Cgil/Formazione Professionale: un rapporto difficile
Lo scorso 15 giugno, la Cgil e la Flc Cgil hanno inviato al ministro dell'Istruzione, Gelmini, una lettera a firma di Fulvio Fammoni, segretario confederale, e Domenico Pantaleo , segretario generale di categoria. Oggetto della missiva, pubblicata sul sito della Flc Cgil, è il riassetto dei percorsi di “Istruzione e Formazione Professionale”, realizzato attraverso gli accordi tra le singole Regioni e gli Uffici Scolastici Regionali e fondato sui due “pilastri” della Formazione Professionale convenzionata, da un lato, e dell’offerta formativa sussidiaria degli Istituti Professionali di Stato, dall’altro.
La Flc Cgil esprime la propria insoddisfazione per il nuovo modello, di cui individua diversi snodi critici, dall’indebolimento complessivo dell’offerta formativa, alla riduzione della didattica laboratoriale e alla riduzione delle relazioni con il mondo del lavoro.
“Tutto ciò” - scrive la Cgil - “è il risultato della destrutturazione dell’obbligo di istruzione, perpetrata dal governo con l’introduzione della possibilità di assolverlo anche nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale regionale, e successivamente ulteriormente aggravata con la possibilità dell’obbligo di istruzione in apprendistato per i quindicenni”.
Di qui le soluzioni individuate dalla Cgil: “La Cgil e la Flc Cgil riconfermano la necessità di ritornare all’impostazione originaria della norma che ha finalmente introdotto l’obbligo di istruzione fino a 16 anni e il conseguente innalzamento dell’età minima di accesso al lavoro”.
La Cgil esprime così la propria netta preferenza per l’assolvimento dell’obbligo nei soli percorsi scolastici e prosegue: “… Per questo l’offerta sussidiaria degli Istituti Professionali o l’offerta integrata tra Istruzione Professionale Statale e sistema della Formazione Professionale sono le scelte più coerenti con le opzioni sopra enunciate”.
Riemerge, quindi, nelle tesi della Cgil, la nota diffidenza verso la Formazione Professionale regionale, che sembra poter essere ammessa ad offrire un proprio contributo (se proprio …) solo nel quadro della collaborazione con gli Istituti Professionali, ossia nei percorsi di quell’offerta integrata che, peraltro, fu a suo tempo fortemente criticata dalla stessa Cgil, al punto che nel Lazio l’accordo relativo alla prima attuazione dei “percorsi triennali integrati” fu firmato, il 14.11.2002, solo da Cisl Scuola e Uil Scuola (già allora: niente di nuovo sotto il sole). L’adesione della Cgil venne con l’accordo successivo, relativo all’anno formativo 2003/04 (e anche qui, niente di nuovo: meglio tardi …).
La critica - allora rivolta ai “triennali” che oggi si rivalutano come male minore, ed ora indirizzata al nuovo modello - è che il coinvolgimento della Formazione Professionale costituisce di per sé una surrettizia quanto precoce introduzione degli studenti nel mondo del lavoro, poiché la Formazione Professionale stessa reca al suo interno l’indelebile ed infamante marchio della discriminazione classista.
Una valutazione che puzza di fumisteria ideologica lontano un miglio e che implica una sorprendente sottovalutazione del valore educativo e formativo della cultura del lavoro che, ad oggi, secondo i dati più attendibili, si caratterizza invece come lo strumento più efficace di recupero di studenti persi alla formazione scolastica.
Anche di questo, ma ovviamente non solo di questo, si tratta, ossia del fatto che esistono diversi stili cognitivi, ognuno dei quali deve trovare una propria corrispondente offerta formativa, senza pretendere di ingabbiare i giovani allievi in percorsi che essi non vivono come congeniali.
Per questa strada - quella dell’imparare facendo - è possibile e anzi probabile che maturino le condizioni di future ulteriori evoluzioni. L’altra, quella del dogma ideologico assunto a priori, è invece la strada che conduce alla dispersione di preziose risorse umane, al termine di un percorso scolastico frustrante, che reca inevitabilmente con sé la diminuzione dell’autostima dello studente.
Sfugge alla Cgil, allora come oggi, che antidemocratiche e classiste sono solo le scelte irreversibili, quelle che legano una volta per tutte ad un destino familiare e sociale, non già quelle flessibili che consentono il recupero, la valorizzazione delle potenzialità e dei “doni” di ciascun individuo, nel quadro di un sistema formativo aperto agli scambi ed alle passerelle.
Ultima, ma non per importanza, la questione occupazionale.
È chiaro che nel quadro di un ordinamento che vede da un lato l’Istruzione Professionale di Stato rivolta al rilascio di diplomi quinquennali e all’offerta sussidiaria e, dall’altro, la formazione convenzionata, c’è posto per tutti, ognuno con la sua specifica mission e vocazione.
È altrettanto chiaro che scelte diverse implicano la scomparsa di un segmento formativo che si è guadagnato sul campo il diritto di vivere, già oggi messo in discussione dalla diminuzione dei finanziamenti regionali.