Giancarlo Pani S.I.

Don Lorenzo Milani, il sacerdote

Don Milani è un profeta «di autentica vita cristiana e sacerdotale. Perché è solo nel Vangelo e nell’essere prete che ha trovato la verità di sé stesso. I suoi scritti sono attestazioni di fede in Dio e di fiducia nell’uomo» (1). Così lo ricorda un giovane sacerdote che l’ha conosciuto personalmente.
Gli fa eco la visita di papa Francesco a Barbiana, il 20 giugno 2017. Dopo essere stato alla tomba di don Primo Mazzolari, anche lui un profeta scomodo del nostro tempo, si reca al cimitero dove riposa don Milani. Sono l’uno e l’altro di fronte: Francesco e don Lorenzo, in silenzio, in preghiera, da soli, quasi a una resa di conti. Qualche tempo prima il Papa aveva tolto dal novero dei libri proibiti il suo volume Esperienze pastorali (2) e, in un videomessaggio per la pubblicazione dell’Opera omnia del sacerdote (3), aveva precisato che non era un prete da riabilitare ma «un credente innamorato della Chiesa, anche se ferito» (4). Francesco non intendeva solo riparare alle ingiustizie che il sacerdote aveva sofferto da parte della Chiesa, ma rispondere «a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale». Aggiungeva che «la scuola non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete. […] Egli voleva ridare ai poveri la parola […] che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con fede consapevole. […] Tutto nasce dal suo essere prete che ha una radice ancora più profonda: la sua fede. […] Essere prete [è] il modo in cui vivere l’Assoluto. […] Senza questa sete di Assoluto si può essere dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli» (5).
Don Milani, il priore di Barbiana, è ampiamente conosciuto per le sue opere e la sua scuola. Tuttavia c’è forse qualcosa da approfondire in ambito religioso, per esempio il suo sacerdozio. Nel 1970, tre anni dopo la morte, proprio il sacerdozio emerge nell’intervista alla madre, Alice Weiss. Alla domanda impertinente: «Se la Chiesa canonizzasse suo figlio, lo pregherebbe un «santo» del genere?», lei, ebrea e agnostica, risponde: «Voglio solo che Lorenzo sia conosciuto meglio. Che si dica anche della sua allegrezza. […] Il resto non tocca a me. Tocca semmai alla Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire, ma che gli ha anche dato il sacerdozio e la forza di quella fede che resta per me il mistero più profondo di mio figlio» (6). La madre conosceva bene il figlio che l’amava e a cui confidava tutto, anche nei momenti più difficili del suo ministero.

«Il mistero più profondo di mio figlio»
Le parole sconcertanti della madre sono vicine a quelle che don Raffaele Bensi, il padre spirituale di Lorenzo, disse di lui dopo la morte. Un giorno capitò a Barbiana senza preavviso: «Lo trovai nella stanza che serviva da scuola. Era steso nel buio su un pagliericcio. Accanto aveva una donna, la vecchia scema del paese, e i ragazzi meno intelligenti. […] E lui era uno di loro, non diverso, non migliore. […] Mi vennero i brividi. Capii allora, più che in qualunque altro momento, il prezzo della sua vocazione, l’abisso del suo amore per quelli che aveva scelto e che lo avevano accettato. L’uomo che sapeva tante lingue, in grado di parlare di teologia, di filosofia, d’arte, di letteratura, d’astrologia, di matematica, di politica come pochi altri, lì, nel buio di quella stanza, accanto a quei “mostri”, fu per me, e rimane, l’immagine più eroica del cristiano e del sacerdote» (7). La testimonianza rivela il valore e il significato di una vita presbiterale: don Lorenzo è prima di tutto un sacerdote, e un sacerdote ben radicato nella Chiesa.
Alla pubblicazione delle prime Lettere (8), la madre si meraviglia del consenso suscitato dal figlio: «Con Esperienze pastorali e Lettera a una professoressa si conosceva un Milani non intero, non diretto, per quanto autentico e provocante. È con queste lettere che si comincia a conoscere l’uomo in via diretta, quel sacerdote unico nel suo genere che Lorenzo è stato» (9).
Può sembrare paradossale, eppure alla madre «non credente» ciò che più sta a cuore è il mistero di una vita presbiterale: «Mi preme soprattutto questo: che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa; e che la Chiesa renda onore a lui. […] Se non si comprenderà realmente il sacerdote che Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche il resto» (10).
