M. G. Dutto - Acqua alle funi. Per una ripartenza della scuola italiana

17.06.2014 15:04
Categoria: LETTURE ESTIVE

Introduzione
La ripartenza

La scuola è questione di tutti: l'educazione tocca le diverse età e determina la qualità della vita. All'immagine collettiva della scuola concorrono i servizi televisivi e i titoli dei giornali, le conversazioni in treno e i libri letti, le discussioni ascoltate, le espressioni di protesta così come le riflessioni dei filosofi, gli interessi dei lavoratori della scuola, i programmi dei leader politici, le voci dissonanti della critica. E anche le esperienze di genitori preoccupati, indifferenti o tranquilli e di studenti impauriti, disinteressati o soddisfatti. Andare a scuola, tuttavia, non ha lo stesso significato per ciascuno. Ogni cento italiani adulti, meno della metà ha fatto le superiori. Ogni cento studenti al primo anno di un istituto professionale, solo cinquanta concludono il quinquennio. Ogni cento studenti arrivati al termine dei primi otto anni di scuola, poco più della metà è preparata per le tappe successive; per gli altri sono attesi disagi e illusioni. Per molti studenti il titolo universitario è ancora una distinzione rispetto ai genitori; altri, al contrario, non raggiungono la laurea conquistata dai padri e dalle madri.
Riempire le scuole e le classi è da tempo un passaggio obbligato, cui nessun Paese può sottrarsi; tuttavia l'educazione per tutti, qualunque sia l'accezione dell'espressione, è ben altra impresa.
In queste pagine voglio contribuire alla ripartenza della nostra scuola, senza imboccare la strada della denuncia dissacrante o delle terapie salvifiche. Sono contrario al pessimismo di molti e non condivido l'ottimismo di altri, preferendo un approccio costruttivo e critico a un tempo.
Prendere a lavorare alacremente è un imperativo, perché alcuni traguardi sono a portata di mano, anche se il compito per la scuola è più simile a un'arrampicata in solitaria che a una marcialonga domenicale. D'altra parte non ci sono alternative. Anche il più abile freeclimber quando la parete strapiomba e non si vede la cima sa che deve proseguire; talvolta, testimoniano crodaioli esperti, è più facile proseguire che rientrare.
Diverse analisi mettono a confronto non solo i modelli strutturali delle scuole di vari Paesi, ma soprattutto i nostri studenti e i loro coetanei europei, latino-americani, asiatici o africani. La comparazione dei risultati scolastici alimenta la tentazione di prendere a prestito soluzioni e la propensione a imitare le pratiche migliori. Tuttavia, prima di chiederci da chi copiare per eliminare le carenze o duali misure trasferire nel nostro contesto, dobbiamo avere il coraggio di guardarci allo specchio, individuando quanto c'è di buono e quanto da buttare, e decidere di conseguenza. Non considerare le cose robuste che abbiamo nella nostra bisaccia e affidare la speranza del futuro solo a ricette altrui non aiuta a ripartire.
In un Paese, come il nostro, che ha fatto del particulare un principio di ispirazione per la vita sociale, culturale e politica, la realtà è fatta di microcosmi. Più che altrove, in Italia sono le scuole che compongono il sistema scolastico, non è il sistema che determina le scuole. In tempo di globalizzazione i 'campanili' sono una ricchezza da riscoprire e un moltiplicatore di energie, perché uniscono molte anime e generano un comune sentire. Va dunque rinnovato il paesaggio scolastico in modo che le individualità delle scuole esprimano una ricchezza generale. Ci sono aree del Paese e singole scuole di provata e certificata qualità; esistono distretti in cui le scuole godono di buoni standard, dalla Brianza alla Val Camonica, dalle province piemontesi al Friuli, dalle scuole venete alle tradizioni educative dell'Emilia Romagna, dalla solidità silenziosa delle Marche a isole di qualità nel Sud, dalle periferie laboriose (Brindisi, Busto Arsizio, Cuneo...) alle eccellenze ignote. Ci sono scuole e gruppi di docenti capaci di preparare studenti vincenti nelle competizioni internazionali e di costruire classi con performances elevate nel testing internazionale. Non dobbiamo dunque distrarci da noi stessi: ai problemi abbiamo già, non di rado, le soluzioni in casa, da coltivare e trasformare in pratiche diffuse. Conosciamo i pilastri su cui reggono le nostre buone scuole: robustezza della tradizione, passione professionale di gruppi di insegnanti, vasta diffusione e radicamento sul territorio, coesione solidale delle famiglie, civismo condiviso e testimoniato, ordinaria buona amministrazione, credibilità costruita nel tempo. Se queste sono le risorse profonde del nostro capitale sociale, dobbiamo lavorare perché la ricchezza del particulare si traduca in benessere generale della nostra scuola.
Ciò che è sotto scacco è la 'capacità nazionale' di dar vita a una plausibile, e necessaria, discontinuità. «A coloro che hanno guidato uno scuolabus a occhi bendati (e lo hanno distrutto) non si dovrebbe mai affidare un altro scuolabus» scrive saggiamente Nassim Nicholas Taleb discutendo di fragilità e di robustezza. Eppure continuiamo a pensare che le stesse persone, istituzioni, gruppi o associazioni che hanno creato un problema o hanno vissuto, più o meno consapevolmente, storiche criticità, siano anche quelle più attrezzate per trovare una soluzione.
Questa è una delle ragioni per cui, con malincuore umanamente comprensibile, ho deciso di lasciare il mio lavoro dopo alcuni decenni di impegno nella scuola e nell'amministrazione scolastica; la speranza è che si possano trovare persone giovani, colte, di buone letture, intelligenti, che abbiano le mani libere e callose, siano dotate del necessario mindset aperto e lungimirante e decidano di dedicarsi all'insegnamento e alla sua amministrazione. Solo così potranno essere scritte, almeno in bella prosa se non in autentiche forme poetiche, le prossime stagioni della scuola del nostro Paese. Stendere, pertanto, queste pagine è per me ridurre un debito contratto nei confronti della scuola che ho servito, senza rimuovere la chiara percezione del limite del mio contributo.

Mario Giacomo Dutto
Acqua alle funi. Per una ripartenza della scuola italiana
Vita e Pensiero, 2013, pagg. 260