G. Fontana - Morte di un uomo felice

17.06.2014 16:56
Categoria: LETTURE ESTIVE

Dunque volevano vendetta. Colnaghi annuì un paio di volte fra sé, come a raccogliere idee che non aveva o che ancora erano troppo confuse: poi appoggiò le mani sul tavolo e guardò di nuovo il ragazzino che aveva parlato.
Nell'aula messa a disposizione dalla scuola materna del quartiere c'era silenzio: macchie di sudore sotto le ascelle, le pale del ventilatore che giravano piano. Tutti aspettavano una sua risposta, l'ennesima parola buona.
I parenti e gli amici della vittima erano una trentina. Vissani era stato un chirurgo, esponente in vista dell'ala più a destra della Democrazia cristiana milanese: cinquantadue anni, biondo cenere, grassoccio. La fotografia deposta sotto la cattedra era circondata da mazzi di fiori.
Forse Colnaghi l'aveva visto una volta o due, negli anni precedenti: di lui aveva letto sul «Corriere», magari un articolo di fondo nelle pagine locali, per la posizione che stava guadagnando nel partito. A Colnaghi non piaceva quella Dc, ma chissà: magari tempo addietro si erano persino stretti la mano, presentati da un collega che voleva far carriera: magari in una sera di metà maggio, quando Milano è attraversata dalle rondini e la luce ha un colore inafferrabile: forse entrambi erano felici in quel momento, e forse Vissani aveva riso a una battuta di Colnaghi battendosi una mano sul ginocchio: e altrettanto alla svelta il medico aveva rotto il buon umore del magistrato con un'uscita infelice, una delle tante che lui aveva potuto rileggere nel faldone dell'istruttoria — qualcosa di spiacevole sui giovani o sulla necessità del pugno duro da parte del governo.
Sia come sia, poi era andata così: quel tipo volgare, odioso e incolpevole era stato ucciso il 9 gennaio 1981, a tarda sera, dalle parti di piazza Diaz. Due proiettili calibro 38 SPL. Sei mesi prima. Omicidio rivendicato da Formazione proletaria combattente, una cellula scissionista delle Br. Caso ancora aperto, in mano al sostituto procuratore Colnaghi.
A lungo si era chiesto se fosse una buona idea quella di presenziare alla cerimonia di commemorazione: dopotutto, il suo compito era di sottrarsi a quelle persone invece di andare loro incontro. Ma alla fine si era arreso: non era il caso di valutare cosa fosse o non fosse opportuno. Pensava che fra i doveri di un magistrato ci fosse, in modo ben poco ortodosso, anche quello di gestire una perdita. Era in qualche modo un parassita della sofferenza: senza delitti non ci sarebbero state pene, e dunque nemmeno magistrati: gli sembrava giusto restituire al mondo qualcos'altro ancora — il semplice, terso frutto della propria comprensione.
E dunque eccolo lì, sei mesi dopo, a ricordare quanto accaduto e ascoltare inutili, verbose considerazioni sulla pretesa bontà di quell'uomo e sui tempi che stavano attraversando. E tutto era andato bene — tutto era andato secondo copione, il ricordo del fatto, il vuoto incolmabile che ogni assassinio porta con sé, qualche sbadiglio (il dolore dopo un po' è noioso, tranne per chi ne è divorato) e infine la rassicurazione che lui e i suoi colleghi avrebbero compiuto il proprio dovere.
Era andata bene, finché il ragazzino non aveva preso la parola, alzato la mano educatamente ma con fermezza, e detto a Colnaghi che lui voleva vendetta. Voleva vendetta in quanto figlio del dottor Vissani. Gli adulti si erano guardati a vicenda senza commentare: qualcuno aveva girato il cappello fra le mani, le donne avevano abbozzato un sorriso fuori luogo. Il desiderio, in qualche modo, doveva essere comune.
Alla fine Colnaghi parlò: «Per la vendetta non sono la persona indicata», disse semplicemente, cercando di sciogliere a sua volta la tensione in un sorriso.
«Va bene», rispose il ragazzino. Era biondo come il padre, i capelli a caschetto, il naso e la bocca che tremavano a scatti. «Mettiamo che voi prendete quelli che hanno ucciso mio padre. E dopo ?».
«Subiranno un processo».
«E dopo ?».
«Se ritenuti colpevoli, saranno condannati».
«E resteranno in prigione tutta la vita?».
«Di sicuro per molti anni. Non saranno più in grado di nuocere a nessuno».

Giorgio Fontana
Morte di un uomo felice
Sellerio, 2014, pagg. 280