Nelle parole della madre emerge anche il rapporto tra il ministero pastorale e gli sviluppi sociali e politici del pensiero del figlio. Più volte Lorenzo le ha parlato dell’esperienza dei preti operai francesi, che stimava molto; ma lui non avrebbe mai fatto il prete operaio: «Coi piedi lui era pronto a prendere a calci tutte le ingiustizie che si opponevano alla sua missione di prete, ma nelle mani teneva soltanto l’ostia (“Non l’ho deposta – avvertiva, fin dalla conclusione di Esperienze pastorali – per correre sulle barricate”)» (11).

L’uomo di Dio e il padre
Il sacerdote è «l’uomo di Dio» (12) (2 Tm 3,17), per annunciare il Vangelo, celebrare l’eucaristia e i sacramenti, e compiere ogni opera buona (13). Eppure, più che uomo di Dio, don Lorenzo quale sacerdote va definito uomo degli ultimi, dei più emarginati, dei dimenticati. Si noti, nella testimonianza di don Bensi, la «scema del paese» e «i ragazzi meno intelligenti» che vegliano il priore: una relazione che genera un’identificazione reciproca: «era uno di loro».
Ciò che si configura da Esperienze pastorali, un testo esplosivo per la Chiesa italiana prima del Concilio, è il modo nuovo di essere sacerdote: «Io mi considero prete soltanto per voi, per le vostre famiglie, per i contadini, per gli analfabeti, per gli operai, per i comunisti, per quelli che non vanno in chiesa, per le persone più lontane, per quelli che non hanno istruzione soprattutto… E la mia vita la voglio dedicata esclusivamente a loro. E il legame con la Chiesa è fatto di assoluta obbedienza, che ho; dei sacramenti che cerco per me e che do a voi; della dottrina che è fedelissima, inattaccabile, tanto inattaccabile che Ottaviani […] non è riuscito a trovarci un’eresia per metterlo all’indice» (14).
Ecco la sua vera «parrocchia»: non si tratta solo dei praticanti, ma della sua gente, di quanti vivono nel suo territorio, della loro storia, delle loro case, dei loro problemi, insomma della vita di tutta la gente, anzi «tutta la vita di tutti» (15). Il sacerdote è un padre che non abbandona mai i suoi figli, quali che essi siano. E proprio a loro dona se stesso: la sua esperienza di uomo, di cristiano, di pastore. Inoltre, la trasmette non calandosi dall’alto ma ponendosi sul loro stesso piano: parla di scuola, di lavoro, di problemi correnti, di ingiustizie sociali, ma sempre avendo dinanzi la realtà concreta della loro esistenza. In tal modo egli si è schierato «dalla parte dell’ultimo» (16), ma è anche l’uomo del Vangelo e della Chiesa, a prezzo della propria vita.
Una riflessione di Adele Corradi, la prima collaboratrice della scuola, lo chiarifica: don Milani è testimone del Vangelo non solo per la vita di povertà, o per la sua spoliazione o per la scelta dei poveri, ma per quell’annuncio della Parola che «avveniva attraverso le sue opere» (17). In un certo senso il suo Vangelo è «Barbiana», che «si può ben dire opera di don Lorenzo. È esistita perché l’ha inventata lui» (18). Lì si realizza il Vangelo: «I ciechi vedono, i muti parlano» (cfr Mt 11,5). I montanari «vedono» dopo generazioni vissute al buio; e Marcello, un ragazzo di cinque anni muto, figlio di una coppia disgraziatissima, inizia a parlare. Uno psicologo l’aveva diagnosticato minorato psichico grave, inguaribile. Il priore decide allora di curarsi di lui, con attenzioni, con tenerezza, parlandogli piano e ripetendogli più volte i vocaboli perché colga bene i suoni e se ne appropri. Ebbene, dopo un intenso lavoro, don Lorenzo ha avuto la gioia di sentire da lui le prime parole (19).

