M. Maniscalco, S. Anselmo

Un giardino della legalità

La Direzione Didattica Cavallari di Palermo, in linea con la Circolare 23/2001 emanata dall’assessorato dell’istruzione e della formazione professionale nell’anno scolastico 2021/22, ha presentato la propria proposta progettuale; un percorso all’insegna dell’unitarietà dei processi educativi in cui ogni alunno/a ha potuto fruire di un iter formativo organico e completo al fine di trovare nella scuola non solo un luogo nel quale crescere imparando, ma anche un contesto in cui avere l’occasione di costruire la propria identità personale e sociale volta al raggiungimento delle competenze chiave codificate dall’Europa nel 2006.
Sollecitati dagli obiettivi delineati dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, si è scelto di proporre un percorso di educazione ambientale per gli/le alunni/e delle classi seconde e quarte dell’istituto, mediante un modello di progettazione partecipata che li/le ha visti/e co-protagonisti/e di un percorso responsabile, ispirato ai valori della legalità attraverso un contatto diretto con l’ambiente circostante nella prospettiva dell’ecosostenibilità (Goal 3 dell’Agenda 2030).
La proposta progettuale si è mossa all’insegna di una duplice finalità: stimolare la crescita di una coscienza ambientale e promuovere lo sviluppo di competenze sociali e civiche, a partire dalle Life Skills (OMS ’93). L’idea ha previsto la realizzazione di un percorso laboratoriale espressivo, su base scientifica, che si è concluso con l’allestimento di un “Giardino della Legalità”.
Il progetto, in sinergia con il PTOF, si è svolto in orario extra curricolare e ha previsto incontri in classe condotti da docenti/esperti e laboratori sul campo durante i quali gli/le alunni/e sono stati coinvolti/e in un percorso naturalistico volto alla realizzazione del “Giardino della legalità” negli spazi antistanti la scuola, intitolato ai bambini vittime innocenti della mafia.
L’idea progettuale ha consentito agli utenti di percepire e vivere lo spazio e il tempo scuola come laboratorio didattico partecipato nel quale trovare stimoli per la riflessione, la sperimentazione, la soluzione di problemi e per instradare percorsi di riflessione e crescita volti alla legalità, soprattutto nei quartieri a rischio come quello in cui insiste la scuola.
La creazione e la cura del giardino si configurano, oggi, come uno strumento di crescita per i/le nostri/e alunni/e, offrendo agli abitanti del quartiere una differente chiave di lettura, utile a prendere consapevolezza di un mondo sempre più “inquinato” sia dal punto di vista valoriale che ambientale.
In linea con la prospettiva ecosostenibile, il progetto ha preso corpo muovendo dall’assunto secondo il quale sostenibilità e inclusione si reggono l’un l’altra: non ci può essere una vera transizione ecologica senza quella sociale, in quanto la prima assume significato solo se capace di affrontare anche le diseguaglianze sociali, che colpiscono in modo particolare le donne.
Per tutto questo è stato previsto il coinvolgimento delle mamme degli/delle alunni/e partecipanti, è stato pensato e poi realizzato un laboratorio di 48 ore nel quale le donne del quartiere, mamme dei/lle nostri/e alunni/e hanno avuto modo di confrontarsi con la guida di personale esperto: un legale, uno psicologo, un assistente sociale e un pedagogista.
Le mamme hanno avuto la possibilità di arricchire i loro ruoli di mogli, mamme e soprattutto donne, grazie al contributo del Consultorio dei diritti MIF (partner del progetto), un team multidisciplinare di Pedagogisti, Counselors, Psicologi, Avvocati e Mediatori familiari, che ha curato il percorso progettuale affrontando tematiche importanti quali: legalità, bullismo, cyberbullismo, responsabilità genitoriali civili e penali, passando anche per argomenti profondi come la gestione delle emozioni, il rapporto genitori figli, il diritto alla salute e il diritto alla felicità.
Le figure previste in seno al progetto hanno rappresentato la leva strategica per ridurre fenomeni di isolamento e degrado: molte mamme e donne del nostro quartiere sono vittime di retaggi culturali che le pongono in una situazione di fragilità derivante da rapporti (coniugali/familiari) di subalternità, incentrati su relazioni connotate da strapotere e prepotenza.
Parallelamente i laboratori rivolti agli/alle alunni/e non solo hanno permesso loro di allestire un giardino, piantumando alberi e fiori colorati, ma soprattutto hanno fornito loro l’occasione di vivere l’esperienza come opportunità e possibilità, attraverso le quali essere i “protagonisti” del riscatto e del cambiamento della realtà in cui vivono, caratterizzata da una forte cultura mafiosa e da una profonda indifferenza nei confronti delle tematiche ambientali e sociali.
