Vanessa Roghi

Contesto socio politico e culturale degli anni ’70

Lo scontro felice tra società e scuola

Fra il 1967 e il 1977 la società italiana è stata investita da una serie di trasformazioni che hanno coinvolto la scuola in modo inedito e, per molti versi, rivoluzionario. I decreti delegati, di questo processo, hanno rappresentato, da un lato, l’inevitabile esito, dall’altro, un seme piantato per il futuro i cui frutti, si sperava, sarebbero maturati negli anni a venire. Se questo sia poi accaduto è tutto da discutere.
Ma partiamo dall’inizio. Chiamiamo decreti delegati quella serie di provvedimenti che vengono emanati fra il 1973 e il 1974 intesi a rimuovere alcuni ostacoli che rendevano la scuola un luogo ancora non pienamente somigliante alla Costituzione. Fra i decreti delegati, quello senza dubbio più noto e più spesso ricordato, al punto da diventare una sorta di sineddoche dell’intero pacchetto legislativo, è quello sulla partecipazione di genitori e studenti alla vita della scuola. Il DPR 416, che dà vita agli organi collegiali «al fine di realizzare la partecipazione nella gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica». In ogni Istituto o Circolo erano previsti, dunque, i consigli di classe, il collegio dei docenti, il consiglio di istituto, la giunta esecutiva, la partecipazione dei genitori e quella degli studenti che ottennero finalmente il diritto di assemblea.
Oggi facciamo fatica a immaginare cosa abbiano significato, in concreto, questi tipi di provvedimenti. L’impossibilità di partecipare attivamente alla vita scolastica era stata, non a caso, una delle spinte propulsive della protesta dei tardi anni Sessanta. Non si contavano i provvedimenti presi contro gli insegnanti che convocavano le assemblee con i genitori, o contro gli studenti che li autoconvocavano. Ne parla, fra gli altri, Monica Galfré nel suo bel libro Tutti a scuola (Carocci, 2017) rilevando come dei numerosissimi casi di repressione che si segnalarono in tutta la penisola all’indomani del Sessantotto furono vittime, insieme agli studenti, gli insegnanti “innovatori” nei vari ordini dell’istruzione, dalla scuola dell’obbligo alla media superiore. La prassi dell’ispezione ministeriale diventò lo strumento principale per punire questo tipo di insubordinazione e non a caso sarebbe stata abolita proprio dagli stessi decreti delegati che avrebbero reso non solo legittimo, ma necessario, coinvolgere genitori e studenti nelle “beghe” interne alle scuole, ritenute, prima del 1974, veri e propri “panni sporchi da lavare in casa”.
I decreti delegati furono approvati perché a queste istanze di apertura e partecipazione, spesso individuali, o di gruppi minoritari, entro il mondo scolastico, si andò affiancando, poco a poco, la voce dei sindacati che, in concomitanza con l’autunno caldo del 1969, iniziarono a interpretare la propria funzione in termini sempre più politici, se per politica si intende la spinta e lo stimolo ad affiancare alle rivendicazioni salariali un’idea di società più giusta e democratica. Dal mondo dell’informazione a quello della scuola, decentramento e partecipazione diventarono due parole chiave di questi primi anni Settanta. I decreti delegati intesero rispondere a queste spinte e proprio per questo loro carattere di risposta a problemi contingenti (anche se in realtà erano problemi di lunghissima durata) furono discussi e approvati nel tempo record di un anno. Le prime elezioni si tennero dunque nel febbraio del 1975. Previsto il coinvolgimento di 14 milioni di genitori, di un milione e mezzo di studenti e di circa 700.000 insegnanti, furono in effetti un successo. Un editoriale del «Giornale dei genitori», rivista fondata da Ada Gobetti, che da anni si impegnava per la collaborazione attiva fra scuola e famiglia, salutava il provvedimento affermando che finalmente «la strada era aperta!». «E l'affermazione di un principio si può salutare con soddisfazione, anche quando non appare subito luminosa e travolgente, ma timida e in parte contraddittoria».
Le cautele erano molte, infatti, dettate dalla paura che le elezioni e gli organi di rappresentanza avrebbero finito per diventare un luogo di astratta rappresentanza e non di vera trasformazione. Di fronte alla grande partecipazione dei cittadini i risultati apparvero, da subito, deludenti, forse anche per le aspettative molto alte che avevano preceduto la loro introduzione. Il coinvolgimento attivo dei genitori nell'educazione dei propri figli era stato visto, per esempio, come occasione per ristabilire la comunicazione tra le generazioni, in molti casi bruscamente frantumato dalle rivolte studentesche del 1968. Ovviamente non risolse in alcun modo il “problema”. Così come non servì ad accrescere la disponibilità da parte degli insegnanti a consentire ai genitori e agli studenti di discutere con loro, da pari, questioni inerenti alla didattica, all’organizzazione della classe, alla disciplina stessa.
Gianni Rodari scrisse su questo un articolo bellissimo, ma anche dolorosamente profetico, già nel 1975. Vi denunciava mali che si sarebbero rivelati cronici: «“Io sono diventata allergica ai genitori", ci confida senza mezzi termini l'amica professoressa. “Per il momento, e per me, il solo risultato dei decreti delegati è questo: che ormai, quando debbo incontrarmi con dei genitori, sono presa da una specie di orticaria morale, irresistibile. Tu sai che in linea di principio io non ero contro. Vedevo nei consigli scolastici qualcosa di buono. Non prevedevo che avrei dovuto assumere la parte dell'imputata, per venire giudicata con animosità, con rozzezza, nel caso migliore con una diffidenza viscerale. Alla prima sorpresa è seguita una reazione di rigetto. La sola cosa che mi trattiene dal dare le dimissioni e cambiar mestiere è la simpatia per i ragazzi, che per fortuna sono riuscita a conservare. Per ora. Ma non garantisco". A questa "allergia" corrisponde sull'altro fronte, quasi per una legge fisica, una reazione uguale e contraria. "Con questi insegnanti - dichiara l'amico presidente di un consiglio di circolo - non c'è niente da fare. Hanno più spine di un istrice. Ignoranti, presuntuosi, attaccati alle loro abitudini, ai pregiudizi di casta, ai privilegi del sovrano assoluto. Appena apri bocca ti beccano, dall'alto, dal basso, della loro cosiddetta esperienza. Provinciali, retrogradi, pettegoli, personalisti. Non ci si intende. L'idea che la scuola debba diventare qualcosa di radicalmente diverso da ciò che è sempre stata non li penetra per nulla. Noi genitori dovremmo star lì solo per farci spiegare da loro le cose. Sempre col permesso del signor direttore"».
Posizioni estreme, scriveva Rodari, da non sottovalutare, tuttavia, perché l’incontro di base tra genitori e insegnanti è la forma concreta dell'incontro tra società e scuola. Se questo incontro fallisce, la struttura non vive. E infatti, spesso, è finita così, e oggi, fra risatine e meme, si denigra la partecipazione delle famiglie alla vita scolastica, dimenticandosi che così tradiamo l’impegno di chi, fra richiami, punizioni, e interruzioni di carriera, si è battuto affinché questo fosse possibile.