La fede del sacerdote
Per don Milani la fede consiste del fidarsi di Dio, cioè nell’aprirsi alla verità che viene dall’Alto e nel radicarvisi. È fede il suo modo di incarnarsi con i ragazzi, il suo amore per gli ultimi, la sua obbedienza, la sua libertà, il suo messaggio di pace. Lo documenta, nel 1946, una lettera scritta dal seminario al padre per chiedergli «il permesso e il consiglio» per il suddiaconato: «È un impegno definitivo che mi prendo con Dio, con me stesso, e con una grande società umana. Ha valore di voto cioè non ne dispensa neanche il Papa. Mi impegno alla fede, al celibato, all’ufficio quotidiano (Breviario), all’obbedienza al vescovo, al servizio della Chiesa fiorentina» (20).
L’obbedienza al vescovo segnerà tutta la vita di don Lorenzo. Nel 1958, quando scoppiano i problemi per i giudizi contrastanti su Esperienze pastorali e il volume è ritirato dal commercio per ordine del Sant’Uffizio (21), il priore scrive a padre Santilli, il domenicano che ha dato il «nulla osta» per la pubblicazione: «Non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa» (22).
In un colloquio afferma che il cardinale Florit vorrebbe coglierlo in fallo: «Troppo gli piacerebbe al vescovo che io disubbidissi una volta. […] Non riesce a trovare una sola piccola disobbedienza né in me né in lui [si riferisce a don Borghi, compagno di seminario e prete operaio]. Perché? Prima di tutto perché ci premono i sacramenti a noi, molto più di lui; quindi non ci riuscirà mai a farci disobbedire perché io il primo ordine che mi dà, la prima condanna che lui mi fa, se lui mi sospendesse, io mi arrendo immediatamente. Io non rinuncio ai sacramenti per le mie idee; non me ne importa nulla, perché io nella Chiesa ci sto per i sacramenti, non per le mie idee. E quindi questo è il motivo fondamentale per cui ci sto» (23).
Di qui l’importanza dei sacramenti per vivere in grazia di Dio, che non è solo un fatto privato di coscienza ma soprattutto il criterio per valutare l’azione pastorale. I mezzi che il prete usa – ping-pong, cinema, bar, campo sportivo ecc. – non devono allontanarsi dall’azione della grazia di Dio: è in gioco l’efficacia della testimonianza cristiana e dell’essere Chiesa, poiché solo fidandosi della grazia si può essere davvero testimoni. Tale testimonianza viene meno quando, come denuncia in Esperienze pastorali, non si prende più sul serio la fedeltà al Vangelo fino a mettere in discussione le scelte di fondo della Chiesa che, in politica, privilegia il partito «cristiano», e non si rende conto di perdere il mondo dei giovani operai, di coloro che subiscono ingiustizia, e soprattutto il mondo dei poveri (24).
In tal modo si comprende come la Lettera ai giudici del 1965 abbia per tema centrale non l’obiezione di coscienza ma «l’obbedienza alla legge di Dio e alla coscienza» (25): emerge così il valore dell’obbedienza quale dimensione costitutiva della vita umana e cristiana.
Non va dimenticato, nella lettera al padre, l’accenno al celibato: per lui è il segno della dedizione totale a Dio e ai propri fedeli. Si tratta di un’opera di giustizia che don Lorenzo consiglia ai maestri e perfino ai sindacalisti. Scrive il padre Balducci che il celibato significava «un’oblazione totale di sé» (26). Non a caso, nella Lettera a una professoressa, quando si propone la scuola a tempo pieno, si presume che un insegnante abbia una famiglia che non intralci, cioè che marito e moglie abbiano una casa aperta a tutti e senza orari. E se ciò non fosse possibile, «l’altra soluzione è il celibato» (27).

Le origini di una vocazione sacerdotale
Non sappiamo quasi nulla dell’origine della vocazione sacerdotale di Lorenzo. Va ricordato però che è un ebreo, appartenente a un popolo che ha questa vocazione nella sua storia (28). Certo, Dio può salvare gli uomini come vuole, ma ha deciso di farlo mediante un contatto con il suo popolo. Questo ruolo ritorna nel Nuovo Testamento, quando si afferma che il «popolo di Dio è un sacerdozio regale» (1 Pt 2,9), cioè ha un compito di mediazione tra Dio e l’uomo.