Ciò al fine di pensare, progettare e vivere la scuola come “ascensore sociale” che conduce verso il successo e l’inclusione personale e collettiva.
Il percorso si è concluso con la “Festa del Giardino della legalità” in cui alunni/e, docenti e genitori hanno presentato alle istituzioni intervenute, il prodotto finale realizzato a conclusione del percorso, offrendo in dono ad ogni ospite, incluso le mamme, una piantina da curare come simbolo ed espressione della valenza del percorso svolto.
Il progetto “la mia scuola è un giardino di legalità” porta con sé numerosi spunti e tanto “terreno fertile” da coltivare e su cui lavorare per rendere i giovani e le giovani, che popolano la Direzione Didattica Cavallari, capaci di saper stare al mondo agendo azioni di autentica partecipazione.
Tra questi stimoli si avverte un bisogno, che più di tutti appare impellente: quello della partecipazione, una grande ricchezza di cui ormai ci si è dimenticati nei più svariati settori della società, dal lavoro, alla politica, alla famiglia e alla scuola.
Un patrimonio classico nel senso proprio del termine: ciò che non passa mai e che è in grado di comunicarci sempre qualcosa; un patrimonio che nasce dall’elaborazione teorica di Platone che la definisce “Metessi”.
La Metessi riesce ad essere, per Platone, il collante di una dicotomia inconciliabile tra il mondo delle idee e quello empirico, eppure il filosofo dice che la metessi è proprio ciò che è capace di permettere alle “cose empiriche di partecipare delle idee, di comunicare con esse”.
Come la partecipazione fu collante ai tempi dell’antica Grecia, anche oggi si dovrebbe tornare a guardare a questo strumento come il collante all’interno della ormai demarcata dicotomia tra il fare e il subire che, purtroppo, affligge larga parte della società.
La partecipazione chiama ciascuno per nome, opera un risveglio delle coscienze perché è in grado di comunicare con i “linguaggi del cuore”, cercando di intercettare i più disparati talenti di cui è dotato/a ciascuno e ciascuna. La partecipazione, in tal senso, a scuola assume un valore chiave, in quanto aiuta a rafforzare il senso di appartenenza, favorendo quindi un clima scolastico caratterizzato da reciprocità e accettazione.
Occorre una scuola, un sistema che conosca l’importanza dell’agire insieme, non un esecutivo “bicefalo o tricefalo” che si assuma il compito di trainare una comunità, poiché il risultato di una governance che non lascia spazio alla partecipazione è sotto gli occhi di tutti: è il mondo dentro il quale viviamo, dinanzi al quale i risultati della mancata partecipazione sono all’ordine del giorno , rinvenibili nel mancato esercizio del diritto di voto, la mancata competenza di progettualità delle giovani generazioni, nella rigidità delle famiglie spesso imbrigliate in scelte educative omologanti e poco personalizzate per ciascun/a figlio/a.
Queste sono alcune delle criticità che ad oggi caratterizzano la nostra società e innanzi alle quali la scuola ha il dovere di mettersi in discussione, di ripensarsi, di cambiare metodi di insegnamento e di “ritrovare” il linguaggio del cuore, umanizzandosi e ritornando alla sua vera natura, a quella profonda radice che le è data dall’humanitas.
La maggiore difficoltà che sta alla base della mancata partecipazione, oltre al senso di non appartenenza, è il timore di non sapere quanto realmente si possa fornire un contributo ed una partecipazione utile alla comunità e all’altro, per qualsiasi contesto in cui ci si trovi.
I vissuti di insicurezza e paura, non sono solo sfumature temperamentali che sicuramente esistono e svolgono il proprio ruolo, ma sono frutto di una società che non aiuta e che non concede il tempo al giovane di trovarsi, di scoprirsi come persona capace di fornire aiuto e di rendere un contributo; infatti solo dopo aver partecipato e offerto il proprio contributo, ognuno potrà portare sé agli altri e gli altri a sé, in una logica di ricorsività virtuosa.
È una sollecitazione che non lascia esente nessuno, per questo il progetto sopra descritto chiama in causa anche i genitori (le mamme) che oltre al compito di garantire il diritto all’istruzione dei figli hanno quello, non meno importante, di costituirsi come delle vere e proprie “Safe room” all’interno delle quali, senza paura di farsi del male, i figli potranno scoprirsi e conoscersi, agendo momenti di partecipazione attiva e costruttiva alla vita familiare, personale e sociale.
Solo così si potrà veicolare il messaggio che “senza di loro non si può” e dunque non si ha il diritto di disertare e/o di essere assente, solo attraverso piccoli passi, si potrà partecipare e arrivare ad essere protagonisti partecipi delle comunità nelle quali si è, si pensa, si fa e si vive.