Cent'anni di tragedie ma la lezione non ci è servita
Mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti - Vasto, rievoca tre eventi che concorsero a fare del 1915 un "annus horribilis": entrata in guerra dell'Italia, genocidio armeno, terremoto della Marsica. Lezioni della storia che tuttavia, a distanza di 100 anni, non sembrano aver avuto molta efficacia. Ecco perché il 2015 può essere "un centenario per riflettere e per decidersi a favore dell'umano, a partire da una seria decisione morale, che trovi spazio in ogni coscienza e si traduca in attenzione responsabile e operosa al primato del bene comune" (Il Sole 24 ore, 4 gennaio 2015)
L 'inizio del 2015 evoca quello, anteriore esattamente di un secolo, dell'“annus horribilis” che fu il 1915, anno dell'entrata in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale, del genocidio armeno, strumentalmente connesso dall'Impero ottomano agli eventi bellici allora in corso, e dell'immane tragedia del terremoto che sconvolse la Marsica e distrusse Avezzano, provocando oltre 30mila vittime.
Tre ricorrenze su cui vale la pena di riflettere per chiedersi se e che cosa esse hanno insegnato o potrebbero ancora insegnare alla nostra coscienza collettiva. Il conflitto mondiale aveva avuto inizio il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell'Impero austro-ungarico al Regno di Serbia in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este, avvenuto un mese prima, il 28 giugno, a Sarajevo, e si concluse oltre quattro anni dopo, l'11 novembre 1918. La guerra coinvolse le potenze mondiali in due blocchi contrapposti: da una parte gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero ottomano) e dall'altra gli Alleati, rappresentati inizialmente da Francia, Regno Unito e Impero russo. La posizione dell'Italia fu al principio di neutralità: poi, la prospettiva dei possibili benefici territoriali connessi al coinvolgimento spinse il governo italiano a decidere l'intervento contro gli Imperi centrali, con cui era precedentemente alleato e che avevano escluso il nostro Paese dai processi decisionali sfociati nel conflitto. Il 24 maggio 1915 fu dichiarata guerra all'Austria-Ungheria. L'idea di una campagna militare breve e facilmente vittoriosa si rivelò del tutto infondata.
A dispetto della superiorità numerica gli Italiani, in ripetuti assalti, conquistarono poco terreno al prezzo di molti caduti. Il conflitto si trasformò presto in una guerra di posizione, del tutto simile a quella che si stava combattendo sul fronte occidentale. Si dovette aspettare la vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto il 30 ottobre 1918 perché l'Impero Austro-Ungarico chiedesse l'armistizio, entrato in vigore il 4 novembre. Il prezzo pagato dai belligeranti in termini di vite umane fu altissimo: oltre 9 milioni di uomini caddero sui campi di battaglia, 7 milioni furono le vittime civili a causa tanto delle operazioni di guerra, quanto delle carestie e delle epidemie che ne seguirono. La tragica lezione, tuttavia, non bastò, come dimostra lo scoppio della seconda guerra mondiale avvenuto a distanza di pochi anni; e quella che Papa Francesco ha chiamato la “terza guerra mondiale”, di fatto già in atto anche se in forma frammentaria e strisciante, sembra dirci che nulla ha insegnato il fiume di sangue versato. La legge della forza preferita alla forza della legge ha prodotto immane devastazione e morte nel cosiddetto “secolo breve” e seguita a produrne oggi. Alla logica dell'uomo contro l'uomo è necessario opporre quella dell'uno per l'altro: senza questo cambiamento radicale di visione il XXI secolo non sarà diverso dal XX. L'urgenza di una profonda e radicale conversione alla ricerca sincera della pace emerge qui in tutta la sua forza di imperativo morale.
Un secondo insegnamento da raccogliere nel centenario dell'anno terribile che fu il 1915 è quello che viene dall'immane tragedia del genocidio armeno, “pulizia etnica” che portò allo sterminio di circa un milione e mezzo di persone, colpevoli solo di appartenere a una cultura, a un popolo e ad una religione, il cristianesimo, diversi da quelli dominanti nell'Impero ottomano. Era stata l'avanzata russa sul fronte del Caucaso a provocare la violenza dei Turchi contro la popolazione armena, sospettata di aver favorito le truppe dello Zar. L'8 aprile 1915 iniziarono i rastrellamenti e le fucilazioni, dando avvio a uno sterminio sistematico e brutale, in cui non si contarono massacri e deportazioni. Gli appelli rivolti agli Alleati perché intervenissero rimasero inascoltati. Il XX secolo apriva la strada al male assoluto sfociato poi nella grande catastrofe, la Shoah, costata la vita ad almeno sei milioni di innocenti, uccisi unicamente perché appartenenti al popolo ebraico. L'eredità che questi crimini efferati ci lasciano dovrebbe essere chiara, anche se periodici rigurgiti di violenze razziste e di barbarie ideologiche continuano ad affacciarsi sulla scena della storia. Mai più l'ideologia folle dell'uomo superiore all'altro uomo per ragioni di appartenenza etnica o religiosa dovrà trionfare: e nessuna coscienza sensibile dovrà sottrarsi al dovere di vigilare in tal senso per opporsi a qualunque forma di offesa e di annientamento della persona umana.
Il 1915, infine, fu l'anno del terremoto che il 13 gennaio colpì l'intera area della Marsica, causando la morte di più di 30mila persone. La scossa fu così forte da essere avvertita dalla Pianura Padana alla Basilicata. Il 14 gennaio 1915 il quotidiano Il Mattino riportava la testimonianza impressionante di un sopravvissuto: «Non mi resi subito conto di ciò che era avvenuto; ritenni dapprima che si trattasse del crollo improvviso dello stabilimento dove ero occupato per lo scoppio di qualche macchina. Non potevo immaginare quale orribile, immane catastrofe si fosse abbattuta su Avezzano… La gamba sinistra mi doleva abbastanza, ma ciò non mi impedì di trascinarmi fino all'aperto. Appena fuori, le mie orecchie furono straziate da mille lamenti. Guardai Avezzano e credetti di essere vittima di un orrendo sogno: il castello, gli stabilimenti dagli alti fumaioli, la Chiesa dall'agile campanile, tutto era scomparso. Avezzano non c'era più e al suo posto non si scorgevano che macerie». Il XX secolo ha conosciuto tragedie analoghe, che si sono ripetute similmente agli inizi del nuovo millennio: gli oltre trecento morti del terremoto che ha colpito L'Aquila e parte dell'Abruzzo nel 2009 ne sono testimonianza. Anche qui c'è un insegnamento da raccogliere: se il sisma non è prevedibile nelle forme e nei tempi in cui avviene, è però possibile prevenirne molte delle conseguenze, provvedendo ad osservare le misure antisismiche che l'odierna conoscenza scientifica può mettere in atto. L'importante è che il terremoto della natura non sia amplificato da quello della storia. E anche qui i processi della ricostruzione dimostrano che la terribile lezione è ancora lontana dall'essere appresa. 1915-2015: un centenario per riflettere e per decidersi a favore dell'umano, a partire da una seria decisione morale, che trovi spazio in ogni coscienza e si traduca in attenzione responsabile e operosa al primato del bene comune, di fronte alla radice ultima dell'esigenza etica, il comandamento espresso dal Decalogo e scritto dal dito divino nel cuore di tutti.
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