Ivana Barbacci

Tra ombre e luci, il cammino che ci attende

Le cronache di agosto ci hanno proposto episodi a dir poco inquietanti, come gli stupri subiti da donne giovanissime, fatte oggetto di una violenza ancor più agghiacciante perché ne sono protagonisti uomini anch’essi, in molti casi, minorenni.
Non siamo dunque di fronte a gesti di delinquenza frutto di percorsi di vita degenerati: questi fatti coinvolgono persone – e personalità – che attraversano anni cruciali per la propria crescita e per la propria maturazione, tutte ancora da costruire ma già così malamente orientate.
Al mondo adulto che inorridisce e si indigna, va chiesto di fare qualcosa di più e di ben più importante: di farsene carico, di interrogarsi su come e quanto ciascuno di noi assolva fino in fondo la propria responsabilità di “educatore”. Perché lo siamo, o dovremmo esserlo, proprio tutti.
Educare non è compito esclusivo della famiglia (quale che ne sia l’accezione concretamente declinata), né può esserlo della scuola, anche se si tratta indubbiamente di due fondamentali “agenzie educative”, definizione che non mi entusiasma – perché assolutamente priva di calore - e che uso solo per brevità. E va detto che famiglia e scuola possono fare ben poco se il loro contesto è popolato in molti casi da adulti che si precipitano a procurarsi e a rilanciare i video delle violenze, segno di un degrado che investe quote non irrilevanti della nostra società, che degli episodi di violenza finiscono per rendersi complici, se non istigatori. Alzare il livello di attenzione e contrasto rispetto a fenomeni del genere è senz’altro una necessità e un dovere: tuttavia il rigore che si richiede non può essere soltanto quello, pur necessario, delle sanzioni a chi si macchia di atti di violenza, altrettanto ne occorre nel promuovere una cultura del rispetto e della dignità che ogni persona ha il diritto di vedersi riconoscere.

Un potente segnale in questa direzione ci è venuto, nello stesso mese di agosto, dalla marea di ragazze e ragazzi riversatisi a Lisbona per le Giornate Mondiali della Gioventù: un evento di bellezza e valore straordinari, in evidente e positivo contrasto con le vicende tristissime ricordate in apertura di questi miei appunti. Difficile non rimanere colpiti dalla capacità di far convivere, per tanti giorni e in così tanti insieme, l’entusiasmo e la compostezza, il clamore gioioso e il silenzio raccolto. La disponibilità a sopportare fatica e disagi pur di vivere, insieme, momenti di incontro e di ascolto su cui fondare una promessa di impegno. Perché quell’evento, per chi vi ha partecipato ma anche per chi lo ha seguito attraverso i media, non si esaurisce in se stesso, segnando il punto di partenza verso un cammino di condivisione e solidarietà in cui ciascuno è chiamato a farsi attore per costruire un mondo migliore, più giusto, vivibile per tutti, più umano. Ancora una volta, sorprende l’empatia fra un papa ultraottantenne e le centinaia di migliaia di giovani venuti da ogni parte del mondo ad ascoltarlo: uno scarto anagrafico che si traduce in una sorta di “differenza di potenziale”, moltiplicando l’energia del messaggio, già forte per il valore intrinseco della Parola.

Da Lisbona un grande segnale di speranza, dunque, per le motivazioni che milioni di giovani porteranno con sé facendo ritorno alla propria vita di ogni giorno. Il viaggio impegnativo, come lo è stata la permanenza in una grande città da percorrere più volte per raggiungere punti di incontro diversamente dislocati, sarà valso la fatica se troverà seguito, raccogliendo l’invito del Papa, in un percorso di vita sorretto ogni giorno dalla consapevolezza dell’intreccio che lega ogni persona alla comunità di cui è parte. Una condivisione di destini che sollecita da parte di tutti e di ciascuno una partecipazione consapevole, attiva e solidale.

Il valore della “partecipazione” è anche il tema cui si ispira la nostra Agenda di quest’anno. La scelta nasce dalla ricorrenza del cinquantennio, che celebreremo nel 2024, dei decreti delegati con cui, nel 1974, furono istituiti gli organi collegiali della scuola. Organismi che, aprendo alla partecipazione di genitori, studenti, istituzioni del territorio, avrebbero dovuto favorire un più diretto coinvolgimento della società nell’operato delle istituzioni scolastiche sul territorio. Questo l’obiettivo indicato: se e quanto sia stato raggiunto, è tema di una discussione aperta e terreno di un impegno che deve sicuramente proseguire.
Essere perennemente in cammino è peraltro una dimensione che ben si presta a definire il senso dell’agire sindacale. Per quanto abusata, la metafora del viaggio è, per noi, sempre particolarmente calzante. Viaggiare significa darsi una meta, definire un percorso, fissarne le tappe, gestirne i tempi nel modo più accurato possibile, pronti anche ad affrontare gli imprevisti che ogni cammino può riservare. Così è fatto l’impegno di un sindacato come il nostro, intento ogni giorno a coniugare “concretezza e visione”, senza rimanere schiavo del quotidiano, né rifugiarsi in un massimalismo di comodo. In questi “appunti di viaggio” proverò, ogni mese, a fare il punto sul cammino percorso e su quello che ci attende.

Buon anno scolastico a tutte e a tutti.