Reginaldo Palermo

Per le scuole arriva l'autonomia

Concludiamo la nostra “escursione” nella storia della nostra scuola con il racconto di come nasce e si sviluppa quella che – a buon diritto – è considerata la riforma che più di altre ha inciso sull’assetto del nostro sistema scolastico. Ci riferiamo ovviamente alle norme sulla autonomia delle istituzioni scolastiche che, come abbiamo già avuto modo di scrivere, entrò prepotentemente nel dibattito politico e culturale sulla scuola alla fine degli anni ‘80 quando presero avvio i lavori per la preparazione della Conferenza Nazionale che si svolse poi all’inizio del 1990.
Gli anni ’90 erano anche quelli in cui ferveva il dibattito sul “decentramento amministrativo” e fu così che un primo tentativo di attribuire l’autonomia alle istituzioni scolastiche si ebbe già con la legge 537 del 1993. L’articolo 26 di quel provvedimento prevedeva l’emanazione di appositi decreti delegati sulla autonomia delle scuole da emanarsi entro il termine di 9 mesi.
Nel 1994, con l’arrivo del Governo Berlusconi, il processo di riforma della pubblica amministrazione subì un rallentamento, la delega contenuta nella legge decadde e si dovette ricominciare daccapo.
Nel 1997, con il primo Governo Prodi, viene approvata la legge 59, il cui articolo 21 stabilisce finalmente che “l’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo”.
Il dibattito parlamentare sulla proposta di legge si aprì presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato nel settembre del 1996 e proseguì poi alla Camera, che apporto alcune modifiche; si tornò quindi ancora al Senato che la approvò definitivamente il 5 marzo dell’anno successivo, con il voto contrario dei senatori di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord. Da notare la dichiarazione di voto del senatore leghista Tirelli, dal quale il provvedimento venne definito un “insipido brodino di federalismo”, che non avrebbe certamente fatto venir meno le legittime istanze di autonomia provenienti da regioni, province e comuni. “La Padania – concluse Tirelli - seguirà un'altra strada che sarà anche un'autostrada, quella dell'indipendenza e dell'autodeterminazione”.
Votarono invece a favore le forze politiche che sostenevano il Governo, compresa Rifondazione Comunista che però, di lì a poco, avrebbe incominciato a prendere le distanze dal provvedimento e in particolare dalle norme sulla autonomia delle istituzioni scolastiche.
Con la legge 59 cambia in modo significativo l’intero impianto della scuola che fino ad allora faceva riferimento alle norme dei “decreti delegati” del 1974. Le istituzioni scolastiche erano infatti considerate organi dello Stato dotati di una limitata autonomia amministrativa, anche se, per la verità, Istituti Tecnici e Professionali già possedevano personalità giuridica. Personalità giuridica che la legge del 1997 attribuisce di fatto a tutte le istituzioni scolastiche, che così diventano soggetti giuridici autonomi.
La legge del 1997 non dava immediata attuazione alle norme sulla autonomia scolastica, ma attribuiva al Governo il potere di emanare decreti legislativi e regolamenti per dare attuazione ai principi in essa previsti; nel 1998 arrivò così il decreto che riconosceva ai “capi di istituto” la qualifica di dirigenti e nel 1999 il regolamento n. 275 che attribuiva l’autonomia alle istituzioni scolastiche. Regolamento che è rimasto pressoché intatto fino ad oggi, ad eccezione di una importante modifica introdotta con la legge 107/2015 che trasforma il POF in PTOF, cioè in “Piano triennale dell’offerta formativa”.
Il “cuore” del Regolamento sta certamente nell’articolo 8, che stabilisce il ruolo del Ministero e gli spazi di azione delle scuole. Il Ministero definisce infatti il curriculum nazionale (obiettivi generali del processo formativo, obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni, discipline e attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale). Per il resto il DPR garantisce ampi spazi di autonomia didattica e organizzativa alle istituzioni scolastiche.
Le regole introdotte dal Regolamento sono fin troppo note e non è il caso di soffermarci più di tanto su di esse, anche se resta il fatto che l’autonomia scolastica ha ormai un quarto di secolo e, forse, ha proprio bisogno di una buona revisione.
Intanto le norme del 1997-99 andrebbero raccordate con quelle del 1974 che sono rimaste sostanzialmente inalterate: sarebbe cioè il caso di sintonizzare meglio le regole di funzionamento degli organi collegiali della scuola con quelle dell’autonomia, ripensando magari anche a quella riforma degli organi territoriali annunciata già alla fine degli anni ’90 ma mai avviata. E poi sarebbe anche opportuno valorizzare di più alcuni istituti ampiamente previsti dal DPR 275 che potrebbero servire ad evitare la “concorrenza” fra le scuole che è certamente uno dei rischi maggiori dell’autonomia: incentivare e sostenere l’autonomia di ricerca e le reti di scuole, per esempio, potrebbe proprio servire a contenere tale rischio.