Qualcosa di tale inclinazione traspare nel primo incontro con don Bensi. Il sacerdote era in sacrestia e stava togliendosi i paramenti dopo la Messa; alla domanda se voleva confessarsi, Lorenzo risponde: «Non voglio confessarmi. Non sono nemmeno cristiano, anche se, come figlio di un’ebrea, ho ricevuto il battesimo per salvarmi il corpo. Ora è l’anima che mi vorrei salvare. Desidero parlare con lei» (29). In quel momento don Bensi non ha tempo, poiché è morto un suo amico sacerdote e deve andare a visitarlo. Il giovane lo vuole accompagnare: due ore di cammino e un colloquio intenso. Dopo aver veduto il sacerdote pregare davanti alla salma, Lorenzo sperimenta qualcosa di misterioso. Con semplicità e determinazione gli dice: «Io prenderò il suo posto» (30). Era la primavera del 1943. Don Bensi ricorda: «Da quel giorno si “ingozzò” letteralmente del Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’Assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire» (31). Il 4 giugno riceve la cresima e a novembre entra in seminario a Firenze.
Forse si può ipotizzare che il giovane Lorenzo senta riaccendersi dentro di sé la millenaria speranza messianica: l’avvento del Messia che annuncia «il Vangelo ai poveri» (Lc 4,18). Don Bensi ne è fermamente convinto: «Era un cristiano, ma anche un ebreo» (32). E lo conferma in una lettera: «Tu sei nuovo, senza radici, e per la spinta verso il domani tu hai più intatta forza di noi e sicurezza di sguardo» (33).

La famiglia e la crisi
Per la vocazione di don Lorenzo non va dimenticata la famiglia: il bisnonno, Domenico Comparetti, era filologo ed epigrafista, cultore di 19 lingue (34). La figlia Laura sposa Luigi Adriano Milani, allievo del padre, anche lui filologo e numismatico, e nonno di Lorenzo; il figlio, Albano Milani Comparetti, dottore in chimica, sposa Alice Weiss. Albano ha scritto due saggi sul fatto religioso contemporaneo: annunciano «la benevola accoglienza che Albano poté offrire più tardi alla vocazione di Lorenzo» (35). Va poi ricordato l’amico di famiglia Giorgio Pasquali, critico letterario e il maggior filologo classico del Novecento. Don Milani «respirò dalla sua famiglia d’origine l’amore per la parola, per la sua etimologia e i suoi significati. Quando divenne prete, la parola fu il suo grande strumento ministeriale. Era convinto […] che il primo passo di una pastorale missionaria fosse quello di insegnare le parole, educare al linguaggio; in altri termini, fosse fare scuola al popolo» (36).
La sua formazione intellettuale si qualifica anche per la sua chiara laicità che allora lo fece apparire una mosca bianca nella Chiesa fiorentina: significava onestà, verità, fiducia nell’uomo, spirito critico. Ne è un esempio «l’estremo rispetto con cui voleva fossero trattati certi temi di fondo della fede» (37). Di qui l’irritazione per le incrostazioni pietistiche nelle devozioni popolari di dubbia autenticità; o quando chiede attenzione per le questioni di fede volgarizzate nelle riviste e nei fumetti: per esempio «la banalizzazione del mistero della morte» (38).
Nello stesso tempo Lorenzo mette in discussione il mondo borghese e l’ostentazione della cultura dei Comparetti e dei Milani. Quei famosi cromosomi di Pierino, il figlio del dottore, su cui egli stesso ironizza nella Lettera a una professoressa (39), forse cominciò ad avvertirli con disagio nel proprio sangue, non come segno di predilezione divina, ma come marchio di un’ingiustizia che lo aveva segnato. È il momento in cui rompe con quel mondo privilegiato e passa dall’altra parte. E allora ha inizio la scelta dell’ultimo degli ultimi, appunto i più poveri di San Donato a Calenzano (il suo primo incarico) e i montanari di Barbiana.
Il giovane sacerdote, insoddisfatto della superficialità della vita religiosa dei parrocchiani, programma la sua missione attraverso la scuola: se non c’è quel che qualifica «l’umano», cioè saper leggere, capire, essere liberi, non può esserci il cristiano. Se non si dà interesse a conoscere e quindi ad appassionarsi alla lettura, non ci si potrà mai appassionare al Vangelo. L’emancipazione umana è la base per la vita cristiana.
