J. Boyne - Resta dove sei & poi vai

17.06.2014 16:29
Categoria: LETTURE ESTIVE

Lasciami con un sorriso

Ogni sera, prima di andare a letto, Alfie Summerfield cercava di fissare nella mente com'era la vita prima che la guerra cominciasse, ma più passavano i giorni, più difficile diventava ricordare con chiarezza.
I combattimenti erano iniziati il 28 luglio 1914. Altri forse avrebbero fatto fatica a ricordarsi quella data tanto facilmente, ma non Alfie: lui non avrebbe mai potuto dimenticarla, perché era il giorno del suo compleanno. Compiva cinque anni, e per l'occasione i suoi genitori avevano organizzato una festa, a cui però si erano presentate solo una manciata di persone: nonna Summerfield, che era rimasta tutto il tempo seduta in un angolo a singhiozzare con il viso sepolto nel fazzoletto, ed era andata avanti a ripetere: «È la fine, è la fine per tutti» fino a quando la mamma di Alfie le aveva detto che se non riusciva a controllarsi, avrebbe fatto meglio ad andarsene; il vecchio Bill Hemperton, il vicino di casa australiano, che aveva quasi un centinaio d'anni e faceva un giochetto con i denti finti – li muoveva avanti e indietro usando solo la lingua; la migliore amica di Alfie, Kalena Jankek, che viveva tre porte più giù, al numero sei, e suo padre, che era il proprietario del negozietto di caramelle e aveva le scarpe più lucide di tutta Londra. Alfie aveva invitato quasi tutti gli amici che abitavano nella sua via, Damley Road, ma quella mattina le loro madri, una dopo l'altra, avevano bussato alla porta dei Summerfield per dire che il piccolo tal dei tali non sarebbe potuto venire.
«Non è proprio il giorno migliore per dare una festa, non credi?» aveva detto Mrs Smythe del numero nove, la mamma di Henry Smythe, che a scuola era seduto proprio davanti ad Alfie e faceva almeno dieci puzze disgustose al giorno. «Faresti meglio ad annullarla, cara.»
«Non annullerò un bel niente» disse la madre di Alfie, Margie, agitando le braccia per la frustrazione dopo che il quinto genitore era venuto a bussare alla porta. «Anzi, faremo di tutto per divertirci. E cosa ci faccio con tutta questa roba da mangiare se nessuno si presenta?»
Alfie la seguì in cucina e diede un'occhiata al tavolo, sul quale erano disposti in fila sandwich di carne salata, trippa stufata, uova sottaceto, lingua fredda e anguille in gelatina, tutti ricoperti da strofinacci per tenerli al fresco.
«La mangio io» disse Alfie, a cui piaceva rendersi utile.
«Già» disse Margie. «Sono sicura che ci riusciresti. Sei un pozzo senza fondo, Alfie Summerfield. Non so proprio dove tu metta tutto quello che mangi. Dico sul serio, non lo so.»
Quel giorno, quando arrivò l'ora di pranzo e Georgie, il papà di Alfie, tornò dal lavoro, aveva un'espressione preoccupata. Non andò in cortile sul retro a lavarsi come faceva di solito, anche se odorava un po' di latte e un po' di cavallo. Rimase invece in salotto a leggere il giornale; poi lo ripiegò, lo nascose sotto un cuscino del divano ed entrò in cucina.
«A posto, Margie?» disse, dando alla moglie un rapido bacio sulla guancia.
«A posto, Georgie.»
«A posto, Alfie?» ripeté scompigliando i capelli del figlio.
«A posto, papà.»
«Buon compleanno, figliolo. A proposito, quanti anni hai ormai, ventisette?»
«Ne ho cinque» disse Alfie, che non riusciva a immaginare come fosse avere ventisette anni, ma si sentiva già grandissimo a pensare di averne finalmente compiuti cinque.
«Mmm, cinque» disse Georgie grattandosi il mento. «Mi sembrava che fossi in circolazione da molto più tempo.»
«Fuori! Fuori! Fuori!» gridò Margie sventolando le mani per ricacciarli in salotto. La mamma di Alfie diceva sempre che non c'era niente di più fastidioso che avere due uomini tra i piedi mentre cercava di cucinare. Così Georgie e Alfie ubbidirono agli ordini e nell'attesa che la festa iniziasse si misero a giocare a Scale e Serpenti sul tavolo vicino alla finestra.
«Papà» disse Alfie.
«Sì, figliolo?»
«Come stava oggi Mr Asquith?»
«Molto meglio.»
«Il veterinario gli ha dato un'occhiata?»
«Sì, figliolo, è passato. Qualunque cosa fosse, sembra che abbia trovato il modo di uscire dal suo corpo.»
Mr Asquith era il cavallo di Georgie. O meglio, era il cavallo della latteria, quello che trainava il carro di Georgie ogni mattina mentre lui consegnava il latte. Alfie lo aveva chiamato così l'anno prima, il giorno che lo avevano assegnato a Georgie; aveva sentito quel nome alla radio così tante volte che si era convinto dovesse per forza appartenere a qualcuno di molto importante, e così aveva deciso che fosse il nome giusto per un cavallo.
«Papà, gli hai dato una carezza da parte mia?»
«Sì, figliolo, l'ho fatto.»
Alfie sorrise. Amava Mr Asquith. Lo adorava. «Papà» disse Alfie, un attimo dopo.
«Sì, figliolo?»
«Posso venire al lavoro con te domani?»
Georgie fece cenno di no con la testa. «Mi dispiace, Alfie. Sei ancora troppo piccolo per il carro del latte. È più pericoloso di quanto pensi.»
«Ma tu avevi detto che potevo venire quando diventavo più grande.»
«E quando diventerai più grande verrai, infatti.»
«Ma io sono già più grande» disse Alfie. «Potrei aiutare tutti i nostri vicini quando vengono a riempire le brocche del latte al carro.»
«Rischierei di perdere il lavoro, Alfie.»
«Allora potrei tenere compagnia a Mr Asquith mentre tu le riempi.»
«Mi dispiace, figliolo» disse Georgie. «Ma non sei ancora abbastanza grande.»
Alfie sospirò. Non c'era niente al mondo che desiderasse di più che salire sul carro con suo padre e aiutarlo a consegnare il latte ogni mattina, dando zollette di zucchero a Mr Asquith tra una fermata e l'altra, anche se questo significava alzarsi nel cuore della notte. L'idea di andare in giro per le strade e vedere la città quando tutti ancora dormivano gli faceva venire un brivido lungo la schiena.


John Boyne
Resta dove sei & poi vai
Rizzoli, 2013, pagg. 254