo a don Milani, che aveva osato, a partire dalla vicenda di Beppe, chiamare in causa i cappellani militari e la loro finzione, il loro ruolo. Alle spalle di Beppe c'era anche l'insegnamento di un altro prete, don Primo Mazzolari, autore senza poterlo firmare di un celebre opuscolo che circolò in modo semi-clandestino nel tempo di Pio XII, Non uccidere. A Milano fu intenso e proficuo il suo legame con la Corsia dei Servi (padre Davide Turoldo, Peppino Ricca morto precocemente, e soprattutto padre Camillo De Piaz, scomparso non troppo tempo prima di Beppe e di lui molto più anziano, con cui Beppe scrisse un libro fondamentale per capire la storia della parte migliore del cattolicesimo italiano più sociale, pre e post-conciliare).
Il suo legame con gli operai — la classe da cui proveniva e a cui restò legato fino all'ultimo, anche quando aggredita sconvolta dimidiata dai nuovi tempi — lo accostò facilmente a una nuova storia o, come si diceva allora, a un nuovo “ciclo di lotte”, e gli permise di intuire le novità del “neocapitalismo” e accettare le tesi della soggettività e dell'autonomia operaia che trovarono in Raniero Panzieri, venuto dal Psi e non dal Pci, un sensato studioso, analista e divulgatore e leader dei torinesi “Quaderni rossi”. È di questi anni la nascita della nostra amicizia, confortata dal fatto di non sentirci nessuno dei due dei veri intellettuali e di venire da esperienze di base, in forme diverse ma contigue. Dopo il carcere, fu il legame coi “Quaderni rossi” (e con Edoarda Masi anzitutto), ad aprirlo a una duratura amicizia con i “Quaderni Piacentini”, con Piergiorgio Bellocchio e con Grazia Cherchi.
Il terzo momento è quello del '68, anzi, meglio, del '69. Collaboratore esterno all'Alfa come pubblicista, con un gruppo di operai fece lavoro di intervento pratico; successivamente dette vita a una rivista inventata e costruita all'interno di un gruppo di studenti, che si chiamò “Collegamenti” (nella testata, più in piccolo, il titolo non si fermava a questa parola-chiave, e continuava ambiziosamente con la dizione “internazionali per il comunismo”. Milano, l'Italia e il mondo, ma a partire dalla fabbrica).
Sappiamo tutti come quella storia è finita: lo smembrarsi del 68 in partiti e partitini e nell'insensato ritorno a Lenin; la violenza e le stragi, il terrorismo e i servizi segreti, la protervia del potere e le mani fragili e non sempre pulite della nuova sinistra; il declino della classe operaia, destinata a sconfitte e ridimensionamenti pesanti, iniziato nel momento in cui sembrava invece trionfare; la diaspora dei singoli operai e, più forte di ogni altra forza, la mutazione dell'economia secondo strade che non erano state previste: il capitalismo che divora se stesso, il trionfo della finanza. In Italia, il craxismo e il berlusconismo e la morte – il suicidio – della sinistra, sia di quella ufficiale che del poco e confuso che rimaneva in piedi dell'altra.
Beppe, in tutto questo, è stato uno dei pochi che hanno saputo reagire con coerenza e con rigore, grazie a una morale personale saldissima e a riferimenti etici basilari. Del tutto insensibile alle lusinghe del narcisismo e a quelle del potere i due più forti nemici dei leader e leaderini del '68 – ha saputo tener fronte ai nuovi tempi senza sbandamenti e senza mai sentirsi un reduce, senza mentirsi e senza mentire e facendo quel che era giusto e possibile continuare nella convinzione che i tempi sarebbero di nuovo cambiati e le occasioni per nuove responsabilità non sarebbero mancate, in linea con i propri principi ma adeguate a nuove (antiche) realtà, a nuovi (antichi) bisogni. Mai dalla parte dei potenti, dei padroni vecchi e nuovi, delle loro recite politiche e della loro palese o nascosta violenza, della loro capacità di corrompere. C'è voluta la malattia, per domarlo.
Di militanti come Beppe Gozzini, “persuasi” estranei a ogni tentazione narcisistica e divistica e coerenti nella loro assunzione di responsabilità e nella continua ricerca di un legame tra idee e azioni, tra teoria e pratica, ho avuto la fortuna di conoscerne. Pochi, ma non pochissimi. E sono convinto che confrontarsi con queste figure e farle conoscere sia un modo di perpetuarne il modello, un passaggio di testimone che può, oltre al resto, aiutare i nuovi “persuasi” a sentirsi meno soli, più forti.


Piero Scaramucci e Letizia Gozzini (a cura di)
Non complice. Storia di un obiettore
Giuseppe Gozzini
Edizioni dell'Asino, 2014, pagg. 244