Per conoscere le ragioni del valore di don Milani come maestro – scrive Gian Paolo Meucci – «non [si] deve mai dimenticare che don Lorenzo fu un prete capace di amore» (40). Quando deve ricapitolare il senso del suo insegnamento dichiara, un anno prima di morire: «L’arte dello scrivere è la religione. Il desiderio d’esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo si intuiscono le fa trovare a noi e agli altri. Per cui esser maestro, esser sacerdote, essere cristiano, essere artista, essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa» (41). Interessante il legame tra la parola, la sua forza educativa, l’insegnamento fatto con amore e il sacerdozio. Egli riconosce anche il dono che ha ricevuto dai ragazzi, con una imprevedibile conclusione: «Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi, loro mi hanno insegnato a vivere. […] Son loro che han fatto di me quel prete dal quale vanno volentieri a scuola, del quale si fidano più che dei loro capi politici, per il quale fanno qualsiasi sacrificio, dal quale si confessano a ogni peccato senza aspettare che sia festa» (42).
Il suo programma tuttavia ha creato malumori con i sacerdoti fiorentini: ne nasce uno scontro, una lotta in cui egli vuole tenere alta la mira della propria vocazione, secondo il Vangelo. Singolare è l’insistenza per farsi accettare da una Chiesa rigida, chiusa, con pastori impreparati e abitudinari. Non da ultimo, il contrasto con la Curia: vuole che gli sia reso l’«onore» che gli è stato tolto, non per se stesso ma per il suo ministero e per i suoi ragazzi, «per consacrare il mio apostolato, che non appaia un apostolato protestante quand’è cattolico» (43).

La povertà e la missione sacerdotale
Nella scelta di diventare cristiano e sacerdote, don Lorenzo decide di seguire lo stile di vita del Signore: «Gesù stesso ha molto più vissuto che parlato. E molto più [ha] insegnato col nascere in una stalla e col morire su una croce che col parlare di povertà e di sacrificio» (44). Ecco «la cattedra ineccepibile che è la povertà. Unica cattedra da cui si potrebbe ancora dire al mondo sociale e politico qualche parola nostra in cui nessuno ci abbia preceduto né ci potrebbe precedere» (45).
Don Bensi indicava come segno della sua autenticità profetica «la sproporzione tra [il nulla di] Barbiana e l’incidenza che essa ha avuto nel mondo. Ed è vero. C’è un mistero di grazia ed è impossibile non riconoscerlo» (46). E il suo volume, Esperienze pastorali, in qualche modo è un’anticipazione di ciò che verrà affrontato nel Vaticano II.
Don Lorenzo è vissuto poveramente e a 44 anni, stroncato da un tumore, è morto povero; ha voluto essere seppellito con i paramenti sacerdotali e gli scarponi da montagna.
Nella visita a Barbiana, papa Francesco aveva dichiarato che «il prete “trasparente e duro come un diamante” continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa» (47).

NOTE

(1) M. LANDI, «Tutto al suo conto». Don Lorenzo Milani con Dio e con l’uomo, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2023, 199.
(2) L. MILANI, Esperienze pastorali, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1958.
(3) Cfr «I Meridiani. Classici dello Spirito»: L. MILANI, Tutte le opere, con la direzione di A. MELLONI, a cura di F. RUOZZI ET AL., 2 voll., Milano, Mondadori, 2017.
(4) www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2017/4/23/videomessaggio-donmilani.html
(5) FRANCESCO, «Ridare la parola ai poveri», in Oss. Rom., 21 giugno 2017, 8.
(6) N. FABBRETTI, Don Mazzolari. Don Milani. I «disobbedienti», Milano, Bompiani, 1972, 252.
(7) Ivi, 242.
(8) M. GESUALDI (ed.), Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Milano, Mondadori, 1970.
(9) N. FABBRETTI, N. FABBRETTI, Don Mazzolari. Don Milani…, cit., 249.
(10) Ivi, 250.
(11) Ivi. Cfr L. MILANI, Esperienze pastorali, cit., 468.
(12) Così lo descrive il priore e continua: «L’uomo di Dio che stima ciò che disprezzano gli altri e disprezza ciò che ognuno stima. Qualcosa di “entitative” diverso dall’uomo del mondo». Cfr ivi, 152.
(13) Cfr E. CASTELLUCCI, Il ministero ordinato, Brescia, Queriniana, 2006, 323 s.
(14) L. MILANI, Tutte le opere, cit., 1299. Si riferisce a Esperienze pastorali.
