L’alleanza del Papa per un’Europa nuova
Andrea Riccardi commenta sulle pagine del Corriere della Sera (6 maggio 2016) il discorso che Papa Francesco ha pronunciato nella Sala Regia del Palazzo Apostolico in occasione del conferimento del premio Carlo Magno. In allegato il testo integrale del discorso di Francesco.
Nella cornice solenne della Sala Regia in Vaticano (dove sono affrescate memorie di tempi di violenza religiosa come i massacri degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo), Francesco ha ricevuto il prestigioso Premio Carlo Magno. Il papa non ama i premi. Ma ha colto l’occasione per parlare all’Europa e «auspicare insieme uno slancio nuovo e coraggioso». Insieme a chi? Il parterre di leader europei era vasto, oltre la Merkel e Renzi.
Nel discorso papale (più lungo del solito) due punti chiari: insieme e rilanciare. La cerimonia ha manifestato un’«alleanza» per un’Europa più larga e profonda. La dinamica ambasciatrice tedesca Schavan, amica della cancelliera, e l’autorevole card. Kasper hanno lavorato per un evento senza precedenti: il rilancio dell’Europa da parte del papa argentino (che ha parlato anche da europeo). In un tempo di etno-nazionalismi, Francesco ha proposto «coalizioni», non politico-militari, ma «culturali, educative, filosofiche, religiose» per l’Europa e la pace: «armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro», ha detto.
La Merkel, all’ambasciata tedesca, ha raccolto la proposta, indicando il limite della politica. La Germania non vuole essere sola e ha bisogno di «coalizione» con Chiese e società. Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha denunciato la frammentazione europea: «le forze centrifughe delle crisi tendono a dividerci…».
Per Donald Tusk, presidente del consiglio europeo (dissonante dal governo di Varsavia), la Chiesa di Francesco, «di cui abbiamo bisogno tutti», offre una risposta alla crisi. Il papa era attento e grave in una cerimonia che — pure nei particolari — non esaltava lui, ma l’insieme. Nuova funzione del Vaticano: luogo d’incontro e coalizione spirituale.
Francesco aveva già parlato dell’Europa come «nonna», incapace di generare e attrarre, per questo costruttrice di muri e trincee. L’argentino, figlio d’immigrati italiani, ha dato del tu al continente: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?». I politici hanno trovato nel papa un leader spirituale che crede all’Unione, purché sappia allargarsi e integrare. In lui non c’è la preoccupazione di Benedetto XVI per il secolarismo. Secondo il papa, l’Europa, «nata dall’incontro di civiltà e popoli», oggi declina per paura d’incontrare altre genti e religioni, nascondendosi dietro frontiere e identità cristallizzate.
Chi ricorda la battaglia (perduta) della Chiesa per le «radici cristiane» nella Costituzione europea vede come Francesco abbia un’idea diversa: le radici europee (da irrigare con il Vangelo, secondo lui) sono state sempre sintesi tra culture, anche eterogenee. Per sostenere il valore di «un’identità dinamica e multiculturale» del continente, il papa ha evocato i padri fondatori: De Gasperi (che si fece seppellire con il Premio Carlo Magno), Schuman, Adenauer, ricordando pure il teologo gesuita, Eric Przywara, che difese in faccia al nazismo la transnazionalità del cristianesimo. Per realizzare una costante integrazione, il metodo è il dialogo, capace di «ricostruire il tessuto sociale». Il dialogo è contenuto e metodo per fare l’Europa del futuro: «armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione» — ha detto, forse anche rivolto ai cristiani «etnici» paurosi dell’invasione. Si è distaccato dai balbettii di vari episcopati europei e di altre Chiese sui rifugiati per parlare d’integrazione. Umberto Eco vedeva l’integrazione dei migranti come un processo di negoziazione continua.
Francesco ha parlato di giovani e futuro. Ha chiesto un’economia sociale che investa sui giovani e sul lavoro, non un’economia liquida. Ha poi affermato con convinzione che Dio vuole abitare in Europa, ma ha bisogno di «testimoni» e di «grandi evangelizzatori». E’ il grande problema del (debole) cristianesimo europeo. Alla fine, con poesia, ha delineato un sogno europeo, il suo I have a dream. «Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre… che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo... che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto… dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà… non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia…». Bergoglio crede che gli europei, specie i giovani, non debbano essere prigionieri degli incubi, ma riprendere a sognare. Europa dei padri sì, ma anche dei figli.
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IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO DI FRANCESCO
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