Ivana Barbacci

Memorie che ci guidano e sostengono

Per il viaggio che ci attende in questo difficile mese di novembre, immersi in un contesto drammatico di guerra mentre prende avvio la discussione in Parlamento sulla legge di bilancio, i miei appunti partono da lontano, e vedrò poi di spiegare il motivo per cui il mio pensiero vada molto spesso, in questi giorni, a un evento di cui ricorrerà tra pochi mesi il quarantesimo anniversario.
Parlo dell’accordo fra Governo e parti sociali, firmato il 14 febbraio del 1984, che portò a una radicale modifica della “scala mobile”, un meccanismo di indicizzazione dei salari che li rivalutava automaticamente in base all’andamento dell’inflazione. La firma di quell’accordo segnò una profonda spaccatura del fronte sindacale, diviso tra chi – come la CISL, la UIL e la componente socialista della CGIL – condivideva la filosofia di quell’intesa, e chi invece – come la componente comunista della CGIL e, tra le forze politiche, il PCI guidato allora da Enrico Berlinguer – la contrastò fino al punto di promuovere un referendum abrogativo della legge che aveva tradotto in norma l’accordo di S. Valentino, comunemente definito così con riferimento alla data della firma. Il referendum si svolse l’anno seguente e vide la maggioranza degli elettori votare no all’abrogazione della legge.
L’accordo scaturiva dalla volontà di impostare in termini diversi la difesa dall’inflazione, che la scala mobile garantiva solo illusoriamente, finendo invece per divenire anch’essa fattore di innesco per nuove spinte inflattive, destinate a rimangiarsi in brevissimo tempo gli aumenti di stipendio prodotti da un meccanismo di adeguamento automatico. La filosofia dell’accordo, su cui giocò un ruolo da protagonista la CISL, guidata allora da Pierre Carniti, era di assumere l’inflazione come obiettivo principale, puntando a smorzarne le cause e non a inseguirne – vanamente – gli effetti. Fondamentale, nell’elaborazione di quella strategia, il lavoro di un economista, Ezio Tarantelli, che pagò con la vita il suo contributo a immaginare e mettere in atto scelte politiche e sindacali fortemente innovative. Fu infatti assassinato dalle Brigate Rosse il 27 marzo del 1985, a poco più di un anno dal decreto di revisione della scala mobile e pochi mesi prima del voto sul referendum.

Per ragioni anagrafiche, non ho vissuto direttamente quella stagione, che conosco dalla lettura di documenti - fondamentali per la mia formazione sindacale - e dalle testimonianze di chi l’ha attraversata nel pieno di un impegno sociale già intensamente praticato, come per me sarebbe accaduto in anni successivi. L’assassinio di Tarantelli basta a dirci il clima di quegli anni; un clima nel quale ci voleva anche una buona dose di coraggio a sostenere, come fece allora la CISL, posizioni che erano spesso distorte e strumentalizzate e che non concedendo mai nulla alla banalità, richiedevano, per essere capite, un di più di ragionamento e di riflessione.
Prima di venire alle vicende di oggi, e a qualche possibile analogia con quella ricordata, voglio però sgombrare il campo da ogni rischio di fraintendimento: dico allora che, se oggi il contesto è molto diverso, e lo è certamente, lo si deve alla capacità dimostrata negli "anni di piombo" da tutte le forze politiche democratiche, e da tutto il movimento sindacale, di agire insieme per isolare il terrorismo e contrastarlo con forza nel segno dei valori della Costituzione. Pagando a volte un prezzo altissimo, come fu per Guido Rossa, sindacalista CGIL, assassinato dai brigatisti nella sua auto sotto casa, a pochi mesi dall’uccisione di Aldo Moro, emblema di una stagione di sangue che non risparmiò certo lutti e sofferenze al Paese.
È grazie a quello straordinario impegno corale se il folle progetto terrorista è stato sconfitto, e ha vinto una democrazia dove la dialettica, per quanto aspra, non può vedere mai messo in discussione il diritto di esprimere posizioni anche radicalmente diverse. Episodi di intolleranza e violenza si sono purtroppo altre volte riproposti (tra i più gravi l’uccisione di Marco Biagi). Come episodi, appunto, che impongono sempre a tutti la massima vigilanza, ma fuori da quella che per anni fu una vera e propria strategia del terrore.

Ciò detto, due temi sui quali mi permetto un invito a riflettere.
Il primo è la tutela retributiva delle lavoratrici e dei lavoratori, obiettivo cui afferma di puntare chi oggi sostiene la necessità di un salario minimo stabilito per legge. Una misura che viene sempre presentata, da chi la propone, come assolutamente inderogabile: anche da chi, vorrei far notare, avrebbe avuto senz’altro la possibilità di introdurla negli anni (non pochi, oltre tutto) in cui ha ricoperto ruoli di governo. E non lo ha fatto. Né si dica che quella legge diventa oggi più necessaria, essendo stato abolito il reddito di cittadinanza, che in realtà ha ben poco a che fare con i salari, essendo un sussidio per chi non lavora. Sul salario minimo per legge, è scattato da subito l’effetto bandiera tipico di molte proposte: chi non si schiera a favore, su questo tema, finisce additato come colpevole di voler mantenere uno status quo fatto anche di salari privi talvolta di un minimo di dignità.
Per quanto ci riguarda, una distorsione inaccettabile del nostro pensiero, che non prevede alcuna tolleranza per trattamenti salariali indecenti. Ribadendo una posizione che la caratterizza da sempre, la CISL sostiene che la soluzione del problema si ottiene non fissando soglie minime per legge, ma assegnando più potere alla contrattazione. Una legge che valorizzasse la contrattazione, facendone il parametro di riferimento per tutti i contratti, ci vedrebbe d’accordo. Qui sta l’analogia che mi pare di vedere tra oggi e gli anni ’80 del secolo scorso, e la coerenza di un’organizzazione come la CISL, che considera più produttivo di tutele per gli interessi di chi lavora un ruolo fortemente riconosciuto della contrattazione e delle relazioni sindacali.
Ci trasforma in alleati di un governo di destra una posizione del genere? Non più di quanto l’accordo di San Valentino ci avesse fatti diventare sostenitori del governo allora in carica, guidato – come si ricorderà – da Bettino Craxi. Interlocutrice della politica, in piena autonomia, la CISL di oggi come la CISL di allora. Determinata a condurre un confronto di merito sui contenuti, senza condizionamenti legati al colore di chi governa e di chi si oppone. Aggiungo: impegnata a svolgere fino in fondo il proprio ruolo, senza voler assumere compiti di sostegno o di supplenza rispetto alle debolezze o alle insufficienze di soggetti che agiscono in ambito politico.
Qui il discorso potrebbe allargarsi al confronto sulla legge di bilancio, nel quale la CISL è impegnata a fondo e seriamente, con una presenza assidua agli incontri e una valutazione puntuale dei contenuti, sui quali ha espresso un giudizio articolato, mettendo in risalto luci e ombre di una manovra che per molti aspetti consente una tutela importante per i redditi di lavoro (dal punto di vista fiscale e contributivo), destinando risorse significative per i prossimi rinnovi contrattuali, di cui si profila una possibile anticipazione già a dicembre. Difficile fugare l’impressione che le mobilitazioni preannunciate da altre sigle siano state decise già da tempo con larghissimo anticipo, in un’ottica il cui profilo sembra più politico che sindacale. Quanto sia opportuno e produttivo, sia sindacalmente sia politicamente, rimane tutto da dimostrare; lo si vedrà forse col tempo. Che per quanto riguarda la CISL, è stato sempre galantuomo.