(15) S. NISTRI, «A trent’anni da Esperienze pastorali», in ID., Pietre vive. Immagini di Chiesa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1991, 91.
(16) Cfr la biografia di N. FALLACI, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell’ultimo, Milano, Rizzoli, 1994. Si noti: non degli ultimi…
(17) A. CORRADI, Non so se don Lorenzo, Milano, Feltrinelli, 2017, 175.
(18) Ivi.
(19) Cfr N. FALLACI, Vita del prete Lorenzo Milani…, cit., 321 s.
(20) L. MILANI, Lettere alla mamma (1943-1967), a cura di A. MILANI COMPARETTI, Milano, Mondadori, 1973, 51.
(21) Cfr il saggio di M. TOSCHI «Intorno a Esperienze pastorali», in ID., Don Lorenzo Milani e la sua Chiesa. Documenti e studi, Firenze, Ed. Polistampa, 1994, 41-53.
(22) M. GESUALDI (ed.), Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, cit., 89.
(23) L. MILANI, «Chiesa santità obbedienza», in ID., Tutte le opere, cit., 1288; cfr R. CESARI, Hai nascosto queste cose ai sapienti. Don Lorenzo Milani, vita e parole per spiriti liberi, Firenze, Giunti, 2023, 400-406; 462-466.
(24) Cfr ID., Esperienze pastorali, cit., 88; 136; S. NISTRI, Il cristiano e il prete don Lorenzo Milani, Firenze, Pananti, 2017, 18-20.
(25) M. TOSCHI, Don Lorenzo Milani…, cit., 8; cfr R. CESARI, Hai nascosto queste cose…, cit., 434-443.
(26) E. BALDUCCI, L’insegnamento di don Lorenzo Milani, Roma - Bari, Laterza, 2002, 25.
(27) SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1967, 86.
(28) Cfr S. CORRADINO - G. PANI, Giona. Il profeta tradito da Dio, Palermo, P. Vittorietti, 2016, 111-121.
(29) N. FABBRETTI, Don Mazzolari. Don Milani…, 236. (30) Ivi.
(31) Ivi, 237. (32) G. LOFFARELLI, Don Lorenzo Milani. Prete, maestro, cittadino, Villa Verucchio (Rn), Pazzini, 2016, 10.
(33) L. MILANI, «Perché mi hai chiamato?». Lettere ai sacerdoti, appunti giovanili e ultime parole, a cura di M. GESUALDI, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2013, 14.
(34) È stato senatore del Regno da Umberto I e docente universitario. Aveva sposato Elena Raffalovich, figlia di un benestante ebreo di Odessa; per l’unica figlia, Laura, aveva chiesto il privilegio di trasmettere il suo cognome ai discendenti maschi. Di qui il doppio cognome «Milani Comparetti»: cfr V. MILANI COMPARETTI, Don Milani e suo padre. Carezzarsi con le parole. Testimonianze inedite dagli archivi di famiglia, Roma, Ed. Conoscenza, 2017, 38. Don Milani non ha mai usato il secondo cognome. Cfr R. CESARI, Hai nascosto queste cose…, cit., 23-27.
(35) J. L. CORZO, «Prefazione», in V. MILANI COMPARETTI, Don Milani e suo padre…, cit. 14.
(36) E. CASTELLUCCI, Don Milani e il Concilio, Bologna, EDB, 2019, 27.
(37) S. NISTRI, «Don Lorenzo Milani», in ID., Pietre vive…, cit., 78 s.
(38) Ivi, 79; cfr L. MILANI Esperienze Pastorali, cit., 246 s.
(39) Cfr SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, cit., 48.
(40) G. MEUCCI, «La storia interiore della sua scuola», in Testimonianze 100 (1967) 855.
(41) Lettera a Dina Lovato, 16 marzo 1966. Cfr R. CESARI, Hai nascosto queste cose…, cit., 443.
(42) L. MILANI, Esperienze Pastorali, cit., 235.
(43) ID., «Chiesa santità obbedienza», in ID., Tutte le opere, cit., 1302.
(44) ID., Esperienze pastorali, cit., 340.
(45) Ivi, 402.
(46) S. NISTRI, Il cristiano e il prete don Lorenzo…, cit., 30. (77) FRANCESCO, «Ridare ai poveri la parola», in Oss. Rom., 21 giugno 2017, 8.