Ivana Barbacci

La dispersione si contrasta motivando

Il mese scorso, commentando i brutali episodi di violenza avvenuti a Palermo e a Caivano, osservavo come una logica di contrasto ispirata prevalentemente all’inasprimento delle sanzioni potesse rivelarsi insufficiente e inefficace se non accompagnata da un forte impegno educativo rivolto a promuovere soprattutto in quei territori, ma anche più in generale, “una cultura del rispetto e della dignità che ogni persona ha il diritto di vedersi riconoscere”. In un bell’intervento scritto per noi e che abbiamo pubblicato sul nostro sito, Eraldo Affinati arriva a dire che un approccio meramente repressivo finisce per essere addirittura controproducente. Lo sostiene non in astratto, ma citando l’esperienza delle carceri minorili (“I ragazzi veramente irrecuperabili li ho visti solo in carcere. In qualsiasi altro luogo li incontrassi percepivo, anche nei più ribelli e indisciplinati, una scintilla di speranza”). Per tacere della difficoltà di tenere assieme l’attuale, esplosiva realtà di un sovraffollamento delle carceri con la prospettiva di incrementarne ulteriormente la popolazione, aspetto di cui evidentemente non si preoccupa chi preferisce dedicarsi a battute di facile presa (“chiudiamoli in galera e buttiamo le chiavi”) anziché misurarsi con la complessità delle questioni.
Tanto per rimanere nell’ambito di nostra più diretta pertinenza: è sicuramente lungo, impegnativo e complesso il percorso da compiere per restituire autorevolezza e prestigio agli insegnanti, e vanno al riguardo recuperati annosi ritardi. Ma pensare di arrivare prima al traguardo imboccando la scorciatoia di norme disciplinari più rigorose credo possa rivelarsi una pia illusione. Anche in questo caso, concedendo più del dovuto alla ricerca di facili consensi.
Sento già piovermi addosso le accuse di “lassismo” solitamente riservate a chi dubita sulla reale efficacia di tali scorciatoie. Allora preciso meglio il mio pensiero, anche perché non ho alcuna simpatia per il “benaltrismo” in cui spesso si rifugia chi si limita, e se ne appaga, a svolgere un ruolo puramente oppositivo, più o meno intermittente a seconda dell’interlocutore.
Insufficiente è aggettivo diverso da inutile: la necessità di affermare il valore di regole la cui trasgressione comporti un costo vale in generale, come uno dei fondamenti della convivenza civile, e vale anche per la scuola, una comunità che per essere tale non può fare a meno di precisi codici di comportamento, da osservare e rispettare.
Un principio facile da enunciare, tanto da apparire quasi banale: altra cosa metterlo in atto in vissuti altamente problematici dei quali hanno reso testimonianza, pochi giorni fa, dirigenti e insegnanti intervenuti al convegno di Catania sulla dispersione scolastica, primo di una serie di iniziative organizzate dal Comitato per il centenario della nascita di don Milani, che aveva per tema la dispersione scolastica.
Basterebbe riascoltare anche una sola delle comunicazioni fatte da rappresentanti di scuole operanti in contesti particolarmente critici (la stessa Catania, ma anche Palermo, Roma, Napoli, Torino) per rendersi conto che la minaccia di un 6 in condotta, al pari di quella di un inasprimento delle sanzioni, non solo non è di per sé risolutiva del problema, ma in molti casi faticherebbe persino a funzionare come palliativo.
Don Milani, cui stiamo giustamente dedicando in questi mesi tante delle nostre riflessioni, non era certo un lassista, al punto che si giunse persino a rimproverarlo di essere eccessivamente coercitivo per l’impegno di frequenza, di lavoro e di attenzione che la sua scuola richiedeva. Ma erano certamente soddisfatte, a Barbiana, tre condizioni che nel suo intervento al Convegno un dirigente scolastico di Roma (Danilo Vicca, preside di un liceo di Rebibbia a Roma) indicava come ingredienti essenziali per un contrasto efficace alla dispersione: clima, motivazione, tempo.
Il clima che si respira in una scuola, nella quale chi la frequenta si senta accolto e “posto al centro”, preso in cura con la capacità e la volontà di riconoscerne e valorizzarne i talenti.
La motivazione, ossia la percezione di utilità per sé, per il proprio destino, dello stare in una scuola. Che se ti accoglie, e ti appare comunque “meglio della merda”; che non è solo quella dei bovini cui si riferiva Lucio, allievo di don Milani, ma può anche essere quella di un degrado (sociale, urbanistico, affettivo) in cui vivono tante persone.
Il tempo, inteso come tempo di durata delle attività scolastiche, spesso ristretto proprio là dove ce ne vorrebbe molto di più. L’importanza del supporto, spesso irrinunciabile, che il volontariato offre alle scuole più impegnate nel contrasto alla dispersione rende ancor più evidente come si possa e si debba fare di più a livello istituzionale, come ci ha ricordato Tiziana D’Isanto dirigente scolastica a Napoli. Clima, motivazione, tempo scuola: tre fattori che dovrebbero coesistere, valorizzandosi a vicenda. Perché allungare i tempi di una scuola non accogliente servirebbe a ben poco. Così come illudersi - e illudere - che basti “obbligare” per costruire una vera e forte “motivazione”.
Mi auguro che questo bel convegno, e gli altri che seguiranno nel ricordo di don Milani, ci aiutino a sviluppare un giusto approfondimento su questi temi: guai se prevalesse la tentazione di limitarsi a enunciarli, lasciando spazio solo a polemiche strumentali e banalizzazioni, entrambe inutili e dannose.